Albania, il regno più giovane d’Europa (1)
di Melville Chater
Per la rivista National Geographic, febbraio 1931
Prima parte
“Perché volete viaggiare a cavallo?” ci domandò il console albanese mentre ci restituiva i passaporti timbrati. “Perché? Cosa dovremo fare?!” - rispondemmo - “In Albania non c’è la linea ferroviaria.” “Pensateci bene. Il paese è all’incirca di 30.000 km², che è una superficie piuttosto grande per essere percorsa a cavallo. Perché non prendete una macchina?” A questo punto rimanemmo stupiti: in Albania in macchina? Che colpo per la tradizione! “Al tramonto ho legato il cavallo per godere il panorama meraviglioso delle montagne.” Questa era una delle frasi più ricorrenti di Lord Byron, che veniva ripetuta a tutti i viaggiatori che visitavano il paese di Scanderbeg e Ali Pashà: “A cavallo per l'Albania montuosa.” Questa è una delle scelte più normali per chi visita questo paese. E noi l'avevamo adottata perché avevamo immaginato l'Albania come un territorio estremamente montuoso, la cui configurazione non permetteva i collegamenti con i mezzi motorizzati, e abitato da uomini selvaggi che sapevano usare benissimo il fucile. Nonostante ciò, ora ci trovavamo di fronte un console che ci stava mostrando su una mappa più di mille chilometri di strada nazionale asfaltata e ricordava, a noi americani “romantici”, che i tempi erano cambiati e che “la benzina era l’unica cosa che ci serviva per il viaggio in Albania!” “Ci penseremo.” gli rispondemmo; e ci pensammo veramente.
Melville Chater, mentre prende appunti sul suo viaggio in Albania, il regno più giovane d’Europa.
Il passaggio dal Medioevo ai tempi moderni
Una settimana dopo eravamo in viaggio in treno sulle catene montuose della Macedonia, fino alla città fiabesca di Follorina. Da lì, in macchina, salimmo su una montagna altissima, per poi scendere in una vasta pianura. “Quando entreremo in Albania?” – domandammo all’autista, cercando inutilmente all’orizzonte le montagne inaccessibili. “In Albania siamo.” – ci rispose lui, mostrando la pianura che sembrava non finisse mai. Quello che vedevano i nostri occhi era una sconfinata pianura piena di granoturco color oro che si abbassava sotto un venticello leggero, creando cosi l’illusione di un mare uscito, da qualche fiaba, in mezzo alla terra. Più all'interno si trovava la città di Korça, con i suoi giardini verdissimi e i minareti splendenti. In mezzo a questo paesaggio agricolo, cosi diverso da come noi lo avevamo immaginato, si trovava una strada carrozzabile piena di curve, sulla quale dei grossi camion procedevano piano in colonna, trasportando la posta e varie merci da un angolo dell’Albania all’altro. Una guerra terribile aveva lasciato dietro di sé almeno le strade. Con la fine della guerra del 1918, l’Albania, che era stata arena di guerra e corridoio militare, scoprì sia che aveva ereditato l’asse di una rete stradale efficiente e sia che aveva approfittato della buona esperienza della manovalanza del settore dei trasporti. Cosi, invece di un passaggio lento e graduale dal vapore alla benzina, come era successo negli altri paesi d’Europa, aveva fatto un passo da gigante dal Medioevo ai tempi moderni: dai cavalli alle macchine in una decina d’anni. Oggi (nel 1931) il governo spende intorno ai 200.000 mila dollari annui per l'estensione delle strade che erano state costruite ai tempi della guerra. Gli abitanti rurali dell’Albania ne sono responsabili, in virtù di una legge sulla manutenzione di un pezzo di strada di sei metri, anche con l’obbligo di lavorare loro stessi per la manutenzione.
Korça dimostra che l’Albania sta cambiando
Sia gli albanesi e sia gli stranieri che viaggiano attraverso a questo paese si troveranno davanti a grandi cambiamenti sociali. Al posto della frase “ho legato il cavallo” oggi sentiamo “ho parcheggiato la macchina”. Korça, che insieme a Scutari, Tirana e Argirocastro, fa parte delle città più grandi dell’Albania, che hanno come popolazione da 12.000 fino a 32.000 abitanti, ci mostra una delle parti più interessanti del paese. Edifici moderni si innalzano dove una volta c'erano le vecchie case nei vicoli tradizionali; al di là dei cancelli di ferro, si possono ammirare i giardini ricchi di fiori meravigliosi. Carri pieni di montagne di paglia bloccano la strada principale, innervosendo gli autisti delle auto. Il quartiere musulmano è caratterizzato dalla semplicità delle donne con il burqa nero. Il quartiere cristiano ha adottato un stile di vita europeo. Gonne che arrivano alle ginocchia, calze color carne e capelli corti. La ginnastica nelle scuole è una nuova materia che viene insegnata in tutto il paese, e questo è un chiaro segno di progresso. La parte conservatrice dell’Albania è rappresentata dalle mamme: per esse ogni tipo di sport che necessiti dell’uso dei pantaloncini e che sia seguito da una doccia fredda è la maniera migliore per morire giovani. Poi c’è la storia della palude di Maliq. Un governo giovane e ambizioso, che voleva bonificare la palude e, cosi, recuperare migliaia di ettari di terra, vendette il diritto di sfruttare questa palude ad una impresa estera. Gli ingegneri stranieri costruirono canali e bacini dove “imprigionarono” l’acqua della palude. Essa si era formata molti anni prima, come conseguenza delle piene dei fiumi che scendevano dalle montagne e che inondarono l’intera zona, in cui sorgevano decine di paesini che appartenevano ai Toschi. Un giorno, secondo una credenza locale, le acque avrebbero dovuto ritirarsi e ai nativi avrebbero dovuto essere restituite quelle terre che appartenevano loro da secoli, dai tempi dei loro avi. Miracolosamente, proprio come loro credevano che sarebbe successo, videro le acque ritirarsi, e davanti ai loro occhi apparvero le case e le terre dei loro antenati. Felici, essi tornarono nell’estensione riguadagnata. È superfluo descrivere la loro delusione quando scoprirono che il miracolo era successo grazie alla tecnologia e non per volontà di Dio, e che la terra ora apparteneva all’impresa straniera. Se qualche volta vi troverete a visitare la zone della palude di Maliq, non parlate con locali della bonifica della palude, perché vi caccerebbero.
