Oggi è il 543° anniversario della morte dell’eroe nazionale albanese Giorgio Kastriota Skanderbeg. Per l’occasione, riportiamo il brano “La morte di Skanderbeg”, liberamente tratto dall’opera di Marin Barlezio.

Si narra che Skanderbeg si trovasse ad Alessio e lì fu colto da una febbre altissima. La malattia peggiorava ogni giorno di più e Skanderbeg, capendo che erano gli ultimi giorni della sua vita, mandò a chiamare tutti gli amici, i principi che erano venuti da lui, i rappresentanti della Repubblica di Venezia e tutti i capi del suo esercito. A tutti parlò, con benevolenza, così:

Giorgio Kastriota Skanderbeg

Giorgio Kastriota Skanderbeg

”La più alta virtù, o principi generosi e voi, amati compagni d’armi, credo che prima di tutto debba essere considerata l’onorare come si deve, con cuore e anima puliti, l’unico e vero Dio. La seconda è, poi, non solo amare e onorare la vostra patria, il luogo dove ognuno di voi è nato ed è stato educato, ma il difenderla anche a costo della vita. Tutti coloro che agiranno così, secondo i dotti,[1] avranno riservato un posto speciale in Cielo. Io, personalmente, senza alcun dubbio ho avuto a cuore questi insegnamenti, e ho messo al loro servizio tutte le mie energie, cercando di realizzarli. Testimone di ciò io ho prima di tutto il Signore Iddio, e poi voi, compagni miei[…].

Io ormai lo sento, o compagni fedeli di tante battaglie che, per volere della Provvidenza Divina da cui tutto dipende, dopo essere liberato da questo peso[2] temporaneo, andrò in altri luoghi[3] e cambierò questa breve vita e le sue sofferenze con la vera vita. E ve lo giuro, questo pensiero o, per meglio dire, questo evento ineluttabile, non mi spaventa in alcun modo. Io non mi sento sottomesso ad una forza crudele che ci condanna, perché è il nostro destino che ce lo impone appena veniamo al mondo. Non ci deve dispiacere, non dobbiamo lamentarci perché non stiamo subendo un torto; anzi secondo la legge naturale noi siamo nati per morire, è proprio questo il nostro destino. Alla fine la terra deve tornare alla terra; noi dobbiamo ubbidire alla natura. Quest’anima immortale e questo spirito celeste devono tornare da Colui che ce li ha prestati[…].

Però, prima del mio ultimo respiro e prima di andarmene da questa terra, è necessario che io vi parli ancora e vi consigli: la salvezza della Repubblica Cristiana e la fede cattolica conservatele anche dopo la mia morte. Tenetele sempre nel vostro cuore, sempre davanti ai vostri occhi, e date per esse anche l’ultima goccia di sangue, se è necessario, cosi come avete fatto quando io ero ancora vitale[…]”.

Dopo aver detto queste parole, continuò a parlare poi con suo figlio, chiamandolo vicino a sé e consigliandolo con parole dolci, così:

“O figlio mio, o figlio mio Giovanni, ecco, io sto morendo e sto lasciando a te, ancora bambino, un regno e un potere che saranno solidi e forti se sarai saggio ma che, se non lo sarai, non dureranno a lungo. Perciò, cerca di non anteporre nulla alla benevolenza e alla virtù, perché soltanto grazie ad esse, non solo potrai mantenere il tuo regno e il tuo potere sarà in mani sicure, ma riuscirai a farli diventare ancora più splendenti. Tuttavia per ora tu, o figlio mio, sei ancora piccolo e debole per tenere le redini del potere; oltre a questo tu hai ovunque dei nemici che sono bestie assetate di sangue, e cercheranno di divorarti. Tuo nemico giurato è Mehmet[4], il tiranno ed avversario irriducibile di tutti i cristiani; se tu dovessi affrontarlo, così piccolo e indifeso come sei, figlio mio, egli ti distruggerebbe. Dunque, figlio mio, appena avrai chiuso gli occhi di tuo padre e lo avrai seppellito, prendi tua madre e parti. Vai in Daunia, nelle tue città e nei tuoi castelli,[5] e resta lì finché non sarai cresciuto e diventato capace di guidare e governare il tuo Stato[…]. Quando sarà il momento di tornare, o figlio mio, e di governare il tuo regno, prima di tutto dovrai rispettare la giustizia, la quale è la più bella virtù fra tutte. Mantieni sempre l’imparzialità, non fare mai differenza fra il viso del povero e quello del ricco e del potente; in ogni cosa usa la saggezza e la giustizia. Il tuo regno lo devi proteggere tramite l’amicizia, perché la migliore difesa del regno non sono i tesori e nemmeno gli eserciti ma gli amici, che non potrai avere né con le armi né con l’oro; essi si guadagnano con la benevolenza e la fedeltà[…].

