L’Archivio di Stato albanese è l’unico, in tutta l’Europa, che vanti il possesso di un codice così antico. È pur vero che la Biblioteca Nazionale di Parigi ha acquisito un gran numero di papiri egiziani molto antichi, ma nessun’altra biblioteca europea dispone di un libro sotto forma di codice che, secondo molti specialisti, viene fatto risalire all’inizio del VI secolo d. C! Ma di cosa si tratta?

Codex Purpureus Beratinus

Codex Purpureus Beratinus

Il Codice Purpureo di Berat contiene 100 pagine in pergamena scritte su due colone di dimensioni 31.4 x 26,8 centimetri. Il Codice è scritto in lingua greco bizantina, e contiene due dei Vangeli più antichi: il Vangelo di S. Matteo e il Vangelo di S. Marco. Il suo testo ha una struttura insolita: le lettere non sono scritte con inchiostro ma sono in oro ed argento. L’alternanza dell’oro e dell’argento è stata fatta intenzionalmente sia per ragioni estetiche e sia per ragioni legate alla struttura organizzativa del testo dei Vangeli, e ciò comporta una originalità unica in questo tipo di codici antichissimi. L’intuizione di usare lettere in oro e argento è stata provvidenziale per la conservazione del testo. Se lo stesso testo fosse stato scritto con il normale inchiostro di quei tempi le possibilità che esso potesse arrivare ai giorni nostri sarebbero state minime.

Per fortuna, il codice è stato compilato con caratteri metallici, e ciò ci ha dato la possibilità di avere oggi il testo integro e completo. Le lettere in argento e oro sono state composte utilizzando una tecnica eccellente e con una calligrafia bellissima. L’aspetto interessante è che, oltre le lettere semplici dell’alfabeto bizantino, troviamo anche monogrammi comprensibili secondo il codice alfabetico della tarda antichità ma non usati in tempi più recenti. È stata proprio questa particolarità che ha spinto uno dei più famosi studiosi di testi del greco bizantino, P. Battifol, a classificare il codice come appartenente al VI secolo d.C. Questo tipo di scrittura (greco - bizantina) è molto simile a quella utilizzata in alcune iscrizioni presenti nei mosaici del VI secolo d.C. rinvenuti in Albania. Riporto come esempio l’iscrizione della cappella dell’anfiteatro di Durazzo, e soprattutto l’iscrizione di un salmo biblico rinvenuto a Ohrid; iscrizioni, queste, che, come abbiamo detto, sono del VI secolo d. C.

 La cappella dell’anfiteatro di Durazzo

La cappella dell’anfiteatro di Durazzo

Nel codice in questione troviamo come motivo decorativo un cuore rosa purpureo. Fino ad oggi non è stato spiegato il significato del cuore purpureo. È stata suggerita l’ipotesi che l’ideogramma sia collegato con il cuore dello stesso Cristo, ma questa è soprattutto una spiegazione metaforica e letteraria più che teologica, perché si sa che i principali simboli ricollegabili al Cristo sono due: il pesce e la croce. Se reputiamo che il simbolo del cuore abbia un significato profano e laico, allora ci allontaniamo dalla spiegazione teologica. È probabile che il cuore si colleghi con lo stemma araldico dei possessori di questo codice, che si pensa siano stati dei principi, o addirittura a qualche simbolismo diffuso nel VI secolo ma oggi del tutto dimenticato.

Questo codice è stato portato in Cina per un restauro generale negli anni ’70 del secolo scorso. Il restauro si era reso necessario perché le condizioni del codice erano ormai critiche. Gli specialisti cinesi hanno fornito informazioni preziose sul codice. Inoltre hanno dimostrato che la pergamena è stata fatta con pelle di capretto. È stato calcolato che, per realizzare le pagine del codice, siano stati uccisi circa cento capretti. Fino ad oggi si è fatto riferimento al parere autorevole dello studioso P. Battifol il quale, basandosi soprattutto sulla calligrafia, data il Codice al VI secolo d. C. Tuttavia vorrei fare una supposizione personale. La questione della cronologia non è mai assoluta e semplice. Credo che se dovessimo sottoporre il Codice agli esami resi possibili dalle tecnologie più moderne, si potrebbe scoprire, come pensano molti studiosi , che il Codice in questione risalga al V secolo d.C.

