Il regno del Principe di Wied (2)
-Seconda ed ultima parte-
Link prima parte: Il regno del Principe di Wied (1)
Sul terreno, gli ufficiali olandesi cominciarono ad organizzare la gendarmeria. Il maggior Thomson formò i reparti destinati all’Albania meridionale e affidò “al loro patriottismo l’indipendenza del paese”. I problemi finanziari rimasero però insoluti. In realtà, in febbraio non era stato ancora versata la prima rata del prestito di 75 milioni di franchi oro promesso dalle Potenze, tanto che l’Austro - Ungheria e l’Italia accettarono di anticipare 5 milioni ciascuna.
Il principe aveva cominciato a costituire la sua Corte ed aveva programmato le visite ufficiali alle Potenze che lo avevano nominato, prima a Roma ed a Vienna, poi a Londra ed a Parigi cercando di mantenere equilibrati i rapporti con l’Austria – Ungheria e l’Italia, ma non trascurando quelli con l’intesa.
A Durazzo iniziarono subito i lavori di restauro di un palazzotto un po’ sconquassato destinato a diventare la reggia del Principe d’Albania. Da Berlino arrivarono suppellettili e mobili inviati dal Wied, da Vienna i restauratori.
Dovettero arrivare a Durazzo anche “sedici cavalli da maneggio e i tre costumi rossi da caccia” su cui, dopo la fine del regno, ironizzò “l’Illustrazione Italiana” che però aveva salutato il Principe all’arrivo a Roma come “personaggio di grande distinzione, di gusti raffinatissimi e magnifico signore” e aveva dedicato addirittura la copertina al suo ritratto con San Giuliano.
Accolto con commenti di simpatia e con un certo trionfalismo perché “nella formazione dello nuovo Stato aveva prevalso la politica italiana”, Guglielmo di Wied arrivò infatti a Roma il 10 febbraio a ricevere dal re d’Italia “una specie di investitura morale”.
Il Principe incontrò Vittorio Emanuele III che gli conferì il collare di San Maurizio e Lazzaro, visitò il Presidente del Consiglio Giolitti ed ebbe un lungo colloquio con San Giuliano. Il “Giornale d’Italia” sottolineò che non si trattava “di semplici visite protocollari, ma di veri e propri convegni d’affari dai quali [il Wied] trarrà norma per regolarsi nell’ardua opera di governo, attraverso mille difficoltà che deriveranno, non soltanto dalle condizioni interne dell’Albania, ma anche dalla situazione diplomatica, richiedente uno squisito senso di equilibrio” e auspicò con tono di avvertimento che il Principe di Wied avesse compreso che “la strada per Durazzo passa per Roma e per Vienna […]”.
Roma. Il Principe di Wied a colloquio con il Marchese di San Giuliano
“La Tribuna”, più ottimista, scrisse invece: “L’Albania dopo le convulsioni partigiane di Valona e Durazzo […] si è tranquillizzata in un’intesa pienamente fiduciosa del sovrano che le Potenze hanno scelto. Il Principe di Wied ha oggi intorno a sé i migliori elementi del nuovo Stato. Vi è una concordia che poteva sembrare perfino incredibile”. Tutto sembrava pronto per la grande avventura. Il diavolo, però, come si dice, si nasconde sempre nei dettagli e non tarda a manifestarsi. In particolare quando i nervi tutt’attorno sono a fior di pelle. All’indomani di questi commenti ottimisti si apprese che, dopo le visite nelle capitali della Triplice e dopo essere tornato a Neuwied per accettare la corona, il Principe sarebbe partito per Durazzo con lo yacht della marina da guerra austriaca “Taurus”, specialmente allestito per il viaggio e scortato dalla squadra navale internazionale, imbarcandosi a Trieste. Ma una tradizione “mai violata dal 1866” (l’anno della battaglia di Lissa) voleva che nessuna nave da guerra italiana visitasse Trieste.
