alessandro magno
La vera etimologia di YTI (il tuo) e βαρβαρ – ος (barbar – os)
Una delle parole più interessanti dell’Odissea è il nome che Ulisse diede a se stesso e che Polifemo usò per chiamarlo, cioè ουτις (outis). Da come è scritta, o da come hanno voluto scriverla più tardi, è immediatamente evidente che non si tratta di una parola greca. Il significato che è stato a lungo attribuito a questo termine è “nessuno”, che però, in greco, avrebbe dovuto essere scritto ουδεις (oudeis). La parola greca che ha il significato di “nessuno” è Ου τις (ou tis) e si scrive usando due parole distinte come infatti lo troviamo scritto in tantissime altre parti sia dell’“Illiade” che dell’“Odissea”. Ουτις (outis) non significa nessuno, ma è la trascrizione esatta di YTI (il tuo): yti pelasgico. All’inizio YTI = yti si pronunciava seguendo le regole della lingua pelasgica e l’uditorio era perfettamente in grado di capire; molto più tardi, nell’epoca di Pisistrate, quando le opere sono state tradotte in greco, la parola yti non è stata cambiata, ma semplicemente trascritta in ουτι (outi). Anche dopo la traduzione in greco, la parola si pronunciava esattamente yti e l’auditorio gli attribuiva in automatico il significato originale, cioè il tuo. Più tardi, quando i testi pelasgi iniziarono a diventare più rari fino a perdersi del tutto, la vera pronuncia e il vero significato della parola ουτις (outis) vennero dimenticati e solo in seguito è stato attribuito il significato che oggi tutti noi conosciamo, cioè nessuno. La parola pelasgia yti è in uso anche oggi in Albania e significa il tuo (yt+i). Lo stesso significato che aveva quando Ulisse la utilizzò per sfuggire a Polifemo. Lo stratagemma di Ulisse era tanto semplice quanto geniale. Dopo che Ulisse accecò Polifemo, gli altri ciclopi corsero subito in aiuto del gigante. Appena arrivati davanti alla grotta, domandarono: “Perché, Polifemo, sei così afflitto e gridi così nella notte divina? Forse un mortale porta via le tue greggi e non vuoi? Lui rispose “yti” cioè il tuo. Loro domandarono di nuovo: “Forse qualcuno ti uccide con l'inganno e con la forza?" e lui rispose di nuovo “yti”. Ora, quando gli altri ciclopi sentirono la parola yti pensarono che Polifemo stesse accusando i loro familiari, le persone più vicine a loro (servi, cugini, fratelli). Per non avere problemi con gli altri ciclopi, dunque, decisero di ritornare alle loro grotte.In tal modo ουτις (outis) non avrebbe più il significato di “nessuno”, ma il significato pelasgio “yti”, il tuo. Dal significato originale del temine, si coglie meglio anche la storia del raggiro di Ulisse ai danni del ciclope Polifemo.
Un’altra parola che dimostrerebbe che la lingua pelasgica era la lingua universale parlata nell’antichità e che non solo ha influenzato la lingua greca, ma costituirebbe la materia prima per la formazione delle parole in quella lingua, è βαρβαρ – ος (barbar – os). Nell’antichità, i greci, conoscendo l’etimologia di questa parola, la usavano solo quando volevano indicare una lingua differente da quella greca, mai per indicare un’altra razza o nazionalità. Solo più tardi, e soprattutto con l’influenza latina, la parola barbaro venne usata per indicare popolazioni incivili, in particolare coloro che invasero l’impero romano fino a causarne la distruzione. Ed è questo il significato che è rimasto fino ad oggi nel nostro immaginario popolare. I greci avrebbero attinto a questa parola attraverso la lingua pelasgica , mantenendo lo stesso significato, cioè që flet belbër ovvero persona che parla in modo incomprensibile, come un bambino. Prendendo in considerazione l’attuale lingua correntemente parlata e originaria da quella pelagica, ovvero l’albanese, si possono tentare due spiegazioni etimologiche della parola. La prima sarebbe riconducibile all’idea di una persona logorroica, che parla eccessivamente: flet bërbër, si bythë e turtullit. La seconda, invece, si riferirebbe ad una persona che non parla correttamente, che storpia le parole, flet belbër si foshnjat, cioè parla come un bambino. Umberto Eco scrive: “i greci del periodo classico conoscevano genti che parlavano lingue diverse dalla loro, ma li denominavano appunto barbaroi ossia esseri che balbettavano parlando in modo incomprensibile”[1]. Con questa dichiarazione, il professor Eco conferma quello che si vuole dimostrare. Tornando all’argomento principale, in entrambi i casi (flet bërbër e flet belbër) la lingua si distorce a tal punto da diventare incomprensibile anche per un albanese. Ed è cosi che è stato per i greci del periodo classico, i quali all’inizio parlavano tutti la lingua pelasgica, ma col tempo, dal contatto con gli stranieri e con le loro lingue, nacque la lingua greca; lingua liturgica, diplomatica, ufficiale e internazionale (per comunicare con i non pelasgi) e dalla loro parola bërbër onomatopeica (che è uguale nella lingua albanese odierna bërbër oppure belbër) venne fuori βαρβαρ – ος (barbar – os). Questa parola venne usata per indicare sia gli stranieri che parlavano una lingua diversa dal greco, sia gli elleni che parlavano male la lingua greca. In conclusione, i greci del periodo classico usavano la parola βαρβαρ – ος (barbar – os) solo per indicare il modo di parlare una lingua e non per indicare la razza di qualcuno; questa cosa faceva sì che i pelasgi venissero considerati barbari esattamente come gli stranieri. Per comprendere veramente il significato che la parola βαρβαρ – ος (barbar – os) assunse in seguito, citeremo qui un sillogismo che coloro che si chiamavano eleni hanno formulato per distinguere gli elleni dai non elleni: Πασ μη Ελλην βαρβαρος (pas mē Ellēn barbaros) cioè Tu non elleno (sei) barbaro, dicevano, usando questa frase come base del sillogismo. Demostene ha aggiunto: non tutti gli elleni sono barbari, ora Filippo II di Macedonia il padre di Alessandro Magno non è elleno, allora Filippo II di Macedonia è barbaro (conclusione del sillogismo). Se questo è vero, viene spontaneo domandarsi perché i greci odierni sostengono che Filippo II, Alessandro Magno, i macedoni, gli epiroti fossero tutti elleni.
[1] Umberto Eco: La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea. Laterza, Roma-Bari, 1993. Pag 16.
[1] Umberto Eco: La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea. Laterza, Roma-Bari, 1993. Pag 16.
Brano tratto dal libro "Enigma" dell' autore Robert D'Angely
Traduzione dall'albanese di Elton Varfi
Link versione albanese:Etimologjia e saktë e YTI dhe βαρβαρ – ος (barbar – os)
Traduzione dall'albanese di Elton Varfi
Link versione albanese:Etimologjia e saktë e YTI dhe βαρβαρ – ος (barbar – os)
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