Nel regno delle Aquile

Piero Pasini


L'Albania, da noi, è un Paese vittima dei luoghi comuni. Ma la sua storia è sorprendente: risale fino agli illiri di 2.500 anni fa e ha conosciuto vicende esaltanti, come la lotta per l'indipendenza dagli ottomani (e dagli italiani)[1].
Le prime carrette del mare cariche di uomini, donne e bambini incrociarono al largo dei porti di Otranto e Brindisi nel marzo del 1991. Ad agosto di quell'anno l'esodo dall'Albania aveva raggiunto proporzioni bibliche. La nave Vlora, di modeste dimensioni, approdò a Bari carica all'inverosimile: venti mila persone stipate in ogni centimetro libero, fin dentro le scialuppe.
Quegli sbarchi di disperati e festanti al tempo stesso furono i primi di una lunga serie e inaugurarono una nuova stagione nei rapporti italo-albanesi.
Radici illiriche Il sito archeologico di Berat, patrimonio tutelato dall'Unesco. Il castello, ricostruito in epoca ottomana con scopi difensivi, sorge presso la città fondata dagli Illiri nel IV secolo a.C.

Primi pirati
“L’onda di piena” di vent'anni faceva parte di un flusso migratorio dall'Albania verso l'Italia che costituisce un dato pressoché costante dagli ultimi decenni del XIV secolo. Ma già a partire dall'epoca degli illiri, antico popolo di cui gli albanesi odierni si ritengono i discendenti, l'Albania ha sempre dovuto guardare all'esterno. A quel tempo, nel VII secolo a.C., quando cioè i Greci fondarono le colonie di Epidamnos e Apollonia
nell'attuale Sud dell'Albania, le popolazioni della costa si davano alla pirateria, mentre quelle dell'entroterra erano organizzate in maniera tribale. Gli illiri parlavano una lingua indoeuropea che fornì probabilmente la base per l'albanese moderno e i loro guerrieri combattevano con cotte di maglia come gli sciti, ma senza carri, come i celti. Già allora gli albanesi avrebbero potuto essere definiti esuli, migranti. Sul mare erano in guerra continua con i greci: facevano base nei porti e negli anfratti della costa balcanica dell'Adriatico. Nell'entroterra si scontrarono con i macedoni di Alessandro Magno che, integrandoli nel proprio esercito, li condusse con sé alla conquista della Persia.
Terra di confine
Mai del tutto ellenizzata, la cultura illirica fu spazzata via dall'imperatore romano Traiano (98-117 d.C.). Il regno di Glauco, che nel 312 a.C. aveva liberato Durazzo dai macedoni, era un lontano ricordo. Fu però Diocleziano (284-305 d.C.) a fare dell'attuale Albania una terra di confine: nel Nord del Paese stabilì la frontiera tra l'Impero romano d'Occidente e quello d'Oriente.
Passato classico L'anfiteatro di Butrinto, centro greco, poi protettorato romano dal III secolo a.C.

Da quel momento la regione divenne terra di passaggio, crocevia di religioni, culture e commerci. Nel Medioevo la pressione dei cosiddetti "barbari" (slavi in particolare) costrinse gli albanesi alle prime vere emigrazioni. Chi rimase in patria visse una sorta di esilio volontario in cima alle impervie montagne, fra i nidi d'aquila. Quei montanari fornirono inconsapevolmente un fonda-mento mitico alle aspirazioni dei nazionalisti del '900, che li identificarono come i primi veri albanesi. Sulle coste spadroneggiavano invece i veneziani. Non è escluso che alcuni albanesi abbiano approfittato della presenza dei navigli della Serenissima per emigrare. A Venezia la calle de-gli albanesi testimonia la presenza di una comunità, e vari documenti confermano che era ancora fiorente nel Quattrocento. Se Venezia si rivelò un'opportunità, ser-bi e bizantini che si contendevano i Balcani furono soprattutto una minaccia. Ma siccome fra due litiganti il terzo gode, furono i turchi ottomani a occupare la peni-sola, sconfiggendo i serbi nella Piana dei Merli, in Kosovo. Era il 1389.

