Capitolo 4

L'Occupazione Italiana e Tedesca dell'Albania e la Resistenza (1939-1944)

Tra il 1939 e il 1944, l'Albania visse uno dei periodi più complessi e devastanti della sua storia contemporanea, segnato dalle occupazioni delle potenze fasciste e dall'emergere di una resistenza popolare che avrebbe profondamente trasformato la struttura politica e sociale del paese. Questo capitolo fornisce un'analisi dettagliata delle dinamiche di occupazione italiana e tedesca, della dissoluzione della monarchia, e del ruolo cruciale del movimento di resistenza albanese, esplorando le implicazioni a lungo termine di questi eventi sulla costruzione dell'identità nazionale e del sistema politico del dopoguerra.

L'Invasione Italiana e la Fine della Monarchia

Il 7 aprile 1939, l'Italia fascista, guidata da Benito Mussolini, invase l'Albania, ponendo fine all'indipendenza del paese e alla breve esperienza monarchica del re Zog I, costretto all'esilio. L'invasione fu il risultato di una strategia di lunga data per espandere l'influenza italiana nei Balcani, consolidando il controllo dell'Adriatico e creando un avamposto strategico per future campagne di espansione. La resistenza dell'esercito albanese fu limitata, non solo per la sproporzione delle forze in campo, ma anche per la mancanza di preparazione e coordinamento. Entro pochi giorni, i porti di Durazzo, Valona e altri centri strategici furono occupati, e l'Albania venne annessa formalmente all'Italia come parte di un'unione personale sotto la corona di Vittorio Emanuele III.


Il 7 aprile 1939, le truppe italiane sbarcarono a Durazzo, dando inizio all’occupazione dell’Albania. L’operazione, supportata da una massiccia flotta navale e aerea, segnò un momento cruciale per l’espansione del regime fascista nei Balcani.

L'obiettivo dell'Italia era quello di integrare l'Albania nella propria sfera d'influenza mediante un processo di italianizzazione e di colonizzazione forzata. Vennero rapidamente eliminati i confini doganali tra i due paesi, e le istituzioni albanesi furono sostituite con strutture di governo modellate sui principi del fascismo italiano. L'istruzione fu italianizzata: le scuole iniziarono a insegnare la lingua, la storia e la cultura italiana, e vennero create organizzazioni giovanili come i Giovani Fascisti per inculcare l'ideologia fascista nelle nuove generazioni albanesi. Sul piano infrastrutturale, l'Italia investì nella costruzione di strade, ferrovie e ponti, ma questi sviluppi avevano un duplice scopo: migliorare l'estrazione e il trasporto delle risorse naturali verso l'Italia e facilitare il controllo del territorio. Le risorse strategiche, come petrolio, cromo e legname, furono sfruttate intensivamente per sostenere lo sforzo bellico dell'Italia fascista.
L'occupazione italiana comportò una profonda trasformazione del quadro politico. Venne istituito un Consiglio Corporativo Fascista in sostituzione del parlamento albanese, e la gestione del potere locale fu affidata a funzionari italiani o ai loro sostenitori, limitando al massimo qualsiasi forma di autonomia. La gestione centralizzata e il sistema colonialista promossero uno sfruttamento sistematico delle risorse economiche a favore dell'Italia, impoverendo ulteriormente la popolazione albanese. Il malcontento crebbe soprattutto nelle aree rurali, dove i contadini vennero obbligati a fornire derrate alimentari alle truppe occupanti, provocando situazioni di carestia e aumentando il divario tra ricchi e poveri.
L'occupazione italiana non fu soltanto una conquista territoriale, ma anche una campagna ideologica volta a trasformare la società albanese in un'estensione del regime fascista. Gli sforzi di italianizzazione non si limitarono alle istituzioni statali e scolastiche, ma tentarono di influenzare ogni aspetto della vita pubblica e privata, dall'economia alla cultura. Le autorità fasciste cercarono di cooptare le élite locali, offrendo loro posizioni di potere all'interno della nuova amministrazione, mentre la popolazione rurale subiva il peso delle politiche di requisizione e dello sfruttamento agricolo. Questo processo portò a una resistenza diffusa, che si manifestò non solo attraverso la nascita di movimenti organizzati ma anche con forme di resistenza quotidiana, come il rifiuto di collaborare e il sostegno passivo ai gruppi partigiani.
La resistenza culturale all'occupazione italiana fu significativa. La popolazione albanese, profondamente legata alla propria identità nazionale, reagì con una forma di resistenza passiva, rifiutando di assimilarsi. Molti leader religiosi e comunitari si opposero attivamente alla collaborazione con le autorità fasciste, mentre la figura di Re Zog, seppur in esilio, rimase per molti un simbolo di resistenza e di speranza per un futuro senza l'occupazione straniera. Questa resistenza culturale rappresentava un'importante fonte di coesione per una popolazione che, sebbene divisa geograficamente e socialmente, condivideva una comune avversione all'occupazione straniera. Inoltre, la soppressione della cultura nazionale da parte del regime fascista non fece che rafforzare l'identità albanese, facendo emergere poeti, scrittori e artisti che usarono la loro opera come veicolo di protesta.

