Questa è la storia di un uomo il cui nome dovrebbe essere annoverato di diritto accanto ai padri fondatori del Paese, ma non lo è.
È la storia di un cospiratore, esule, giornalista, prigioniero, soldato legislatore e statista, persino etichettato come “precursore del fascismo”.
Questa è la storia di un uomo che quando ci si mosse per “fare l’Italia” fu presente in prima linea, con Garibaldi. Lo ritroveremo anni dopo, nella sua veste di primo ministro, impegnato a “fare gli Italiani”.
È la storia di un siciliano di stirpe albanese che divenne uno degli statisti più autorevoli e discussi del suo tempo.
Questa è la storia di Francesco Crispi.


Francesco Crispi 1818 – 1901

L'infanzia
Francesco Crispi, figlio di Tommaso e Giuseppina Genova, nasce il 4 ottobre 1818 a Ribera (AG) da una famiglia italo-albanese; nel 1887 ottenne per la prima volta la carica di Presidente del Consiglio, così comparve la prima biografia dedicata a lui scritta da Vincenzo Riccio il quale asserì che Francesco Crispi fosse nato a Ribera il 4 ottobre 1819.
L'errore non era riconducibile al giovane scrittore poiché l'informazione era stata desunta dallo stesso Crispi. Il diretto interessato, per ragioni che ancora oggi non sono definitivamente accertate, riuscì ad accreditare la sua data di nascita all'anno successivo rispetto a quella reale, quando un semplice documento parrocchiale, avrebbe potuto testimoniare facilmente il contrario.

Atto di battesimo di Francesco Crispi

I Crispi, a ogni generazione, “fornivano” qualche membro della famiglia come prete per la Chiesa ortodossa, gli altri familiari facevano i “campieri” o i “gabelloti”. Era questa la classe sociale da cui la mafia attingeva la forza lavoro. Non ci sono elementi per affermare che i Crispi ne facessero parte, ma non ce ne sono neppure per escluderlo[1].
Molto più concretamente, si può dire che la famiglia Crispi era di origine albanese, della stirpe Arbëreshë, un’identità religiosa e culturale a cui “Ciccio” (così era chiamato da piccolo e lo sarebbe sempre stato per la cerchia più intima dei familiari e amici) sarebbe rimasto legato per tutta la vita. Palazzo Adriano rimane determinante nella formazione e nella vita di Crispi. Questo paesino, situato all’interno della Sicilia occidentale, è una di quelle località dell’isola in cui, verso la fine del Quattrocento, a seguito dell’invasione turca nei Balcani, gli Albanesi avevano fondato nuove comunità, come piana dei Greci (poi degli Albanesi), contessa Entellina e Mezzojuso. Questi centri non avevano mai cessato di mantenere rapporti con la madrepatria, e anzi avevano cercato di conservare vive le proprie tradizioni culturali e linguistiche. Sotto un tale profilo, la religione è stata il fattore decisivo per custodire l’identità nazionale albanese in un paese straniero[2].

Casa natale di Francesco Crispi a Ribera 

Francesco ha dieci anni quando la famiglia decide di fargli frequentare il seminario italo-albanese di Palermo. Non è detto che l’intenzione di don Tommaso Crispi, quando iscrisse suo figlio al seminario albanese di Palermo, fosse quella di farne un prete. Ciò si evince dal fatto che a differenza di altre scelte di Francesco, molto contrastate dal padre, la decisione di lasciare l’istituto religioso ultimati i corsi e di immatricolarsi alla facoltà di legge non venne affatto osteggiata.
Quel seminario era per certi versi una scuola di famiglia. I Crispi donavano ingenti somme di denaro non solo perché da generazioni stringevano un legame stretto con il clero albanese, ma anche perché quell’istituzione religiosa era un simbolo dell’identità “nazionale” albanese, che loro sentivano in modo speciale. Quel lascito assicurava poi due posti da convittore ai Crispi, e fu in ragione di questa opportunità che Ciccio fu portato là[3].
Sono i primi di novembre del 1828. La stagione ancora calda e i 140 km. che separano Ribera da Palermo si fanno sentire. I due (Tommaso Crispi e figlio) stanchi per il lungo viaggio scendono dalla capitale dell’isola in piazza Marina, alla locanda della “Gran Bretagna”. Un breve ristoro e poi via, nel quartiere di Santa Cita, verso il Seminario presso cui, un altro membro dei Crispi, monsignor Giuseppe vescovo di Lampsaco, ne era il rettore. De Luca-Aprile (biografo) descrive Francesco come un giovinetto “smilzo, di fattezze irregolari, dalla fronte spaziosa, dai vivi occhi immobili”, viene affidato dal padre a monsignor Giuseppe, che li riceve nel suo studio e considera attentamente quel suo nipote, impacciato nell’abito talare di seminarista, azzurro, col mantello nero e il cappello a tricorno. Il carattere ribelle e irrequieto di Ciccio si dimostra già salendo le scale. Passando dinanzi a un’immagine sacra senza inchinarsi secondo il rito, redarguito dal prefetto che lo accompagnava, rispose che quelle erano superstizioni. Il prefetto allibì. Questo tratto di arroganza venne subito riferito al rettore il quale nonostante la parentela, voleva subito espellere il turbolento neofita, giudicandolo “elemento pericoloso per la disciplina del suo collegio”.
E ci vollero tutta la tattica è tutte le suppliche del padre perché il fratello[4] rettore retrocedesse dalla sua decisione[5].A questo punto è doveroso fermarsi e presentare un altro albanese illustre…

