Chiudiamo il 2023 con un pezzo di Papàs Gaetano Petrotta.
L’occasione mi è gradita per augurare a tutti voi un sereno Natale e un felice Anno nuovo.



Valori religiosi e culturali delle colonie siculo- albanesi nella mostra dei cinquecento anni[1]

Papàs Gaetano Petrotta



Dal sec. XV al sec. XVIII in successive emigrazioni vennero a stabilirsi in Italia forti nuclei di Albanesi che, per sfuggire alla tirannide ottomana sotto la quale insieme alla libertà politica avrebbero perduto anche la libertà religiosa costretti ad abbracciare l'islamismo, cercarono sicuro asilo nelle varie regioni italiane. Qui trovarono in primo tempo buone accoglienze sia perché venivano con l'aureola di difensori della fede cristiana nella lunga lotta contro i Turchi, sia per le relazioni di amicizia tra il loro eroe Giorgio Castriotta Scanderbeg e i Principi italiani, specialmente i Re di Napoli e Sicilia e i Papi, sia anche perché, essendo molte contrade, prima popolose e fiorenti, a quel tempo desolate e disabitate per le continue guerre, per i frequenti terremoti e per mortali epidemie, questi esuli vi portavano considerevoli vantaggi demografici ed economici: perciò i Principi, i Vescovi, i Baroni concedevano loro privilegi e facilitazioni per ripopolare paesi distrutti, per fondarne dei nuovi, per coltivare e bonificare zone abbandonate, malariche e boscose.
Papàs Gaetano Petrotta 1882 - 1952

Così sorsero i molti comuni italo-albanesi, oltre un centinaio, negli Abruzzi e Molise, nelle Puglie, nella Lucania, nelle Calabrie, nella Sicilia. Già nel 1448 vennero in Calabria e in Sicilia delle colonie militari guidate da Demetrio Reres e dai suoi figli Giorgio e Basilio in aiuto del Re di Napoli Alfonso d'Aragona per domare la ribellione della Calabria e per custodire le coste della Sicilia dalle incursioni dei Francesi e dei Saraceni, e nel 1461 altre guidate dallo stesso Scanderbeg, sollecitato da Pio II, in difesa di Ferdinando I, detto il Re. Ferrante, contro Giovanni d'Angiò e i Baroni ribelli; da queste colonie militari traggono origine i più antichi comuni italo-albanesi. Le più frequenti e numerose emigrazioni avvennero dopo la morte di Scanderbeg (1468), durante i sec. XV e XVI, quando i Turchi invasero tutta la Penisola balcanica e sottomisero al loro giogo l'Albania. Nel sec. XVII altri gruppi vennero in Italia e nel sec. XVIII fu fondata Villabadessa (Pescara) e Borgo Erizzo presso Zara, la sola colonia proveniente dall'Albania del Nord, perché tutte le altre provenivano dall'Albania meridionale e dalla Morea che, dominio veneziano, era abitata in prevalenza da popolazioni albanesi ivi emigrate in grandi masse nei sec. XIII, XIV e XV fin quasi a cambiarne la fisonomia etnico-linguistica.
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Queste emigrazioni di masse albanesi e i vari nuclei più o meno numerosi che si raccolsero attorno a una chiesa o a una parrocchia nelle principali città della costa adriatica e nei più importanti centri del regno di Napoli e di Sicilia e di altre regioni italiane, rappresentano uno dei più grandi movimenti di popoli che vennero a stabilirsi in Italia nei tempi moderni e costituiscono un interessante fenomeno etnico, linguistico, religioso che attira l'attenzione di studiosi e di viaggiatori italiani e stranieri in cerca di curiosità folcloristiche. Purtroppo i comuni italo-albanesi che conservano ancor oggi lingua, usi, costumi, tradizioni, rito religioso sono pochi; in maggior parte sono stati completamente italianizzati ; un certo numero, che conserva la parlata avita, ha perduto il rito greco e le costumanze popolari con esso legate. I comuni che meglio conservano le loro caratteristiche etniche sono compresi nelle due Eparchie o Diocesi di rito greco recentemente istituite a Lungro (1919) in Calabria e a Piana dei Greci o degli Albanesi (1937) in Sicilia; essi soli sono sfuggiti alla totale latinizzazione dovuta più che all'edacità del tempo alle disposizioni restrittive contro il rito greco in Italia contenute specialmente in una Bolla di Clemente VIII del 1595 e ribadite con maggior rigore in una Bolla di Benedetto XIV del 1742: queste disposizioni restrittive furono il pretesto per una lotta costante contro il rito greco, la quale alimentò e alimenta il dissidio greco-latino in alcune colonie provocandone il gradua le decadimento. Gli italo-albanesi hanno tenuto fede alla loro tradizione basata sul sentimento religioso e sull'amor patrio: per la religione e per la patria, guidati per un quarto di secolo da Giorgio Castriotta, chiamato dai Pontefici del tempo Atleta di Cristo, Scudo del cristianesimo, Difensore della fede, essi lottarono e sacrificarono le cose più care al cuore dell'uomo, cercando la salvezza della libertà personale e della libertà religiosa in Italia centro della civiltà cristiana e sede del Vicario di Cristo. Gli italo-albanesi hanno curato la loro tradizione culturale conservando i canti popolari che, portati con loro nell'esilio, sono stati sempre ripetuti di generazione in generazione come la storia delle epiche lotte contro il cane turco e delle sventure della loro patria dove lasciarono le tombe dei loro cari profanate dai barbari invasori, dove lasciarono le loro chiese cambiate in caserme e in stalle dalle orde degli in-fedeli.

