clip_image002Nel museo storico nazionale dell’Albania si trova esposto un bellissimo mosaico che è stato rinvenuto dalle rovine di una basilica nel villaggio di Mesaplik, vicino a Valona. Questo mosaico è datato V o VI secolo d.C. e le sue dimensioni sono 230x349 cm. Il mosaico in questione ha attirato l’attenzione degli studiosi che hanno scritto sui pelasgi e sugli illiri, ma non è mai stata spiegata l’iscrizione che si trova su di esso. Il mosaico raffigura la testa di profilo di un uomo che indossa un capello a punta. All’estremità del cappello sono attaccati due nastri. Nei tempi antichi, questo tipo di capello veniva indossato da professori e filosofi illustri. Attorno all’uomo, ci sono dei piatti pieni di frutta e di pesce. Lo suo sguardo è diretto verso l’iscrizione “A PAK KE T’AÇ”. Queste lettere appartengono quasi tutte all’alfabeto latino, ad esclusione della seconda lettera che è la lettera P dell’alfabeto greco. Gli studiosi e i linguisti hanno pareri diversi su cosa significhi questa frase. Il professore Moikom Zeqo in un suo articolo scrive: “Il mosaico del V secolo d.C. raffigura la testa di profilo di un uomo giovane che indossa un capello a punta, come Hermes, e una iscrizione: “Aparkeas”, che è il nome storpiato del dio Abraxas, adorato dalla setta monoteista ed eretica dei “basiliti”, che era così popolare e diffusa da fare concorrenza al Cristianesimo. Il mosaico con il viso gnostico di Aparkeas/Abraxas è un mosaico non comune, anche a livello europeo. Questo mosaico chiude l’epoca della storia degli illiri, per aprire l’epoca della storia degli albanesi.” (Koha Jonë, 29/06/2001, traduzione mia).

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(una riproduzione del mosaico di Mesaplik)

Chiaramente la lingua dell’iscrizione, secondo Zeqo, è il greco antico. Tuttavia altri studiosi pensano che questa frase sia scritta in lingua albanese. Se fosse vero, allora dovremmo spostare la datazione del primo documento scritto in lingua albanese dal XV secolo al V o VI secolo d.C. Naturalmente si tratterebbe di una scoperta sensazionale. Il professore Arben Llalla legge la frase: “A ΠΑR ΚΕ ΑC” (A PAR KE AC) e aggiunge le seguenti considerazioni:

1- gli arbëresh hanno un proverbio che dice: “Ha për drekë, po lë për darkë” (mangia per pranzo, però pensa per la cena). Un proverbio molto simile ce l’hanno anche gli abitanti di Skrapar in Albania: “Ha sot, po mejto edhe për nesër” (mangia oggi, ma pensa a domani); invece nel sud dell’Albania dicono: “Ha për drekë, por lër dhe për darkë” (mangia a pranzo, ma pensa alla cena). Non è casuale che nel sud dell’Albania, ovvero il luogo dove è stato rinvenuto il mosaico, si dica “Ha pak, që të kesh” (mangia poco, così ti resta). Questo proverbio avrebbe esattamente lo stesso significato della frase incisa sul mosaico. (Questi proverbi si possono leggere nel libro “FJALË TË URTA SHQIPE” (proverbi albanesi) seconda edizione Prishtinë, 1983, pp. 193.)

2- Quasi tutte le lettere della frase sono latine. Solo la prima lettera della seconda riga è la lettera P dell’alfabeto greco. Invece, la terza lettera della seconda riga è RR e, secondo quanto scrive lo studioso tedesco J.G. Von Hahn nel suo libro “Appunti sulla scrittura pelasgica”, apparterrebbe all’alfabeto pelasgico albanese.

3- La teoria di professore Zeqo verrebbe del tutto confutata se analizziamo l’ultima lettera dell’ultima riga, che in realtà è una C e non una S come il professore sostiene. La lettera S in greco è Σ, invece la lettera ΤΣ in greco si pronuncia C.

4- La forma stessa di questa frase è particolare. È scritta dall’alto verso il basso e rispetta tutte le regole dell’ortografia. Questo consentirebbe di avvalorare la tesi secondo la quale non si tratta di una sola parola, bensì di quattro parole diverse.

5- Attorno all’uomo raffigurato nel mosaico ci sono piatti pieni di frutta e di pesce; inoltre, lo sguardo dell’uomo è diretto verso la frase incisa. Perciò è molto probabile che la frase faccia riferimento al cibo e potremmo ragionevolmente pensare che sia un ammonimento al risparmio. Lo studioso greco di origini albanesi Niko Stylos, assieme all’esperto Ilir Mati, non hanno nessun dubbio: la frase è in lingua albanese e letteralmente vuol dire mangia poco, hai da mangiare. I due studiosi, secondo me, forniscono prove più che convincenti per pensare che la lingua sia proprio quella albanese. Illir Mati contraddice sia la teoria del professore Zeqo, sia la lettura che il professore Llalla fa della terza lettera del secondo rigo (R). Per Mati la lettera è K. Per confermare questa sua teoria, Illir Mati porta come prova un vaso antico greco dove sono raffigurati Patroclo, Achille e sua madre, Teti. La sesta lettera del nome di Patroclo è identica alla prima lettera della seconda riga del mosaico, ed è proprio la lettera K. (vedi la foto qui sotto)