Sempre secondo il mio parere, il documento potrebbe essere stato composto nel periodo compreso fra il regno dell’imperatore Anastasio I di Bisanzio (nato a Durazzo) e quello dell’imperatore Giustiniano (di origine illirica). Questa ipotesi diventa più credibile quando, analizzando il testo dei Vangeli di S. Matteo e S. Marco, ci accorgiamo che il Codice è stato redatto quando ancora non esisteva la canonizzazione definitiva dei Vangeli. Ci sono discrepanze nelle frasi e nelle idee espresse nel testo dei due antichi Vangeli. Tali discrepanze costituiscono un importante arricchimento per la scienza. La loro importanza non è solo filologica ma soprattutto teologica. Si sa che fra il V e il VI secolo i Vangeli non sono ancora canonici e sono influenzati dai Vangeli apocrifi. Si pensa che i Vangeli del Codice di Berat possano aver subito gli influssi degli antichi Vangeli siriaci, ma anche dei Vangeli occidentali. Il mio parere è che il codice di Berat sia uno dei tre codici di questo tipo più antichi del mondo. Il primo è un codice del IV secolo che si trova nel Sinai; il secondo risale al VI secolo ed è conservato nell’archivio di Mosca. Il codice del Sinai è in lingua aramaica. Di rilevante importanza è il testo del Vangelo di S. Marco perché, secondo i biblisti tedeschi, S. Marco si è basato su un altro documento molto più antico, convenzionalmente chiamato Documento Q oppure Ur Marcus. Nel XIX secolo, il vescovo di Berat, Anthin, è stato uno degli uomini più dotti del suo tempo. Anthin ci ha lasciato un libro meraviglioso con dati inestimabili non solo per la cultura ecclesiastica medievale dell’Albania, ma anche per l’intera cultura antica. Il vescovo Anthin ha consultato il Codice ed è stato il primo in assoluto che si sia convinto che esso sia stato composto da Giovanni Crisostomo.

Giovanni Crisostomo è una delle figure più geniali della chiesa cattolica di tutti i tempi. Una leggenda dice che Giovanni Crisostomo sia vissuto per un po’ di tempo nell’area dell’Albania del Sud. Un illustre studioso di documenti ecclesiastici come Zef Valentini, in una sua pubblicazione enciclopedica intitolata “Kronologjia Shqiptare” (La cronologia Albanese), ha documentato che Giovanni Crisostomo nella sua gioventù è vissuto in un monastero dell’Epiro del Nord, e cioè in terra albanese. Giovanni Crisostomo è morto nel 407 d.C. ossia nel V secolo. Se (la leggenda o) l’informazione che ci ha dato il vescovo Anthim fosse esatta, questo avvalorerebbe la mia ipotesi che il Codice Purpureo di Berat sia del V secolo e non del VI. Penso anche che non possa essere una coincidenza la leggenda che vuole Giovanni Crisostomo per un periodo in Albania e, in ogni caso, non è stata fatta nessuna analisi scientifica con i mezzi attualmente a nostra disposizione per determinare con esattezza assoluta se il Codice sia del V o del VI secolo.