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Superata la crisi che travolse la maggior parte delle Colonie e che fece abbandonare le missioni tenute in Albania per circa due secoli dai monaci basiliani di Mezzoiuso e di Grottaferrata e dal clero italo-albanese, in questi comuni superstiti, con l'erezione dei due istituti di istruzione e di educazione, il Collegio italo-albanese (1732) ora in S. Adriano nel comune di S. Demetrio Corone (Cosenza), per la Calabria e il Seminario italo-albanese (1734) in Palermo per la Sicilia, si sviluppò da Girolamo De Rada (1814-1893) a Giuseppe Schirò (1865-1927), i due più grandi poeti italo-albanesi, una letteratura dotta e artistica che è buona parte della letteratura albanese propriamente detta, e furono coltivati gli studi storici, etnografici, linguistici con vivo fervore da attirare l'attenzione di scienziati italiani e stranieri (C. Cantù, N. Tommaseo, G. I. Ascoli, D. Comparetti, F. Bopp, G. Meyer, A. Lamartine, Dora d'Istria, per ricordarne alcuni) sul popolo albanese che, dimenticato dalla diplomazia europea, poté liberarsi soltanto nel 1912 dal giogo ottomano e dalle fameliche brame slave e greche. Con la fondazione della Congregazione dell'Oratorio per i sacerdoti celibi di rito greco (1716) e del Collegio di Maria (1731) in Piana degli Albanesi e con l'istituzione dei due vescovadi propri per la Calabria (1735) e per la Sicilia (1784), pur senza giurisdizione ordina-ria, si ebbe un notevole rifiorimento del rito greco, una buona organizzazione ecclesiastica e una confortante ripresa della vita religiosa nel popolo che, nonostante la incomprensione degli elementi latini locali, non dimenticò mai la missione assegnata agli italo-albanesi dalla Provvidenza di riportare il cattolicesimo nella patria degli avi in gran par-te islamizzata e di zelare con i mezzi che la storia e la tradizione ha posto nelle loro mani per il ritorno dei fratelli separati di Oriente all'Unità cattolica. Per questa provvidenziale missione la S. Sede si è degnata in questi ultimi anni di dare una sistemazione giuridica alle Colonie albanesi d'Italia con l'istituzione delle due Eparchie per la conservazione del rito greco ai fini dell'apostolato per l'Oriente cristiano. Mentre i Pontefici degli ultimi decenni per questi fini istituiscono la Congregazione per la Chiesa Orientale e il Pontificio Istituto Orientale e il Pontificio Seminario italo-albanese nel Monastero di Grottaferrata e le due Eparchie; gli italo-albanesi, seguendo le direttive della S. Sede, sono stati pronti a rispondere alla chiamata del Padre comune e nell'aprile del 1929, in seguito alla pubblicazione della Enciclica « Rerum Orientalium » (1928) di Pio XI, costituiscono a Palermo per iniziativa di zelanti sacerdoti e laici siculo-albanesi e della stessa città, un “Circolo di studi pro Oriente cristiano” che nel 1931 diventa l'Associazione Cattolica Italiana per l'Oriente Cristiano (ACIOC) sotto la sapiente guida del Card. Luigi Lavitrano, Arcivescovo di Palermo, la quale con le Settimane Orientali di preghiere e di studi nelle principali città d'Italia diffondeva tra i cattolici la conoscenza dell'Oriente cristiano separato per avere la possibilità - come diceva il Papa Pio XI ai rappresentanti dei giovani universitari cattolici nel gennaio 1927 - “di partecipare, quando la Provvidenza lo chieda, a quell'opera di così alta attualità e così corrispondente ai particolari bisogni e atteggiamenti dei tempi presenti, che è l'unione delle Chiese, o co-me meglio si dovrebbe dire, la riunione dei gruppi separati all'unica vera Chiesa”.