Il giorno del mercato, Korça cambia pelle. Si riuniscono migliaia di paesani, ognuno vestito con il costume multicolore del suo paese. Scendono dalle montagne con i cavalli o a piedi e stanno tutto il giorno al mercato con la speranza di vendere un po’ di grano, una pecora, un cavallo. Il mercato dei cavalli a Korça è il più grande dell’Albania; è pieno di animali che battono nervosamente le zampe per terra e di uomini che battono le mani in continuazione. Qui si svolgono tutte le procedure possibili e immaginabili comuni ad ogni mercato di animali in tutto il mondo. Molti dei possibili compratori cercano di capire se la frase “non se ne va nemmeno se lo lasci slegato” significhi che il cavallo è addestrato bene o che è pigro.
Il mercato dei cavalli a Korça è il più grande di tutta l'Albania. (foto: Melville Chater)
Un “Nick Carter” albanese
Nei paesi civilizzati, un ladro di macchine viene condannato al carcere. In Albania, dove le condizioni sociali fanno venire in mente il Far West dei cowboy, il furto di un cavallo comporta la pena di morte tramite una procedura veloce. Per questo motivo la compravendita dei cavalli nel mercato avviene sotto l’attenta osservazione di un dipendente statale: egli munisce il compratore di un documento con il quale attesta che l’animale è stato comprato secondo tutte le leggi in vigore. Più tardi, una macchina con l’autista che ci avevano raccomandato si fermò fuori dal nostro albergo. Dopo aver attraversato l’enorme pianura di Korça, lasciando dietro di noi i minareti, ci trovammo in una galleria. “Questo posto è pieno di ladri.” ci disse il nostro autista albanese-americano. “Sapete cosa significa ladro?” ci domandò. “Lo sappiamo.” gli rispondemmo. Un'ora dopo entrammo in un secondo tunnel che ci metteva un po’ di paura. “Questo posto è pieno di bande di ladri.” ci disse di nuovo il nostro autista. “Conoscete il significato di banda?” Rispondemmo di “sì” un'altra volta. Quando arrivammo a Erseka, ci fermammo per guardare i nomadi che ritornavano sulle montagne dopo il mercato. A questo punto chiesi al giovanotto che ci faceva da autista il suo nome. Senza esitare si girò verso di noi. “Nick Carter.” mi rispose. Come era mai possibile? Avevamo viaggiato con un difensore “speciale”, Nick Carter, l’eroe dei racconti della nostra infanzia. Aveva egli forse origini albanesi? Mentre cercavamo di scoprire questo mistero, il giovanotto ci raccontò che una decina di anni prima si trovava in una scuola elementare di New York; la maestra, quando sentì il suo nome, Nexhet Qurraxhia, disse ai suoi genitori che dovevano fare qualcosa perché quel nome e quel cognome erano difficili da scrivere e pronunciare. Cosi suo padre adottò il cognome Carter, invece i suoi compagni di classe lo battezzarono Nick. Nei suoi primi documenti risultavano queste generalità. In seguito, un funzionario che si occupava dell'ufficio anagrafe aggiunse nei documenti del giovanotto, non senza un filo di ironia: from Death Valley.
Avvicinandosi a Leskovik, incontrammo dei muri fatti di neve; altissimi, arrivavano in cielo, tagliando i nostri contatti con il resto del mondo, come se volessero indirizzarci in qualche strada senza fine. Nei successivi dieci giorni, durante i quali abbiamo percorso in macchina le zone montuose, abbiamo incontrato spesso questa minaccia della natura.
Una catena montuosa al di là della fantasia
L'estensione delle catene montuose dell'Albania difficilmente può essere calcolata con esattezza. Se qualcuno dicesse che le Alpi albanesi arrivano fino al nord, considerando che le catene montuose cambiano aspetto ai confini albanesi, e che questo paese ha molti rilievi in tutta la sua estensione, l'unica cosa che potremmo ribattere è che questa persona ha descritto in maniera approssimativa le caratteristiche di questo piccolo regno.
Il secondo giorno seguimmo la corrente del fiume Vjosa. Questo fiume passa dalla Grecia in Albania con le sue cascate. Due guardie del confine, che si trovavano ai lati opposti di un ponte, una dalla parte in cui sventolava la bandiera bianca e blu e l'altra dalla parte della bandiera rossa con l'aquila bicipite degli albanesi, facevano di tutto per sembrare indifferenti e minacciose. Un pacchetto di sigarette cambiò completamente la situazione. Cominciarono immediatamente a discutere animatamente su quale parte fosse la migliore per fare delle foto, la parte greca o quella albanese.
Dopo quasi un'ora ci ritrovammo in una vallata davvero alpina, verdeggiante e con un fiume profondo che la attraversava scendendo dall'alto delle lontane montagne cariche di neve.
Link seconda parte
Traduzione dall’albanese di Elton Varfi
Link versione albanese: Shqipëria, Mbretëria më e re e Evropës (1)
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