Il capitano Castoldi – l’ufficiale italiano “comandato presso il ministero degli Esteri per missioni diplomatiche” che non il diplomatico austriaco Buchberger formava il gabinetto politico del Principe – si affrettò a minimizzare il caso e a sottolineare soprattutto l’esigenza della collaborazione italo – austriaca e la sincerità dei rapporti tra le due capitali. Tuttavia, il fermento politico suscitato a Trieste ed a Roma della notizia fu tale che il ministero della Marina annunciò che l’incrociatore “Quarto”, designato a scortare il Principe, sarebbe rimasto in Adriatico ed avrebbe raggiunto la “Taurus” in alto mare.
Il 12 febbraio Essad partì dall’Albania per la sua missione solenne dopo aver pronunciato un discorso inneggiante al Principe. Il giorno successivo – tre giorni dopo la visita romana di Wied – il pascià, senza batter ciglio, dichiarò a Roma ai giornalisti che “solo pochi turbolenti avevano potuto per un momento far credere all’Europa che in Albania esistessero vere e proprie scissioni” e professò orgoglio e gratitudine per la missione di cui si era fatto incaricare aggiungendo: “la delegazione che io presiedo è la prima manifestazione di coscienza collettiva che il popolo albanese abbia offerto dai tempi di Skanderbeg”.
A Colonia la deputazione albanese fece tappa per definire il protocollo della cerimonia di offerta della corona. Sorse un piccolo problema formale: Essad avrebbe letto al Principe il suo indirizzo in albanese e lo avrebbe chiamato Mbret (sire, principe, re o sovrano), ma quale titolo sarebbe stato usato nella traduzione francese che avrebbe consegnato al Mbret, quello di principe o di re d’Albania? Intanto, le corone che il gioielliere Dopler aveva disegnato - “due cerchi d’oro tempestati di turchesi” – non sarebbero state sormontate dalla croce né dalla mezzaluna, ma da un terzo e più neutrale simbolo della stella.
Il 21 febbraio Neuwied, cittadina della Prussia renana decorata a festa con un arco di trionfo dinanzi al castello dei Wied, accolse la deputazione albanese che si presentò in abito nero e cilindro ricevuta dal maresciallo di Corte. Il Principe salutò Essad Pascià che pronunciò il discorso con cui lo pregava di accettare la corona dell’Albania “libera e indipendente, costretta a combattere tenacemente per la sua indipendenza, ma che non aveva mai dimenticato il suo passato glorioso ed i suoi convincimenti e aveva saputo mantenere lo spirito nazionale e la lingua dei padri”. Essad assicurò al Principe che “gli albanesi sarebbero stati senza eccezione fedeli sudditi di Vostra Altezza e costantemente pronti ad aiutare i suoi sforzi per condurre l’Albania verso un avvenire prospero e glorioso” e concluse con il rituale “Viva il Mbret d’Albania”.
Guglielmo di Wied rispose in tedesco accettando il trono “del paese che dopo combattimenti e difficoltà numerose aveva riconquistato in fine la libertà” ed assicurò tutto il suo impegno per il benessere del popolo albanese . il Principe non nascose le esitazioni che aveva avuto, consapevole delle grandi difficoltà e delle responsabilità connesse, ma concluse accogliendo l’assicurazione della fedeltà e dell’appoggio di tutti gli albanesi.
Neuwied. L’offerta della corona d’Albania al Principe di Wied in una copertina della “Tribuna Illustrata”
Nello stesso tempo, sulla via del ritorno di Durazzo, Essad Pascià si fermò a Vienna dove il 1° marzo, con lo stesso rituale di Roma, fu ricevuto dal vecchio Imperatore e da Berchtold il quale gli rimise la Croce dell’ordine di Francesco Giuseppe. Particolare curioso, ma non inutile per far capire la concorrenza austro – italiana, lo stesso giorno l’ambasciatore Avarna invitò Essad in Ambasciata e gli consegnò le insegne di Cavaliere della Corona d’Italia.