Nel 1964 la Biblioteca di Vienna offrì allo Stato albanese un milione di dollari per avere il Codice. Oggi esso ha un valore di dieci milioni di dollari. Ovviamente questa è soltanto una stima convenzionale, perché il prezioso documento ha, in realtà, un valore inestimabile. Durante la Prima Guerra Mondiale il Codice Purpureo è stato cercato dagli Austriaci senza successo. Nel 1944 i nazisti misero davanti al plotone d’esecuzione i sacerdoti della cattedrale di Santa Maria a Berat, per sapere dove fosse nascosto non solo questo codice ma anche altri preziosi reperti, ma i sacerdoti albanesi si rivelarono dei grandissimi patrioti e pagarono con la vita il loro silenzio. La conservazione del Codice Purpureo, ma anche di altri codici, ha avuto una strana metodologia. Un segreto e ristretto gruppo di persone, tre, per la precisione, che ovviamente era legato alla chiesa, affidava ad un solo membro il segreto sul posto dove era nascosto il Codice. Gli altri membri del consiglio conoscevano soltanto il nome della persona che era responsabile davanti a Dio e alla nazione dell’integrità del documento. Prima di morire il depositario del segreto avvisava il consiglio che era giunta l’ora in cui un'altro avrebbe dovuto occuparsi dell’incombenza. L’ultima persona che fece parte di questo consiglio fu Nasi Papapavli. È interessante dire che quando Nasi Papapavli capì che stava per morire, decise di derogare dalla legge secolare del consiglio segreto. È pur vero che l’accademico albanese Aleks Buda andò per molti anni da Nasi Papapavli in nome della nazione e dello stato albanese con la speranza di sapere dove fosse nascosto il codice ma Papapavli non si lasciò mai convincere a rivelare il segreto. Negli anni ’60, dopo la sua improvvisa malattia, esisteva solo un’opportunità: quella di seppellire, con la sua morte, anche le speranze di sapere dove fosse nascosto il prezioso codice. Ma Papapavli scelse una seconda alternativa: visto che gli altri membri del consiglio segreto erano già morti e il codice rischiava di non vedere mai più la luce del sole, egli “tradì” la sua consegna, rivelando il posto dove era nascosto il Codice Purpureo ed altri antichissimi reperti. Questo posto esiste ancora oggi ed è tuttora individuabile vicino all’abside nella cattedrale della Santa Maria a Berat. I codici furono recuperati in un momento critico: a causa dell’umidità, erano a rischio di frantumarsi. Fino al 1944 i documenti, incluso il codice del VI secolo, erano in condizioni relativamente buone. Con il Codice Purpureo si celebravano le messe solenni; la sua buona conservazione è da ascriversi a merito dello stato albanese che se ne prese cura, salvandolo. Ma lo stato totalitario non riconobbe il valore del grande patriota Nasi Papapavli, che era una persona semplice. Egli merita sicuramente il rispetto e la riconoscenza di tutto il mondo della cultura perché, senza di lui, oggi non avremmo questo tesoro inestimabile la cui rilevanza supera i confini dell’Albania essendo patrimonio di tutta l’umanità. Il Codice Purpureo di Berat del VI secolo d.C. rappresenta un enorme vanto per il patrimonio culturale dell’Albania, il cui popolo sarà per sempre riconoscente a quei sacerdoti di Berat che, con il loro silenzio, preservarono questa meraviglia.

Liberamente tratto dal libro Mes Laookontit dhe Krishtit dell’autore Moikom Zeqo

Traduzione dal albanese di Elton Varfi

Link versione albanese: Kodiku i Purpurt i Beratit

3 Commenti

  1. Nuk kam dashur kurrë te lexoj përkthimet “origjinale’ te kodit të Beratit, sepse ato ndikojnë në cilësinë e studimin të Shqipes se vjetër. Për mua , perkthimi i pjesës djathtas duhet të jetë i tillë.
    Thoj ke AI,
    Ke Ai synin
    Ka Ai me te ban
    Te rosh sa me gjate
    Hyjni yn
    Shihna te kemi mire
    Ti na i rinon gjerat
    Prej fillimit
    Kengen time
    Per yllin tend
    Mbi kryet tona
    te rethuar
    te ri na ben perseri
    lindje (heqje kerthize)
    dhe jep jete.
    Edhe pse autori i ketij shkrimi mendon qe ajo eshte Greqishte, edhe per me teper gr e shekullit te V, une mendoj qe ajo eshte me e vonet. Jane disa shqipe fjale ne te qe zbulojne te verteten.

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  2. Ciao Elton e complimenti per il sito, leggerò! una mia amica sta cercando disperatamente l'etimologia del nome del suo ragazzo albanese, Olgert: potresti aiutarci? Grazie comunque! Andrea D'Emilio, Pescara andreademilio2003@yahoo.it

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  3. Va preso in considerazione anche il Codex purpureus rossanensis.
    Te fala
    Zef Chiaramonte

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