Ururi e gli Arbëresh: come valorizzare il dialogo multiculturale
L’indagine sulla storia del popolo a cui si appartiene, sulle tradizioni e sulla lingua che si parla è sempre molto stimolante, ma poco praticata. Fino a che un individuo si trova nella sua comunità e nella sua cultura, non percepisce il profondo significato della sua identità etnica.
Tutto cambia in seguito ad un fenomeno migratorio. Il ritrovarsi in una società diversa, dove è diversa la storia, le tradizioni e la lingua. È allora che il senso della propria identità si rafforza e si riscopre una nuova energia che spinge il desiderio di scoprirsi appartenenti ad una comunità che ha precise connotazioni storico-culturali.
All’interno di questo quadro così suggestivo di scoperta e di esplorazione si inseriscono le iniziative dell’istituto tecnico comprensivo “Gravino” di Ururi, provincia di Campobasso, tutte legate al desiderio di valorizzare la lingua e la cultura della comunità arbëresh.
Ururi è un paese di origine albanese e la comunità ha sempre cercato di preservare la propria identità etnica; tuttavia è consapevole dei rischi che comporta il fatto che questo passaggio alle nuove generazione avvenga oralmente. Ad aumentare la necessità di progettare iniziative finalizzate alla consapevolezza della propria identità, ci sono le recenti immigrazioni provenienti dall’Albania. Si è quindi resa necessaria una riflessione sul tema dell’identità arbëresh. In particolare, uno dei progetti attivati si articola in due fasi: la prima è destinata all’anamnesi storica e più specificatamente culturale, mentre la seconda fase si concentra sulla lingua.
Vale la pena ricordare che gli arbëresh sono albanesi costretti alla fuga perché decisi a non sottostare al dominio turco. Erano perlopiù benestanti che non volevano accettare l’islamizzazione forzata. Il loro nome deriva dal fatto che prima che lasciassero la loro terra, questa aveva il nome di Albanë o Arbër, mentre dopo l’invasione turca gli albanesi rimasti in Albania presero in nome di Shqiptar.
Il progetto della scuola di Ururi è interessante non solo perché muove dal rispetto per una comunità che ha un’identità complessa e composita, ma anche perché è realizzato attraverso il contatto con la tradizione. Agli alunni coinvolti è stato chiesto di intervistare gli anziani, ascoltare le loro storie, fotografare oggetti tipici del passato. In tal modo la scuola invita i propri alunni a investigare sul proprio passato e sul passato dei loro compagni, facendo due operazioni positive: la prima consente al bambino di origine arbëresh di costruire una doppia identità etnica e lavorare sull’appartenenza ad entrambe le culture (quella italiana e quella arbëresh); la seconda consente al bambino italiano di apprezzare il privilegio del dialogo multiculturale come generatore di uomini e donne inclini all’ascolto e capaci di apprezzare il valore della differenza.
Adele Pellitteri
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