La Resistenza Albanese e la Collaborazione con i Movimenti dei Balcani

Dalla prima fase dell'occupazione italiana, iniziarono a formarsi nuclei di resistenza spontanei, composti principalmente da contadini e piccoli gruppi di nazionalisti. Tuttavia, fu solo nel 1941, con la fondazione del Partito Comunista Albanese, che la resistenza prese una forma organizzata e coordinata. Il Partito Comunista riuscì a mobilitare ampie fasce della popolazione, trasformando la resistenza in un movimento popolare con l'obiettivo non solo di scacciare gli occupanti, ma anche di creare una nuova struttura politica. Le operazioni di guerriglia furono pianificate e attuate con crescente sofisticazione, concentrandosi su obiettivi strategici come linee ferroviarie, infrastrutture di comunicazione e depositi di munizioni. La tattica principale consisteva in incursioni rapide e attacchi a sorpresa, seguiti da una ritirata immediata verso le aree montuose, dove i partigiani trovavano rifugio e supporto dalla popolazione locale.

Ingresso delle truppe italiane a Tirana nell'aprile 1939. L'invasione, celebrata con simboli fascisti e lo slogan "Rroftë Mbreti Imperator" (Viva il Re Imperatore), segnò l'inizio dell'occupazione italiana dell'Albania e l'annessione al Regno d'Italia.

La guerriglia albanese era caratterizzata da una profonda conoscenza del territorio e dalla capacità di sfruttare l'ambiente montano a proprio vantaggio. Questo approccio si rivelò particolarmente efficace contro un nemico meglio equipaggiato ma meno abituato alla complessità del paesaggio albanese. La resistenza, inoltre, si basava su una rete di comunicazione ben strutturata che coinvolgeva intere comunità. I villaggi, pur subendo pesanti repressioni, erano spesso il fulcro della logistica della resistenza, fornendo cibo, informazioni e nascondigli. Il coinvolgimento delle comunità locali rese la resistenza un fenomeno realmente popolare, che trascendeva le divisioni sociali e geografiche e univa la popolazione in uno sforzo comune contro l'occupazione straniera.
Un elemento distintivo della resistenza albanese fu la partecipazione delle donne, che ebbero un ruolo fondamentale sia nel supporto logistico che nel combattimento attivo. Le donne albanesi non solo svolsero compiti di trasporto di armi e medicinali, ma presero parte attivamente alle azioni di guerriglia, spesso dimostrandosi leader capaci nelle unità locali. La loro partecipazione contribuì a rompere le tradizionali barriere di genere, ponendo le basi per un ruolo più attivo delle donne nella società albanese del dopoguerra. Molte di loro, in seguito, divennero figure di spicco nelle amministrazioni locali e nei movimenti politici, contribuendo alla trasformazione sociale del paese. La presenza femminile nella resistenza era un aspetto rivoluzionario della lotta, poiché ridefiniva i ruoli di genere all'interno di una società tradizionalmente patriarcale, segnando un cambiamento profondo che avrebbe influenzato le generazioni successive.
Il movimento di resistenza albanese non operò in isolamento. Una delle sue caratteristiche principali fu la stretta collaborazione con altre forze antifasciste nei Balcani, in particolare con i partigiani jugoslavi. Questa alleanza transnazionale permise un migliore coordinamento delle operazioni di guerriglia e l'accesso a risorse e rifornimenti forniti dagli Alleati. La cooperazione tra partigiani albanesi e jugoslavi non fu priva di difficoltà, soprattutto per le tensioni etniche e politiche storiche, ma il nemico comune riuscì a creare una sinergia temporanea. La Conferenza di Pezë del settembre 1942 rappresentò un momento fondamentale per il consolidamento della resistenza albanese: durante questa conferenza, vari gruppi antifascisti decisero di unire le forze sotto il Movimento di Liberazione Nazionale, guidato dal Partito Comunista e da Enver Hoxha, che emerse come il leader indiscusso del movimento grazie alla sua abilità strategica e alla capacità di mantenere l'unità tra le diverse fazioni.