Resistenza
Dopo avervi messo piede, i turchi rimasero nei Balcani per cinque secoli. Ripartì così una nuova emigrazione sulla rotta Albania-Italia. Sulla cima delle montagne, intanto, si organizzò un'agguerrita resistenza. Ci vollero più di 50 anni, ma nel 1444, nella cattedrale di San Nicola, ad Alessio, si incontrarono tutti i principi delle tribù albanesi assieme a rappresentanti della Repubblica di Venezia. Proclamarono Giorgio Castriota, meglio noto come Scanderbeg, guida della nazione albanese (chiamata allora Arberia[2]). 
Eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg (1405-1468): guidò la rivolta contro gli ottomani e unì le tribù albanesi.

E la stessa aquila dello stendardo del condottiero campeggia oggi sulla bandiera albanese. Scanderbeg riunì le varie tribù e nessun comandante turco ebbe mai la meglio sulle esigue, male armate ma coraggiose truppe albanesi. Le gesta di Scanderbeg risuonarono per tutto l'Occidente, spinsero il papa a inviare delegazioni e misero in allarme i veneziani, alleati dei ribelli, ma che facevano affari con i turchi. Di fronte all'imbattibilità di Scanderbeg e dei suoi, il sultano Maometto II chiese la pace, che venne respinta. Non valse nemmeno la mediazione del doge di Venezia. A piegare la resistenza fu solo la malaria, che uccise Scanderbeg nel 1468. Morto lui, gli ottomani ebbero via libera.

Albanesi d’Italia
Sotto il dominio turco gli albanesi, all'epoca divisi fra cattolici e ortodossi, avevano due scelte: convertirsi all'islam e ottenere le ampie libertà politiche e civili che i turchi garantivano, oppure emigrare. A giudicare dalle dimensioni dell'ondata migratoria (circa duecento mila persone) verso l'Italia del Rinascimento, moltissimi scelsero l'esilio. Soprattutto le grandi casate: i Castriota, i Musachi, gli Arianiti, i Topia, sovrani di fatto nel Paese, giocarono non di rado un molo anche nella politica italiana. Giovanni Francesco Albani, discendente da parte di padre da uno dei generali di Skanderbeg, divenne addirittura papa nell'anno 1700, col nome di Clemente XI. Gli albanesi che rimasero in patria si diedero il nome di skipëtar - da shqipëria che significa “nido delle aquile” - mentre gli albanesi della diaspora mantennero il nome di arbëreshë (da Arbëria). Gli arbëreshë si stabilirono per lo più in Italia, fondando e popolando villaggi nel Regno di Napoli o esercitando il mestiere a loro più congeniale: quello delle armi. A Piana degli Albanesi (Palermo), sede di un'eparchia (diocesi) di rito ortodosso bizantino, gli arbëreshë da più di 5 secoli conservano intatte le proprie tradizioni, i costumi, la lingua e la gastronomia. 
 Una arbëreshë fotografata da Fosco Maraini negli Anni '50 a Piana degli Albanesi (Pa).

Un'altra importante eparchia si trova a Lungro (Cz) in Calabria, regione dove è concentrato il maggior numero di appartenenti a questa comunità. I centri arbëreshë sono più di cinquanta, disseminati in tutto il Sud, sulle isole e in Abruzzo, per una popolazione che oggi è stimata di centomila persone e che parla una lingua indoeuropea derivata dal tosco, il dialetto del Sud dell'Albania.