Monsignor Giuseppe Crispi
Mons. Giuseppe Crispi[6] avrebbe rappresentato una vera personalità per l’intera nazione albanese in Italia e una delle rare figure particolarmente venerata dal futuro ministro[7]. Nato a Palazzo Adriano nel 1781, fu un illustre grecista, autore di una Crestomazia, ossia corso di studi teorico e pratico per la lingua greca metodicamente esposti, che ebbe larga risonanza, e di lingue volgari di uso comune. di Diodoro Siculo e Lisia. Le sue ricerche archeologiche, storiche e filologiche sulla presenza albanese in Sicilia e in generale la sua opera sacerdotale e scientifica, sono state un riferimento per la popolazione albanese e per la conservazione del loro patrimonio culturale. Più che per le sue opere intorno alla lingua greca, ovvero scritte in greco, è degno di essere ricordato con ammirazione dagli Albanesi perché da rettore del Seminario nazionale, seppe creare una scuola di dotti uomini e di patrioti insigni, ecclesiastici e laici, i quali furono di gran decoro per le Colonne di Sicilia. Scrisse, fra l’altro una Memoria sulla lingua albanese (Palermo, 1931), giovandosi degli scritti inediti di Niccolò Chetta, ma assai discutibile, anche tenuto conto dell’epoca in cui fu pubblicata, ed inoltre le Memorie storiche talune costumanze ecc. (Palermo, 1853). Scrisse pure una Memoria sulla origine e fondazione di Palazzo Adriano (Palermo 1827) e le anonime Osservazioni sulla storia di Palazzo Adriano (Palermo 1842).[8]

Ritratto ad olio di Giuseppe Crispi che ancora oggi si conserva nella Biblioteca comunale di Palermo

Il 26 maggio 1808 venne ordinato sacerdote e nel 1813 vinse la cattedra di Lingua e Letteratura greca della Regia Università di Palermo. Insegnò naturalmente anche presso il Seminario greco-albanese di Palermo, di cui divenne Rettore, e quindi parroco della chiesa bizantina di San Nicolò dei Greci di Palermo. Il 19 marzo 1836 fu nominato – con autorizzazione regia, com’era costume in virtù del privilegio della legazia apostolica – vescovo di Lampsaco in partibus infidelium (nelle terre dei non credenti), il titolo dei vescovi di rito greco in Sicilia da quando era stata istituita questa ordinazione, con la investitura di abati di Santa Maria della Gala. Sarebbe morto nella città natale il 10 settembre 1859, poco prima che il regno borbonico crollasse e suo nipote Francesco Crispi divenisse il Crispi più famoso della famiglia. Prima di allora, i due si sarebbero incontrati tante volte, al seminario innanzitutto, che Francesco Crispi frequentò giovinetto, e al parlamento siciliano del 1848, di cui i due Crispi furono membri: il primo nella Camera Alta, senatore de iure come abate di Santa Maria della Gala, il secondo come deputato eletto nel collegio di Ribera. Il ritratto ad olio di Giuseppe Crispi che ancora oggi si conserva nella Biblioteca comunale di Palermo è la stessa immagine che il ministro Francesco Crispi teneva nel suo studio a Roma. Lo avrebbe sempre ricordato con deferenza, come detto, e perfino all’apice della carriera politica lo zio Vescovo sarebbe rimasto un riferimento ideale al pari di Mazzini o Garibaldi, gli unici personaggi che si compiaceva di citare come suoi maestri. Nella chiesa di San Domenico a Palermo, dove si riunì quel parlamento rivoluzionario che aveva per poco tempo proclamato l’indipendenza dell’isola, e che sarebbe diventato il pantheon dei siciliani illustri, si trovano i busti marmorei di entrambi.