Stadio dei Marmi, 1939: cerimonia di consegna della corona di Skanderbeg al Re d’Italia, con sfilata di truppe albanesi in abiti tradizionali.
Enver Hoxha utilizzò abilmente la Conferenza di Pezë per consolidare il proprio potere, ottenendo il sostegno delle varie fazioni della resistenza e rafforzando l'idea di una lotta unitaria contro l'occupante straniero. Questa capacità di unificare il movimento antifascista sotto un'unica guida politica rappresentò un passo decisivo verso la formazione di un nuovo ordine politico albanese. La cooperazione con i partigiani jugoslavi, sebbene pragmatica, evidenziava le tensioni intrinseche che caratterizzavano i rapporti tra le diverse nazionalità dei Balcani. Tuttavia, la necessità di combattere un nemico comune superò temporaneamente le rivalità, e la resistenza albanese beneficiò in maniera significativa del supporto jugoslavo, sia in termini di strategia militare sia di rifornimenti.
Nel corso del conflitto, i partigiani albanesi riuscirono a liberare alcune aree del paese, che divennero basi operative dalle quali coordinare ulteriori attacchi contro le forze dell'Asse. Queste zone liberate costituivano un'alternativa tangibile al governo collaborazionista filo-italiano, dimostrando che era possibile una forma di autogoverno libero dal controllo straniero. In queste zone, vennero istituite amministrazioni locali e organizzate infrastrutture di base, segnali concreti della capacità del movimento di resistenza di autogovernarsi. Gli Alleati, specialmente il Regno Unito, fornirono supporto cruciale ai partigiani attraverso missioni segrete e rifornimenti paracadutati nelle zone montuose, permettendo così alla resistenza di rimanere attiva e ben fornita nonostante le dure repressioni degli occupanti.
Il sostegno della popolazione civile fu determinante per il successo del movimento partigiano. Molti cittadini comuni rischiarono la propria vita per offrire rifugio e supporto logistico ai combattenti. Le comunità rurali, grazie alla loro conoscenza del territorio, furono fondamentali nel nascondere i partigiani e nel garantire loro vie di fuga. Tuttavia, questa partecipazione comportò grandi rischi: le forze tedesche e italiane spesso risposero con rappresaglie brutali, bruciando villaggi e prendendo ostaggi come punizione per il sostegno dato alla resistenza. Le rappresaglie tedesche, che includevano esecuzioni sommarie e deportazioni, avevano lo scopo di terrorizzare la popolazione e di spezzare il legame tra civili e partigiani, ma spesso sortivano l'effetto opposto, rafforzando la determinazione delle comunità locali a sostenere la lotta.

L'Occupazione Tedesca e la Liberazione

Con la firma dell'armistizio tra l'Italia e gli Alleati l'8 settembre 1943, l'Albania passò sotto l'occupazione tedesca. I tedeschi, nel tentativo di stabilizzare il paese, promisero una parvenza di autonomia, ma si trattava principalmente di una strategia per ottenere il sostegno locale senza concedere alcun vero potere. L'occupazione tedesca fu caratterizzata da una brutalità ancora maggiore rispetto a quella italiana, con una politica sistematica di repressione della resistenza, rastrellamenti e rappresaglie. I nazisti erano determinati a mantenere il controllo dei Balcani, e le operazioni di contro-guerriglia furono pianificate per annientare ogni forma di opposizione. Tuttavia, nonostante la repressione feroce, la resistenza albanese non solo sopravvisse ma si intensificò, alimentata dal crescente odio verso l'occupazione e dalla speranza di una futura liberazione.
I partigiani albanesi, guidati da Enver Hoxha, continuarono a sabotare le linee di comunicazione e logistica tedesche, compiendo incursioni audaci che resero sempre più difficile per gli occupanti mantenere il controllo del territorio. La strategia partigiana si basava su un'efficace combinazione di guerriglia, sabotaggio e propaganda, volta a minare il morale delle truppe tedesche e a mobilitare ulteriormente la popolazione locale. Durante il 1944, i partigiani albanesi aumentarono la loro pressione sulle forze tedesche, riuscendo a liberare progressivamente vaste aree del paese. Questa fase culminò con la cacciata delle ultime forze tedesche il 29 novembre 1944, una vittoria che fu conseguita quasi interamente con le proprie forze, senza un intervento diretto delle truppe alleate. Questo successo rafforzò il prestigio del Partito Comunista, che si presentò come il legittimo liberatore del paese e il garante della sua futura indipendenza.
La resistenza durante l'occupazione tedesca mostrò una capacità straordinaria di adattamento e di perseveranza. Mentre le truppe tedesche cercavano di consolidare il loro controllo attraverso una rete di collaboratori locali, i partigiani riuscivano a minare continuamente le loro operazioni, colpendo i punti nevralgici del sistema di occupazione. Le tecniche di guerriglia adottate dai partigiani albanesi si basavano su attacchi rapidi e coordinati, che avevano lo scopo di infliggere il massimo danno possibile con il minimo rischio. Questo tipo di guerra asimmetrica si rivelò estremamente efficace nel contesto del territorio albanese, caratterizzato da montagne e vallate che offrivano riparo e vie di fuga. La popolazione civile, benché sottoposta a enormi pressioni e rischi, continuò a sostenere i partigiani, offrendo loro rifugio e informazioni cruciali.