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Ricorreva nell'anno ora scorso, 1948, il quinto centenario della prima venuta degli Albanesi in Sicilia. I siculo-albanesi hanno voluto celebrare questo centenario con particolari festeggiamenti come l'incoronazione della Madonna Odigitria (5 settembre; Patrona dell'Eparchia di Piana degli Albanesi, il Convegno internazionale di studi albanesi in Palermo e la “Mostra dei 5oo anni” che si inaugurò alla chiusura del Convegno la sera del 26 ottobre a Piana degli Albanesi presenti le Autorità regionali e provinciali e i congressisti, i più noti glottologi e filologi italiani e stranieri. Questa, tuttora aperta nei locali del Collegio di Maria, è continuamente visitata con vivo interesse da studiosi, da turisti, da comitive di studenti e da amatori delle tradizioni popolari. La Mostra dei 500 anni è una galleria nella quale quadri, ritratti, libri, opuscoli, memorie, periodici, manoscritti, documenti ci presentano come in una rassegna cinematografica la storia delle origini, dello sviluppo, delle vicende, dei contrasti di queste Colonie albanesi le quali hanno saputo non solo creare una letteratura e una cultura specifica caratteristica propria, ma si sono inserite nella vita e nella cultura siciliana e italiana con poeti e scrittori, con scienziati e artisti, con magistrati, medici, ingegneri, con parlamentari e uomini politici di prim'ordine, e sono state sempre in prima linea in tutti i movimenti per il risorgimento politico dell'Italia e per la soluzione dei problemi sociali come in generale per il progresso morale e materiale del popolo. La Mostra dei 500 anni è una esposizione ordinata di tutto quanto rappresenta l'attività religiosa, culturale, politica dei siculo-albanesi nei cinque secoli di vita siciliana dove nella simbiosi con le altre popolazioni dell'Isola hanno potuto conservare lingua, costumanze, rito religioso, di cui danno una chiara visione d'insieme e una interessante documentazione le varie sue sezioni. La sezione folcloristica è collocata in due sale ; in una sono disposti quattro manichini opportunamente vestiti con le varie fogge dell'abito femminile riccamente ricamato in oro o in argento o in seta; separatamente vi è una variata esposizione dei diversi pezzi di cui l'abito si compone: gonne, manti, mantelli, cheze o caratteristici diademi copricapo ricchi di ornamenti ricamati; nell'altra sala si ammirano i cinti di argento con i medaglioni rappresentanti la Madonna o i Santi Patroni ; ci sono gli ornamenti di oro: orecchini, collane, crocette, anelli e gioielli vari. In una sala riservata per l'esposizione di oggetti sacri si possono vedere i ricchi paramenti ieratici e vescovili ricamati in oro e argento o seta, lavori, come quelli del costume femminile, della tradizionale scuola di ricamo dello stesso Collegio di Maria ; vi sono insieme calici, pissidi, ostensori, incensieri, croci, crocifissi ed altri oggetti sacri di argento che dimostrano con quanto amore i siculo abanesi hanno curato di dotare le belle chiese, costruite con i loro sacrifici, di tutto il necessario arredamento per il decoro della Casa del Signore e per la solenne celebrazione delle funzioni religiose nella magnificenza del rito greco ereditato dagli avi. Vi sono esposti anche libri liturgici di pregiate e rare edizioni, Evangeliari con ricche legature placcate di argento; fra questi attira l'attenzione dei visitatori un Evangeliario manoscritto su pergamena e carta pergamenata del sec. XIII o XIV che si tramanda come prezioso cimelio portato dall'Albania, insieme con alcuni quadri, per lo più della Madonna, su tavola bizantineggianti che si espongono alla venerazione dei fedeli in determinate solennità liturgiche. Croci antiche di legno intarsiato, antimensi, specie di corporali con le