Busto marmoreo di Giuseppe Crispi nella chiesa di San Domenico a Palermo


La carriera
Francesco Crispi all’inizio della sua carriera fu democratico. Nel 1948 guidò la rivolta anti borbonica. Dopo la sconfitta della rivoluzione dovette scappare all’estero poi si insediò a Torino. Nel 1860 lo troviamo con i mille di Garibaldi come suo braccio destro, un vero organizzatore. Nel 1861 sarà eletto in parlamento tra i banchi della sinistra. Nel 1864 pronuncerà il suo celebre discorso “la monarchia ci unisce la repubblica ci dividerebbe” irritando Mazzini. Diventa un politico importante nel 1877 quando è ministro degli interni, fra 1887 e 1891 presidente del consiglio per la prima volta. Per la seconda volta lo diventerà nel 1893. È proprio fine anni ‘90 del 1800 che verrà fuori il Crispi autoritario.
Vediamo un po’ meglio nel dettaglio la carriera di Francesco Crispi.

La rivoluzione di Palermo del 1848

Dopo la laurea in giurisprudenza si trasferisce a Napoli dove esercita la professione e porta avanti l’impegno politico. 12 gennaio 1848 Crispi, che nel frattempo era tornato a Palermo è fra gli principali artefici della sommossa anti borbonica. Il fallimento della rivoluzione e il ritorno dei Borbone la costringono all’esilio prima a Marsiglia e poi in Piemonte. Nel 1853 è costretto a fuggire di nuovo a Malta e poi a Londra dove si trova anche Giuseppe Mazzini. Tra i due si instaura una stretta collaborazione. Qui matura l’idea di una nuova insurrezione in Sicilia. Mazzini lo aiuta a procurarsi un passaporto falso nel 1859 Crispi torna in Italia, prende contatti con Giuseppe Garibaldi e lo convince a mettersi alla guida dell’impresa. Nel frattempo organizza la l’insurrezione in Sicilia.
L’11 maggio 1860 i mille sbarcano a Marsala e trovano la Sicilia già insorta. Crispi principale organizzatore e ispiratore dell’impresa forma un governo provvisorio e Garibaldi lo nomina primo segretario di Stato. Crispi, guida politica della spedizione, addotta subito dei provvedimenti, dichiara illegali le tasse borboniche, confisca i beni ecclesiastici e costituisce la corte marziale. Egli vorrebbe arrivare fino a Roma ma i mille si fermano a Teano dove Garibaldi consegna l’iniziativa a Vittorio Emanuele II. La monarchia sabauda annette il regno delle due Sicilie e l’unità d’Italia si compie poco dopo sotto il vessillo di Casa Savoia.
Dopo l’unità d’Italia Crispi si avvicina alla monarchia è ciò determina la rottura con Giuseppe Mazzini.
Nel dicembre del 1877 Crispi viene nominato ministro dell’interno nel governo di Agostino Depretis. Pochi giorni dopo muore Vittorio Emanuele II e Crispi, ostinato, ottiene che il primo re d’Italia sia tumulato a Roma invece che a Torino. Ottiene pure che il successore si chiami Umberto I e non Umberto IV come vorrebbe la successione dinastica del vecchio regno di Sardegna. Dovranno passare più di 10 anni prima che Crispi arrivi alla guida del paese.
Il governo di Depretis termina con l’eccidio di Dogoli nel 1887. Depretis morirà nell’estate del 1887. Si apre così una nuova pagina che vede come protagonista Francesco Crispi. Il governo che proporrà Crispi sarà un incentrato su riforme e repressione. Il suo modello politico sarà Otto Von Bismarck.

Convegno Crispi - Bismarck a Friedrichsruhe

Diventato primo ministro nel luglio del 1887, Crispi tiene per sé anche i ministeri dell’interno e degli esteri. In quel periodo avvia un imponente progetto di riforme.
Concede più autonomia ai poteri locali. Rende eleggibili i sindaci dei grandi comuni, rafforza i poteri del prefetto che rappresenta lo Stato nelle province del regno. La riforma del codice penale elaborato dal ministro della giustizia Zanardelli introduce importanti principi democratici nell’ordinamento del Paese, come l’abolizione della pena di morte e il diritto di sciopero. Poi ci sono le riforme sociali. Quella sanitaria crea la figura del medico condotto, istituisce la direzione della sanità pubblica e per il principio sulla base del quale lo Stato è responsabile della salute dei propri cittadini, organizza un sistema di assistenza pubblica.
Di stampo democratico e anche la legge per la protezione contro gli abusi amministrativi che dà la possibilità ai cittadini di difendersi dagli eccessi e dalle storture della burocrazia.
Il primo governo Crispi accentua l’alleanza con la Germania dell’Austria, rinforza l’ideologia del colonialismo mandando più uomini in Abissinia e in Eritrea con il sogno di provare a conquistare l’Etiopia. Ma accade anche che il governo di Crispi attraversi molte tensioni che lo porteranno alla caduta. I conservatori di destra lo accusano di fare delle riforme troppo progressiste, i socialisti invece di essere troppo repressivo. Cosicché il governo Crispi, ad un certo punto non ha più i numeri per governare e Francesco Crispi il 31 gennaio 1891 dà le dimissioni.
Ma nonostante ciò il vecchio leader non si dà per vinto e aspetta l’occasione che lo possa ricondurre al potere. [9]Gli viene offerta dallo scandalo della Banca Romana, che coinvolge direttamente Giolitti, divenuto nel frattempo (maggio 1892) il nuovo presidente del consiglio.
Per comprendere le proporzioni e il senso di questo scandalo occorrerebbe una trattazione a parte. Assai brevemente, si può dire che si sospettavano forti irregolarità dell’istituto di credito romano che rivelava più in generale la precarietà del sistema bancario italiano che consentiva a ben sei istituti la facoltà di emettere moneta. La Banca Romana, autorizzata ad emettere 63 milioni di lire, per le quali disponeva della corrispettiva riserva aurea, ne aveva sfornato quasi il doppio, con una serie perfino falsa. Il governo era sotto pressione e Giolitti autorizzò un’inchiesta che appurò le irregolarità per le quali furono arrestati il direttore e il governatore della banca. Dal carcere i due detenuti eccellenti, dichiararono di aver versato forti somme a diversi uomini politici, tra cui l’ex presidente del consiglio Crispi, Di Rudinì è l’attuale Giolitti.