Enver Hoxha, leader del Fronte Democratico, emerse dal movimento Partigiano che dal 1942 guidò la resistenza contro italiani e tedeschi, con il forte sostegno della popolazione rurale albanese.

Enver Hoxha, grazie alla sua leadership e alla capacità di coordinare le diverse fazioni della resistenza, riuscì a emergere come la figura dominante della politica albanese nel dopoguerra. Il suo ruolo nella liberazione del paese gli consentì di legittimare la presa del potere, e la vittoria sul nemico comune venne utilizzata come base per instaurare un regime socialista che avrebbe governato l'Albania per i decenni successivi. La narrazione della liberazione, costruita attorno al sacrificio e all'eroismo dei partigiani, divenne il fondamento del nuovo stato, unendo il paese sotto l'egida del Partito Comunista e fornendo una giustificazione ideologica per il controllo totale del potere da parte di Hoxha.

Conseguenze e Trasformazioni Sociali

La liberazione dell'Albania segnò un momento di grande orgoglio nazionale, ma anche l'inizio di un periodo di trasformazione politica radicale sotto la guida del Partito Comunista di Enver Hoxha. L'esperienza della resistenza legittimò i comunisti come i veri protagonisti della liberazione nazionale, consentendo loro di prendere il controllo del paese senza opposizioni significative. Tuttavia, questo nuovo ordine portò con sé un regime autoritario che avrebbe limitato molte delle libertà per le quali il popolo albanese aveva combattuto. La struttura politica fu completamente riorganizzata secondo i principi del marxismo-leninismo, con un controllo assoluto da parte del Partito Comunista su tutte le sfere della vita pubblica.
Le trasformazioni sociali indotte dalla resistenza furono altrettanto significative. La partecipazione delle donne alla lotta armata non solo le emancipò dal punto di vista sociale, ma le inserì attivamente nelle nuove strutture di potere. Nel dopoguerra, molte donne entrarono a far parte dell'amministrazione pubblica e del Partito Comunista, contribuendo alla costruzione del nuovo stato socialista. La guerra aveva inoltre politicizzato ampie fasce della popolazione, specialmente i giovani e i contadini, che si trovarono coinvolti per la prima volta nella vita politica del paese. Questo processo portò alla nascita di una nuova classe dirigente, formata da ex partigiani e leader locali che si erano distinti durante la resistenza.