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Un altro fatto interessante è la somiglianza del capello indossato dall’uomo del mosaico e il Qeleshe, che è un berretto tradizionale portato dagli uomini albanesi (vedi la foto sotto)

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Ora basta che anche gli albanesi provino a credere nella possibilità che la loro lingua abbia una storia molto più antica rispetto a quella che la storia ufficiale ci racconta e, in tal modo, le ricerche saranno animate da un maggiore entusiasmo e da un forte desiderio di conoscere la verità.

Elton Varfi

Link versione albanese: Mozaiku i Mesaplikut i shekullit të VI është në gjuhën shqipe


15 Commenti

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  3. "A ΠAϘ KE AC" dall'albanese della mia Spezzano letteralmente si traduce: "Mangia poco, hai tanto!", pronunciando la lettera "C" come quella della parola italiana "Chiesa" oppure "Chiave". Inoltre, la terza lettera della seconda parola non è "K", bensì la lettera greca arcaica "Ϙ" (qoppa, caduta in disuso nel greco ellenistico), da cui, però, derivò la lettera latina "Q".
    ing. Domenico Nociti

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  4. Pronunciando la lettera "C" come quella della parola italiana "Chiesa" oppure "Chiave", si può effettuare una lettura anche in verticale: "AΠ KA A ϘEC", che dall'albanese della mia Spezzano letteralmente si traduce: "Apri bue, mangi troppo!", ricordando sempre che la lettera greca arcaica "Ϙ" (qoppa), caduta in disuso nel greco ellenistico, si pronuncia come la lettera "K".
    ing. Domenico Nociti

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  5. "A ΠAϘ KE AϚ" dall'albanese della mia Spezzano letteralmente si traduce: "Mangia poco, hai tanto!", pronunciando la lettera "Ϛ" come "CH" della parola italiana "CHIESA" oppure "CHIAVE". Inoltre, la terza lettera della seconda parola non è "K", bensì la lettera greca arcaica "Ϙ" (qoppa, caduta in disuso nel greco ellenistico), da cui, però, derivò la lettera latina "Q"; mentre la seconda lettera della quarta parola, "Ϛ" (stigma), è una lettera scomparsa dell'alfabeto greco, che esprimeva foneticamente il suono /st/ in alcuni alfabeti greci arcaici, ma dal 403 a.C. nell'alfabeto della koinè (di ispirazione ionico-attica) il segno fu usato solo come simbolo del numero 6. Sul significato si può dire che la frase consiglia di risparmiare mangiando con moderazione.
    Da quando esposto si può affermare di trovarci di fronte ad un’espressione in lingua albanese scritta con i caratteri dell’alfabeto greco. Siccome la basilica di Mesaplik risale alla metà del IV secolo, si deve ritenere che l’albanese di questo periodo usava l’alfabeto greco per la sua scrittura. Come nell’albanese attuale è stata assunta la lettera dell’alfabeto latino "Q" per scrivere il suono della coppia di consonanti "CH" della parola italiana "CHIESA" oppure "CHIAVE", non essendoci nell’alfabeto greco lettere per scrivere lo stesso fonema, si deve ritenere che all’epoca sia stata scelta proprio una lettera scomparsa nella lingua greca, ma in uso per i numeri, cioè la lettera "Ϛ", per scrivere questo suono consonantico.
    Quando sostenuto ci permette di effettuare anche una lettura in verticale, considerando, invece delle quattro righe precedenti, le tre colonne, essendo lo scritto approssimativamente a forma di matrice rettangolare: "AΠ KA A ϘEϚ", che sempre dall'albanese della mia Spezzano letteralmente si traduce: "Apri bue, mangi troppo!", ricordando sempre che la lettera greca arcaica "Ϙ" (qoppa), caduta in disuso nel greco ellenistico, si pronuncia come la lettera "K". Se si ha presente che dopo essere stato ucciso, il bue viene aperto dai sottostanti torace ed addome, prima di essere fatto a pezzi, la frase deve per forza di cose significare che con un bue macellato si mangia in abbondanza.
    Che si tratti dell’alfabeto greco si capisce anche dal fatto che le parole che iniziano con vocali vengono aspirate senza essere precedute dalla lettera "H", mentre la barretta, che è stata apposta sulla lettera "A" del quarto rigo, denota la presenza dello "spirito dolce" che indica l'assenza di tale fonema.
    L’ultimo aspetto da risolvere è l’uso delle lettere "K" e "Ϙ" per scrivere lo stesso fonema. La cosa, però, non desta alcuna preoccupazione se si considera che il latino più arcaico aveva tre lettere per rappresentare il suono [k]. La K veniva normalmente usata prima della A, la C prima di E ed I e la Q prima di O ed V (U).
    ing. Domenico Nociti