Copertina_Scanderbeg

Copertina del libro

Questi sono, o luce dei miei occhi, o figlio mio, i consigli che io stesso ho avuto da mio padre e dei quali sono rimasto sempre soddisfatto[…]”.

In quella stessa notte, Skanderbeg, dopo avere ricevuto l’assoluzione dai suoi peccati e dopo altri riti ecclesiastici ai quali si assoggettò con il dovuto rispetto, morì, consegnando se stesso e la sua anima al Signore onnipotente il 17 gennaio 1468 d. C. Si dice che Skanderbeg lasciasse questa vita all’età di 63 anni, nel venticinquesimo anno del suo regno. Skanderbeg iniziò a regnare il 28 novembre 1443.

Quando sentì che stavano piangendo la morte del re, Lek (Alessandro) Dukagjini, principe epirota, uscì correndo in piazza e con il viso scuro per il dolore e con la voce smorzata, strappandosi la barba e le vesti disse: “Venite, venite in fretta tutti, o principi arbëresh![6] Oggi le porte dell’Epiro e della Macedonia sono a pezzi, oggi sono caduti i muri e le nostre fortificazioni, oggi si è persa tutta la nostra forza, oggi sono stati rovesciati i nostri troni e il nostro potere; oggi si è spenta, con quest’uomo, ogni speranza nostra”.

Skanderbeg fu seppellito nella città di Alessio, nella cattedrale di San Nicola. La cerimonia funebre si svolse secondo le usanze antiche. Un rito dalla maestosità senza precedenti. La sua salma fu accompagnata con lacrime di dolore da tutti i suoi soldati, secondo le usanze del luogo, e da tutti i principi della regione. I suoi resti rimasero in pace finché Mehmet, il condottiero degli Ottomani, arrivò in Arbëria e in Epiro, per attaccare la città di Scutari. Durante questo periodo i Turchi e i barbari, diventando padroni della città di Alessio, trovarono e trafugarono dalla tomba, con propositi sacrileghi, i resti di Skanderbeg. Così, colui che da vivo era temuto più della morte e faceva fuggire i nemici al solo suono del suo nome, ora, forse per volere di Dio, veniva contemplato con sgomento ed incredulità da morto, ed i suoi stessi nemici quasi lo onoravano. Si riunirono in moltissimi attorno alla sua tomba, dove si trovavano le sue spoglie, perché si credeva che sarebbe stato fortunato colui che avesse guardato e toccato le sue ossa, e ancora più fortunato chi si fosse assicurato un frammento dei resti mortali di Skanderbeg. I fortunati che ebbero questo macabro cimelio lo ornarono chi con argento e chi con oro e se lo misero al collo come una reliquia, sacra e determinante per il loro destino, onorandolo con grande rispetto e con timore reverenziale, credendo che tutti coloro che possedevano quei frammenti avrebbero ricevuto nella vita lo stesso riguardo e la medesima benevolenza che aveva avuto dagli dei immortali Skanderbeg stesso, l’unico fra gli uomini di cui si ha memoria.


[1] I padri della chiesa, i Teologi.

[2] Il corpo.

[3] Nell’altro mondo.

[4] Il sultano Mehmet II.

[5] Le città e i castelli che il re Ferdinando di Napoli aveva regalato a Skanderbeg.

[6] L’Albania si chiamava Arbëria ai tempi, e i suoi abitanti si chiamavano arbëresh.

Liberamente tratto dal libro Historia de vita et gestis Scanderbegi, … dell’autore Marin Barlezio

Traduzione dall'albanese di Elton Varfi

Link versione albanese: Vdekja e Skënderbeut


3 Commenti

  1. Onore al grande Giorgio Kastriota.

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  2. Lavdi Gjergj Kastriotit te madh.

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  3. ONORE E RISPETTO PERENNE X UN GRANDE UOMO UN VERO EROE CHE HA DIFESO L'ALBANIA E L'EUROPA DALL'INVASIONE MUSSULMANA!!

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