reliquie, su cui si compie il sacrificio della Messa, ricamati o con stampe a colori rappresentanti scene della Passione, quadri, quadretti di varia grandezza, di varia epoca e di vario pregio ornano la sala degli oggetti sacri. Il bel salone dell'Azione Cattolica è diviso in due reparti: sezione missionaria ed ecclesiastica e sezione culturale albanologica e generale. Nel mezzo del reparto missionario si erge un trittico formato dal-lo storico quadro della Madonna Odigitria, il palladio della fede e il più caro ricordo religioso siculo-albanese, dal ritratto di Giorgio Castriotta Scanderbeg, testimonio della eroica tradizione cattolica italoalbanese, e dal ritratto del Servo di Dio il P. Giorgio Guzzetta, l'Apostolo degli Albanesi di Sicilia e zelante precursore dell'apostolato per l'Oriente cristiano a cui consacrò tutta la sua vita e dedicò tutte le sue opere e le sue istituzioni. Attorno alle pareti sono disposti i gonfaloni dei comuni siculo-albanesi e i ritratti dei vescovi, prelati e sacerdoti insigni per cultura, zelo pastorale e amore per il rito greco e per la tradizione religiosa orientale cattolica. Notevoli fra gli altri sono i ritratti dei, monaci basiliani di Mezzoiuso e di Grottaferrata che furono Arcivescovi e Vicari Apostolici per le Missioni nell'Albania meridionale: Mons. Nilo Catalano, autore di un dizionario e di una grammatica albanese, morto nella Chimara nei 1694, Mons. Filoteo Zassi di Mezzoiuso morto nel 1722, Mons. Basilio Matranga morto nel 1748; manca il ritratto di Mons. Giuseppe Schirò morto nel 1760, autore di una “Notizia distinta degl'Italo-Greci e degl'Italo-Albanesi” in occasione di dover rispondere ad alcuni quesiti proposti da un Personaggio - In Roma - L'anno 1742. Questo interessante Documento, di cui il manoscritto è esposto nella Mostra, fu pubblicato in Roma e l'Oriente, vol. VII (1914), p. 282-285, 340-349. Nello stesso reparto missionario in apposito scaffale sono collocati alcuni fra i più antichi registri di battesimo, di matrimoni, di morte e altre antiche scritture e documenti assai utili per la storia dello sviluppo demografico delle Colonie e per lo studio comparativo dei cognomi corrispondenti a nomi di paesi e di contrade dell'Albania meridionale per stabilire con probabile approssimazione i luoghi di provenienza delle più numerose emigrazioni d cui tacciono i documenti del tempo. Nel reparto culturale sono esposti, con i ritratti degli autori, libri, opuscoli, manoscritti di scrittori e poeti siculo-albanesi: Luca Matranga (1592) autore di un catechismo albanese, il primo libro stampato che si conosca dell'albanese di Sicilia, Nicolò Giorgio Brancato (1675-1741) di Piana degli Albanesi, Nicolò Figlia (1693-1769) e Giovanni Barbaci (1742-1791) di Mezzoiuso, autori di poesie religiose tuttora diffuse ne? popolo, pregevoli anche per lo studio delle parlate siculo-albanesi; Nicolò Chetta (1742-1803) di Contessa Entellina, Gabriele Dara (1765-1832), Andrea Dara (1796-1872), Gabriele Dara junior (1826-1885), Pietro Chiara (1840-1915) poeta, giornalista, Deputato al Parlamento, Fr. Crispi Glaviano (1852-1933) tutti di Palazzo Adriano; Demetrio Camarda (1821-1882) Parroco a Livorno, autore noto del “Saggio di Grammatologia comparata della lingua albanese 1864”, Giuseppe Camarda (1831-1878), Giuseppe Schirò (1865-1927), Mons. Paolo Schirò (1866-1941) di Piana degli Albanesi : questi e altri autori con la loro produzione poetica e letteraria e con i loro studi e i loro scritti mentre hanno arricchito di pregiati poemi e poemetti e liriche e prose sacre e profane la letteratura albanese, hanno contribuito con opere filologiche, grammaticali e linguistiche al progresso dell'albanologia in Europa. Dei numerosi ellenisti, liturgisti, paleografi, archeologi, traduttori di classici e di opere dei