Faticosa indipendenza
Gli studiosi hanno individuato otto emigrazioni dall'Albania fino al 1774, tutte o quasi conseguenti all'avanzata dei turchi. Oltre che verso l'I’talia, puntarono all'odierno Montenegro, alla libera Repubblica di Ragusa (oggi Dubrovnik) e all'Ungheria, nonché al Nord della Grecia. Intanto, nell'800, mosse i primi passi il movimento indipendentista. Ma bisognerà attendere il declino del potere ottomano all'inizio del Novecento per vedere costituirsi di una vera nazione albanese. Non tutti però entrarono a farne parte. Esule anche nel proprio territorio, quasi la metà della popolazione "schipetara" si trovava soggetta alla Serbia (nel Kosovo) e alla Grecia (nella Chameria) per decisioni prese dalle conferenze di pace e nei salotti della diplomazia. L'Albania indipendente, corrispondente più o meno all'attuale, continuò a mantenere stretti legami con l'Italia. Occupata da Mussolini come base per la velleitaria conquista dei Balcani, dopo il 1945 finì sotto il giogo di uno dei più rigidi regimi stalinisti del '900, quello di Enver Hoxha. Hoxha terrorizzò per anni la popolazione facendo credere imminente una nuova invasione italiana: di quella "guerra fredda adriatica" restano decine di migliaia di bunker lungo le coste e tra i monti. Morto il dittatore, l'invasione ci fu, ma nell'altra direzione e con intenti pacifici. Gli albanesi, che dalla fine degli Anni '80 intercettavano il segnale della Rai dalla vicina Puglia, giunsero pieni di speranza sulle nostre coste su navi come la Vlora o sui gommoni degli scafisti, convinti di trovare il Paese descritto dalla pubblicità e dagli spettacoli televisivi. In molti rimasero: secondo l’Istat, nel 2012 erano quattrocentottantamila i residenti di origine albanese in Italia.
Un turco alle origini dell'indipendenza
Fu un turco, Alì Pascià da Tepeleni[3], a imprimere la spinta decisiva all'indipendenza albanese. Tra la fine del '700 e dell'800 Alì Pascià fu governatore di vasti territori ottomani nei Balcani, ma agì contrastando il potere centrale. Noto come il Leone di Giannina, fu descritto nel Conte di Montecristo di Dumas. E, nel 1819, dichiarò l'indipendenza. Catturato due anni più tardi dagli ottomani, fu decapitato.
Alì Pascià Tepeleni

Slavi? No, albanesi e basta
Una civiltà sospesa tra Oriente e Occidente, tra bazar e templi greci, con costumi ancestrali e una lingua unica, imparentata con nessun'altra in Europa. Indicare le eredità etnico-culturali raccolte dagli albanesi non è facile. Turco-slavi. Le tracce più evidenti le hanno forse lasciate i turchi: nelle ampie braghe delle donne quasi identiche a quelle delle odalische, nelle polpette di carne arrostita che hanno il nome (kofte) e il sapore di quelle turche (ma la forma di quelle slave), nelle moschee rimaste, e soprattutto nei nomi delle città che richiamano quelli del Medio Oriente: Shkodër (Scutari) prende il nome dalla città anatolica di Uskudar, la capitale Tirana “deriva” da Teheran, Berat da Beirut e così via. Molti tratti sono comuni a quelli dei popoli slavi. 
Chiesa ortodossa lungo le mura difensive di Berat.

Ma gli albanesi non sono etnicamente e linguisticamente assimilabili a loro. E poi ci sono le eredità greche, latine e persino italiane (il loro formaggio kashcaval deriva da "caciocavallo"). Fedi. C'è poi la questione religiosa. Musulmani, ortodossi e cattolici convivono abbastanza pacificamente. Gli albanesi sono convinti che l'identità nazionale sia più importante dell'appartenenza religiosa (nel resto dei Balcani invece coincidono). E considerandosi discendenti degli illiri sono meno sensibili alle dispute religiose.


Spartizioni
Cent'anni dopo, con il declino del potere ottomano, emerse il movimento indipendentista albanese, capeggiato da Esad Pascià, che dichiarò l'indipendenza nel 1912. La Prima guerra balcanica (1913) portò però al Trattato di Londra, che fece dell'Albania un principato fantoccio delle potenze europee. Il trattato assegnò circa metà del territorio albanese a Serbia (il Kosovo) e Grecia (la Chameria) e creò forti tensioni, come quella che nel 1923 coinvolse la delegazione italiana guidata dal generale Enrico Tellini, trucidata mentre tracciava i confini per conto della Società delle Nazioni.
Trans-adriatica. Un tratto della Via Egnatia in Albania: univa Roma a Bisanzio, con un tratto via mare fra Brindisi e Durazzo.