In Albania intanto la confusione cresceva. Una dimostrazione patriottica ortodossa a favore del Wied fu organizzata a Durazzo dove, dal canto suo, il muftì dei musulmani tenne un discorso inneggiante all’unione degli albanesi senza distinzione di religione. Contemporaneamente, però, Zographos telegrafò da Corfù alla Commissione di controllo che “un’assemblea degli epiroti” tenuta ad Argirocastro aveva deliberato di non riconoscere la sovranità albanese e di considerare atto ostile l’ingresso di truppe albanesi in “Epiro”.
Sulla via di Durazzo, il Principe fu accolto festosamente a Trieste il 5 marzo non solo dalle autorità austriache, ma dai dignitari cattolici albanesi legati all’Austria, l’arcivescovo Bianchi, il canonico della capitale ed il potente monsignor Caciorri (Kaçori). Dopo l’imbarco sulla “Taurus” che batteva la bandiera albanese ed una visita al castello di Miramare salutato dalle salve di cannone di rito il Principe con la consorte ed il seguito prese il mare con la scorta navale internazionale alla quale poi si aggiunsero le navi italiane con alla testa l’incrociatore “Quarto”.
Preceduti da un discorso di Essad, il 7 marzo 1914 i sovrani infine sbarcarono a Durazzo imbandierata e inghirlandata, festeggiati dalle salve di cannone delle navi da guerra e della batteria della capitale, accompagnati da due battaglioni d’onore, uno italiano ed uno austriaco, accolti dal prefetto della città, dal generale De Weer che comandava la gendarmeria e dai dignitari albanesi, mentre la banda suonava l’inno nazionale composto dal maestro italiano Nardella e le delegazioni di benvenuto offrivano fiori alla principessa. Entusiastiche manifestazioni riempirono la città dove, accanto alle delegazioni straniere, si schierarono le deputazioni di ogni parte del paese, delle province “non ancora libere” e delle colonie albanesi all’estero e degli arbëresh italiani per manifestare omaggio e fedeltà al Mbret d’Albania.
All’arrivo, il Principe rilasciò una dichiarazione che apparirebbe sorprendente – ed è infatti un ossimoro quasi ubuesque – qualora non si collocassimo nel tempo e nell’atmosfera: “Sarà un regime il mio né assoluto né costituzionale: la mia volontà entrerà direttamente nell’organizzazione dello Stato, ma il paese vi avrà i suoi interpreti mercé l’azione di un Senato eletto metà da me e metà dal popolo”.
La buona società di Durazzo si imbarca sulle lance della Marina italiana per festeggiare all'arrivo i Principi di Wied.
Durazzo. L'arrivo dei Principi di Wied a bordo di una lancia. Di spalle Essad Pascià Toptani.
Come che fosse, le feste per l’arrivo del sovrano durarono una settimana e si conclusero il 16 nella cattedrale ortodossa alla presenza dell’arcivescovo cattolico di Scutari, monsignor Sereggi (Serreqi) e dell’abate dei mirditi con un solenne Te Deum in onore del Principe che indossò per l’occasione l’uniforme azzurra di generale albanese, “Accompagnato dalla Principessa, in abito viola”.
Forse anche per smentire le dicerie della vigilia, l’imperatore Guglielmo II fece sapere agli albanesi in un proclama “che ci attendiamo che tutti voi accorriate attorno al vostro re e lavoriate con noi per il compimento delle aspirazioni nazionali”.
Il Principe d’Albania formò subito il suo governo. Turkhan Pascià Pëmeti, anziano ambasciatore ottomano, fu il primo Presidente del consiglio e ministro degli Esteri dell’Albania indipendente ed Essad Pascià Toptani fu nominato generale, ministro della Guerra e, dopo poco, anche dell’Interno come responsabile della sicurezza nazionale. Mufid bey Libohova ricoprì l’incarico di ministro della Giustizia e degli Affari Religiosi.
Anche l’organizzazione della Corte prese forma. Oltre a Trotha, ne fecero parte Castoldi e Buchberger, consiglieri del principe ed il segretario particolare, l’inglese D. Eaton Armstrong. Tre albanesi completavano la piccola struttura, il ciambellano Sami bey Vrioni e due aiutanti di campo, Ekrem bey Libohova e Selim bey Vassa.