L'esperienza della resistenza divenne parte integrante della narrazione nazionale albanese. Il regime di Enver Hoxha fece ampio uso della memoria della lotta partigiana per legittimare il proprio potere, costruendo un culto della resistenza che permeava l'educazione, la cultura e la politica del paese. I monumenti eretti in onore dei partigiani caduti, le celebrazioni annuali e i musei dedicati alla resistenza furono strumenti fondamentali per consolidare l'ideologia del nuovo stato. Tuttavia, la retorica della resistenza nascondeva le contraddizioni del nuovo regime: la promessa di una società libera e indipendente si tradusse rapidamente in una realtà di controllo autoritario, epurazioni politiche e repressione del dissenso.
Il regime di Hoxha consolidò il proprio potere attraverso una serie di misure repressive. Le epurazioni politiche furono feroci, e molti degli stessi combattenti partigiani che avevano lottato per la liberazione del paese furono eliminati o marginalizzati perché considerati potenziali oppositori del nuovo ordine. La collettivizzazione forzata dell'agricoltura e la nazionalizzazione delle industrie furono presentate come passi necessari verso la costruzione di una società socialista, ma ebbero costi sociali ed economici elevati. Le terre furono confiscate e redistribuite, e chiunque si opponesse rischiava l'arresto o la deportazione. Questo processo, sebbene abbia portato a una certa modernizzazione del paese, fu accompagnato da una perdita significativa di libertà individuali e da una crescente dipendenza dallo stato.
La resistenza albanese contro le forze dell'Asse non rappresentò solo una lotta per la liberazione nazionale, ma fu anche il catalizzatore di un cambiamento radicale nella struttura sociale e politica del paese. La partecipazione di massa, il ruolo crescente delle donne, la collaborazione con altri movimenti di resistenza nei Balcani e il sostegno degli Alleati furono tutti elementi che contribuirono al successo del movimento partigiano e alla successiva costruzione del nuovo stato socialista. Tuttavia, la transizione verso questo nuovo ordine non fu priva di sacrifici e contraddizioni. L'Albania riuscì a mantenere la propria sovranità nazionale, ma al prezzo di un controllo interno sempre più oppressivo, che avrebbe segnato la vita del paese per gran parte del XX secolo.
L'impatto della guerra e dell'occupazione si fece sentire anche nella struttura familiare e sociale del paese. La divisione delle famiglie, con uomini impegnati nella resistenza o costretti al lavoro forzato dagli occupanti, e il ruolo emergente delle donne come pilastri della comunità contribuirono a ridefinire le dinamiche sociali. Le donne, che durante la guerra avevano assunto ruoli attivi e visibili, continuarono a rivendicare un ruolo centrale anche nel dopoguerra, contribuendo a plasmare la nuova società socialista. L'emergere di nuove figure di leadership provenienti dalle fila dei partigiani trasformò la politica albanese, rendendo il processo decisionale più inclusivo ma anche più controllato dal Partito Comunista.

Novembre 1944: l’Esercito di Liberazione Nazionale sfila a Tirana dopo la liberazione dell’Albania. Un momento solenne che chiudeva un capitolo drammatico della storia nazionale e inaugurava una nuova fase per il paese.

Inoltre, la lotta contro gli occupanti promosse la creazione di una coscienza politica più diffusa. Prima della guerra, la politica era percepita come una questione riservata a una ristretta élite, ma la resistenza coinvolse ampie fasce della popolazione, dalle campagne alle città, creando una nuova generazione di attivisti e leader. Questo coinvolgimento diffuse una nuova consapevolezza politica e una maggiore partecipazione civica, anche se queste furono presto incanalate nel rigido sistema di controllo del Partito Comunista. La guerra non fu solo un momento di distruzione, ma anche di creazione e trasformazione, che avrebbe segnato profondamente il corso della storia albanese per le generazioni a venire.
Nel dopoguerra, la narrazione della resistenza divenne il fulcro dell'identità nazionale albanese. Il regime di Enver Hoxha utilizzò la memoria della lotta partigiana per legittimare la propria autorità e per costruire un'identità collettiva basata sul sacrificio, sull'eroismo e sull'unità contro il nemico comune. Monumenti, musei e celebrazioni annuali furono istituiti per commemorare la resistenza, mentre le storie di coraggio e sacrificio venivano insegnate nelle scuole e diffuse tramite i media di stato, rafforzando l'ideologia del regime. Tuttavia, la realtà del dopoguerra fu segnata da profonde contraddizioni. L'indipendenza nazionale fu ottenuta, ma al prezzo della libertà individuale. L'eroismo della resistenza fu utilizzato come strumento di propaganda per giustificare un regime che ben presto si rivelò repressivo e autoritario.
Il percorso dell'Albania verso la libertà e l'indipendenza fu segnato da ambiguità profonde. La resistenza rappresentò un momento di grande unità nazionale e di coraggio, ma il prezzo della liberazione fu l'instaurazione di un regime che avrebbe limitato molte delle libertà per cui il popolo aveva combattuto. La transizione verso un nuovo stato socialista non fu lineare né priva di sacrifici: se da un lato l'Albania riuscì a mantenere la propria sovranità nazionale, dall'altro la repressione interna, le epurazioni politiche e l'isolamento internazionale segnarono profondamente il paese. Questo capitolo della storia albanese è quindi un racconto complesso di eroismo, sacrificio e speranza, ma anche di contraddizioni e sfide che avrebbero continuato a influenzare il paese per decenni, plasmando la sua identità e il suo futuro politico.


Bibliografia

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