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  6. Nei commenti del 19 agosto 2009 0.48 e del 9 settembre 2009 4.05, dove è stato scritto "Mangia", si corregge in "Mangi". Fermo restando quanto sostenuto e chiarito nel commento del 9 settembre 2009 4.05, sul significato di "A ΠAϘ KE AϚ" e di "AΠ KA A ϘEϚ" (scritte, come esposto nel commento medesimo, con i caratteri dell’alfabeto greco), che dall'albanese della mia Spezzano letteralmente si traducono, anteponendo le ultime due parole della prima frase, rispettivamente: "Hai tanto, mangi poco!" e "Apri bue, mangi troppo!", si può affermare quanto segue. Nel mosaico della basilica di Mesaplik vi sono rappresentati dei piatti, alcuni contenenti della frutta ed altri del pesce. "Hai tanto" si riferisce a questi prodotti dell’agricoltura e della pesca. Il territorio della regione in cui si trova Mesaplik, prevalentemente montuoso e con un sistema idrogeologico di superficie a carattere torrentizio, è poco adatto all’agricoltura e alla pesca fluviale e lacustre, mentre il mare prospiciente la costa della stessa regione (Adriatico e Canale d‘Otranto), con fondali molto bassi ed acque abbastanza tiepide e, quindi, scarse di plancton, è poco pescoso, in relazione anche alla pesca dell’epoca in osservazione, in cui sicuramente la si effettuava con piccole imbarcazioni e piccole reti rudimentali; conseguentemente "mangi poco!" Dedicandosi, invece, all’allevamento, in particolare bovino, più adatto al territorio della detta regione ed a cui si riferisce "Apri bue", che può avere sia il significato più immediato di mandare o menare il bue all’aperto (per il pascolo), sia quello meno immediato riportato nel commento del 9 settembre 2009 4.05, "mangi troppo!" o, meglio, "mangi abbondantemente!"
    Per quanto riguarda il personaggio del mosaico de quo, coerentemente con il significato della relativa iscrizione, non essendoci altri indizi, tranne quelli del particolare berretto e del volto, entrambi sicuramente di un benestante, escludendo perciò che possa trattarsi di uno che "mangi poco", si può ritenere che rappresenti simbolicamente un robusto giovane allevatore di bestiame, in particolare di bovini.
    ing. Domenico Nociti
    e-mail: nocitidr.ingdomenico@alice.it

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  13. Mi preme di far notare altri due particolari del mosaico della basilica di Mesaplik.
    Nella parte del mosaico della basilica di Mesaplik a noi pervenuto vi è rappresentata della frutta in due coppe, contenenti tre pere ciascuna, e del pesce. A prima vista non si notano altri prodotti alimentari, tanto è vero che lo stesso atteggiamento hanno assunto tutti gli esperti che hanno trattato la questione, dato che gli stessi non ne citano altri. La cosa, però, mi ha lasciato molto perplesso, poiché tra i prodotti dell’agricoltura ivi rappresentati vi compare soltanto la frutta, mentre non vi appare il grano, che è il prodotto agricolo più rappresentativo. In un primo momento mi son detto che in un territorio prevalentemente montuoso, come quello della regione presa in esame, prevaleva la frutta sul grano ed ho chiuso e postato il commento. Poi, però, osservando più attentamente il mosaico, ho notato che nel ottagono che non era stato preso in esame vi è rappresentata una figura circolare, il cui cerchio interno con due file di tasselli, aventi al centro un altro tassello, di color marrone (in parte chiaro ed in parte scuro) è circondato da una corona circolare con due file di tasselli di colore grigio scuro, seguita da un’altra con cinque file di tasselli di colore ecrù, che a sua volta è circondata da una con due file di tasselli di nuovo grigio scuro, seguita da un’altra con due file di tasselli di colore ecrù, il tutto circondato da un cordone attorcigliato (assumente approssimativamente la forma toroidale con le spire complanari) con tre file, con all’interno altre due coppie di file, di tasselli, ciascuna avente un colore diverso ed uguale a quelli sopra indicati, che mi ha fatto pensare alla pasta ravvolta (riavvolta), cioè la torta. Le corone circolari evidenziano la stratificazione cilindrica di cui è composta la torta. Quello che sembrava mancare, cioè il grano, è comparso sotto forma di torta. Si potrebbe ritenere che, essendo più difficoltoso rappresentare a mosaico chicchi o spighe di grano per la loro piccola dimensione, questa rappresentazione è stata sostituita con quella della torta, meno difficoltosa da realizzare. Invece, siccome lo scritto del mosaico de quo contiene il verbo "mangiare", per coerenza, in questa rappresentazione a mosaico al posto della spiga o dei chicchi di grano è stata preferita la torta.
    Il secondo particolare riguarda la disposizione delle lettere greche dello scritto, approssimativamente disposte a forma di matrice rettangolare. La matrice è stata leggermente ristretta in modo simmetrico nelle ultime due righe, non solo per avere in ciascuna di esse un’unica parola formata con le lettere della prima e dell’ultima colonna, ma anche, come si vedrà in seguito, per un altro motivo.
    ing. Domenico Nociti

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