Il Wied iniziò però il regno con una decisione poco felice e , appena formato il governo, rimandò a Valona la Commissione Internazionale di Controllo che avrebbe dovuto assisterlo secondo le decisioni di Londra e soprintendere all’amministrazione civile ed alle finanze e, soprattutto, avrebbe potuto essere un buon alleato presso le capitali delle Potenze.
La vita del nuovo regno cominciò comunque con avvenimenti che, nelle immagini delle fotografie e nelle descrizioni dei giornali, ricordano vivamente la vita sociale delle colonie europee nel Mediterraneo ottomano: ricevimenti, caffè all’aperto, tennis, ufficiali e signore eleganti.
La turbolenta realtà albanese però incalzava. Una delle prime leggi che istituiva il servizio militare destò immediatamente inquietudine, specie tra i montanari che ne erano esenti, mentre l’instabilità interna era già in agguato e si manifestò quasi subito.
L’innesco fu l’occupazione greca nel Sud. Reparti di “volontari epiroti” attaccarono la gendarmeria che a sua volta sembrò tenere bene il campo anche con l’aiuto di rinforzi inviati dal Nord da Bib Doda, il “principe” dei mirditi. Cominciarono ad arrivare profughi musulmani da Tepelena e Argirocastro. Korcia fu soccorsa dal governatore di Elbasan. Ad Argirocastro la gendarmeria intervene per circondare il quartiere degli “epiroti”, ma su trovò ad affrontare truppe regolari greche comandate dal generale Papoulias. La violazione greca era chiara ed il Principe protestò con i governi europei. Prese anche in considerazione una spedizione armata, sembra istigato dal bellicoso Essad che dichiarò di voler marciare in Epiro con venticinquemila uomini.
La Commissione Internazionale, incaricata dalle Potenze e sorretta dalle intese italo – austriache di Abbazia, proseguì le trattative e concluse il 17 maggio con le autorità greche, presenti gli “epiroti” di Zographos, le “disposizioni” di Corfù da sottoporre alle capitali europee che ne avrebbero dovuto garantire l’attuazione. L’approvazione intervenne in realtà solo il 2 luglio.
Le “disposizioni” confermarono la necessità della completa evacuazione greca, ma gli “epiroti” ottennero una notevole misura di autonomia che comprendeva in anzitutto la riconversione delle loro bande armate in una gendarmeria locale da impiegare solo nei distretti di Korcia ed Argirocastro, composta dei volontari che erano già sotto le armi, comandati però da ufficiali olandesi.
Nei due distretti il governo albanese avrebbe nominato governatori cristiani che sarebbero stati affiancati da consigli eletti a suffragio universale. La completa libertà religiosa venne assicurata, la lingua greca sarebbe stata insegnata nelle scuole primarie e ammessa nell’amministrazione e nella giustizia.
La crisi nell’Epiro aveva una maggiore connotazione internazionale e quindi mise in ombra i contemporanei gravi fatti che si produssero nel Kosovo annesso dalla Serbia e nei territori del Nord toccati a Montenegro. Serbi e montenegrini cominciarono a metà aprile, ad occupare i territori loro assegnati, ma incontrarono una forte resistenza. Gli albanesi chiesero subito, come i turchi, l’istruzione nella loro lingua che il governo di Belgrado rifiutò imponendo invece il serbo. La conseguente sollevazione fu seguita da attacchi serbi che causarono la distruzione di mille case albanesi e l’uccisione di parecchie centinaia di donne e bambini. I montenegrini cominciarono ad occupare a loro volta i territori toccati a loro, anche qui con movimenti di truppe, profughi albanesi e case bruciate, tanto che il colonnello inglese Phillips, comandante del Presidio Militare Internazionale a Scutari, inviò 600 soldati internazionali comandati da un maggiore tedesco allo scopo di assicurare un minimo di ordine al confine.
Tratto dal libro Albania: un regno per sei mesi dell’autore Ferdinando Salleo
Link versione albanese: Mbretëria e Princit të Vidid (2)
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