Repubblica
Nel 1924 Ahmed Bey Zogu instaurò una repubblica e avviò una modernizzazione limitata ai centri urbani. Per la prima volta dai tempi di Scanderbeg, l'Albania trovò una certa unità. Ma l'influenza italiana cresceva e nel 1928 Zogu si autoproclamò re con il nome di Zog I. La monarchia costituzionale albanese adottò riti nazionalisti, fra cui il "saluto zogista": mano di taglio sul cuore, col palmo rivolto in basso.

Gli altalenanti rapporti fra Italia e Albania
Come quelli fra vicini di casa, i rapporti fra Italia e Albania hanno conosciuto alti e bassi. I romani consideravano il braccio di mare più un ponte che un ostacolo, tanto che la via consolare Egnatia (da Roma a Bisanzio) si interrompeva su una sponda, a Brindisi, per riprendere sull'altra, a Durazzo. Se nel '400 esisteva un'Albania Veneta controllata dai veneziani, nel '900, i rapporti furono più burrascosi.


Occupanti
L'Italia occupò l'Albania una prima volta nel 1918, per contrastare l'azione del nemico austriaco durante la Prima guerra mondiale. Quindi, nel 1939, Mussolini la invase senza trovare particolare resistenza, sostituendo re Zog I con Vittorio Emanuele III. L'Italia fascista tentò di insediare propri coloni e con la guerra tentò l'espansione in Kosovo e Macedonia, e cercò di contrastare la resistenza interna gettando benzina sul fuoco del conflitto interetnico. Come? Uccidendo o deportando intere comunità di origine slava con l'aiuto di albanesi irredentisti e nazionalisti. Guerra fredda. Gli italiani costruirono strade e opere pubbliche, ma si distinsero per la ferocia contro i civili, fomentando forme di resistenza che dopo 1'8 settembre 1943 si trasformarono in guerra civile tra partigiani e filofascisti. Da quel conflitto uscì una Repubblica socialista isolata dal resto del mondo e anche dagli altri Paesi del blocco comunista, che aveva relazioni solo con l'Urss e con la Cina.
Arte locale. Gioiello d'oro di arte ellenico-illirica conservato a Belgrado, in Serbia.


Albania in pillole
385 a.C. Illiri vengono sconfitti dal sovrano Filippo il Macedone.
312 a.C. Fondazione del regno di Glauco a Durazzo (dinastia dei Taulanti).
285 d.C. Fine della dominazione di Roma e divisione dell'Impero romano.
1444 Lega d'Alessio, alleanza fra principi albanesi in chiave anti-ottomana.
1468 Muore ad Alessio l'eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg.
1819-22 Alì Pascià da Tepeleni dichiara l'indipendenza dall'Impero ottomano.
1912 A Valona dichiarazione d'indipendenza dell'Albania dagli ottomani.
1939 Annessione all'Italia dell'ex regno di Zog I, proclamatosi sovrano nel 1928.
1985 Muore Enver Hoxha, che aveva governato l'Albania nel Dopoguerra.



[1] Tratto dalla rivista “Focus” 2013.
[2] Albania deriva dal nome Arbëria, usato dal '400. Ma i suoi abitanti chiamano la loro nazione Shqipëria, che significa "Nido delle aquile": fu tra i monti che nacque la rivolta anti-ottomana.
[3]Ali Pascià Tepeleni non era affatto turco. “Il periodo preciso in cui Alì Pasha vide per la prima volta la luce è ora impossibile da accertarne, ma sembra certo che sia nato tra gli anni 1740 e 1750.
Il luogo di nascita di Alì era Tepeleni, che si trova circa 30 miglia a sud est di Valona, e 70 miglia a nord ovest di Giannina.”
R. A. Davenport. Life of Alì Pasha, of Tepeleni, Vizier of Epirus: surnamed Aslan, or the Lion.
(N.D.A)

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