SS. Padri, filologi e grammatici dei quali sono esposti i ritratti, opere e manoscritti, ricordiamo i principali delle varie Colonie: Paolo Maria Parrino (1710-1765), Papas Nicolò Dragotta (+1837), Mons. Giuseppe Crispi (1781-1859), Papas Pietro Matranga (1807-1855), Papas Nicolò Camarda (1807-1884), Papas Spiridione Lojacono (1812-1874), Papas Vincenzo Schirò (1820-1875), Papas Filippo Matranga (1822-1888), Papas Nicola Franco (1835-1916), Papas Giuseppe Musacchia (1837-1910), Papas Onofrio Buccola (1843-1925), D. Nilo Borgia (1870-1942) e D. Sofronio Gassisi (1873.1923). Della sezione di cultura generale ricordiamo: Costantino M. Costantini (1782- 1837) poeta e alto magistrato, Giovanni Emanuele Bidera (1784 -1858) scrittore, drammaturgo librettista del Donizetti, Giuseppe Spata (1828-1901) grecista, paleografo, Gabriele Buccola (1854-1885) psichiatra alienista di fama europea, Giuseppe Arcoleo clinico oculista, Fr. Spallitta (1860-1925) insigne fisiologo, Giuseppe Gabrielli (+1931) e Giuseppe Sulli (+1942) noti medici infortunisti ; Giorgio Masi (1836-1905) giurista senatore, Simone Cuccia (1841-1894) celebre avvocato deputata al Parlamento, Paolo Figlia (1842-1916) giurista deputato al Parlamento, sopra tutti celebre Francesco Crispi Genova (1819-1901), il ritratta del quale sta al centro della parete destinata all'esposizione del Risorgimento con interessanti documenti sulla larga partecipazione dei siculo-albanesi ai movimenti insurrezionali del '48 e del '60: fra cui famosi Pietro Piediscalzi, Spiridione Franco, Giuseppe Bennici, Andrea Salgano e molti altri. Nello stesso salone sono disposti i ritratti dei fondatori di Istituti siculo-albanesi: Andrea Reres, fondatore del Monastero basiliano (1609) di Mezzoiuso; Giacomo Matranga, che col suo patrimonio fondò nel 1626 l'Ospedale civico di Piana degli Albanesi; il Sac. Antonino Brancato, fondatore del Collegio di Maria (1731) di Piana; D. Angelo Franco (+1789), che lasciò il suo patrimonio per il Collegio di Maria di, Mezzoiuso; il Comm. Fr. Saluto (1809-1892), alto magistrato, giurista, che destinò tutto il suo patrimonio per far sorgere il Convitto Saluto per giovani universitari di Piana degli Albanesi; il Conte Tommaso Manzoni (1819-1893), che col suo vistoso patrimonio istituì gli Asili rurali di Palermo e l'Asilo di Piana degli Albanesi. Molte sono le opere esposte nella Mostra che appartengono ad autori viventi dei quali per brevità non si fa parola in questa fugace rassegna, ma che certamente troveranno posto in una più completa enumerazione e in una più attenta e minuta descrizione degli oggetti artistici e delle produzioni culturali scientifiche e letterarie degli Albanesi di Sicilia. Una sala-corridoio, dopo la sala folcloristica, è riservata alle fotografie illustrative delle Colonie e, necessario compimento della Mostra, all'esposizione di esemplari dei periodici e giornali politici, culturali, religiosi che si sono pubblicati in italiano e in albanese da oltre sessant'anni (Arbri i rii - La giovane Albania 1887 di Giuseppe Schirò) fino ad oggi dai siculo-albanesi. I documenti disposti nelle pareti del salone relativi alle Colonie, ai diritti e preminenze della Chiesa di rito greco, alla fondazione degli Istituti di istruzione, di educazione, di beneficenza, e quelli relativi al Risorgimento italiano e alla Lega albanese di Palermo che tanta opera spiegd per l'indipendenza dell'Albania, e quelli riguardanti l'Associazione Cattolica Italiana per l’Oriente Cristiano e l'Eparchia, sono come il suggello di autenticità, se ce ne fosse bisogno, di tutte e singole le sezioni della Mostra dei 500 anni.




[1]Estratto dal Bollettino della Badia di Grottaferrata, VOL. III. 1949, fase. I.GROTTAFERRATA - Tip. ITALO-ORIENTALE “S. NILO”.

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