Il processo della Banca Romana

Il parlamento qualcosa doveva fare e fu deciso di creare un comitato di sette deputati per indagare sui fatti e alla fine venne appurato che la banca aveva beneficiato di prestiti cospicui 22 parlamentari, tra cui Crispi e Giolitti. Ma in quel momento era quest’ultimo quello maggiormente esposto, essendo il presidente in carica e che dal banco del governo aveva negato ogni addebito. L’esito dell’indagine parlamentare, accusò Giolitti peraltro di aver nascosto documenti preziosi mentre la polizia perquisiva la casa del direttore della Banca Romana. Il giorno dopo Giolitti si recò dal Re per rassegnare le dimissioni.
La prima scelta di Umberto I fu Zanardelli, ma per questioni politiche talmente lunghe da trattarle in questo scritto, la scelta cadde di nuovo su Crispi. Il Re richiamò da Napoli Crispi e lo accolse con le parole più deliziose che un anziano leader potesse sentire: “Ho bisogno di Lei”.
Nasce così il 16 dicembre 1893 il governo della “tregua di Dio”, con esponenti sia della destra sia della sinistra[10].
Quasi subito Crispi prese una delle più controverse decisioni (3 gennaio 1894) della sua carriera politica: nell’ambito della politica interna Crispi sceglie la via della repressione. Una repressione attuata molto duramente in Sicilia contro i fasci siciliani. Il suo predecessore Depretis davanti alla ribellione dei fasci siciliani decide di non intervenire con l’esercito. Crispi invece manderà i militari per reprimere i fasci dei lavoratori che era un movimento di malcontento di operai e contadini uniti contro lo Stato, contro le tasse e con forti connotati indipendentistiche. Con l’invio dell’esercito molte persone vengono arrestate, uccise, vengono chiusi i luoghi dove questo movimento si incontrava.

La Sicilia è in rivolta

Il 16 giugno 1893 un episodio che segnala l’incandescenza del clima sociale e politico è l’attentato alla vita di Francesco Crispi. Quella mattina deve recarsi alla Camera ed esce in carrozza da casa. Svoltando in via gregoriana gli si para davanti un giovane, gli punta contro la rivoltella sparandogli, la pallottola lo schiva e si infila nel muro alle sue spalle. La fortuna della vittima designata fu che il suo sicario era un esaltato senza esperienza, un romagnolo di nome Paolo Lega che pochi istanti dopo aver esploso il colpo era già nelle mani della polizia.
Negli ultimi anni dell’ottocento l’Italia era una polveriera. La politica interna del governo Crispi stava andando male. Il socialismo dilagava, il partito socialista messo fuori legge, le proteste in Italia e gli attentati erano sempre più frequenti. Cosa c’era di meglio di una grande avanzata in Africa per coprire tutto questo? Così nel 1896 la battaglia di Adua, fu una catastrofe per l’esercito italiano. Crispi fu costretto a dare le dimissioni confermando così la sua fine politica.
Muore l’11 agosto del 1901 nella sua casa napoletana assistito dalla moglie Lina e la figlia Giuseppina. Palermo gli tributa solenni funerali.

La morte di Crispi


Precursore del fascismo?
Il 12 gennaio del 1924, il nuovo presidente del consiglio Onorevole Benito Mussolini sarà pronto a candidarsi per assumere anche l’eredità morale politica del lontano predecessore siciliano: “Oserei dire che prendo in consegna lo spirito di Francesco Crispi”.
Il governo fascista negli anni a venire avrebbe elevato la figura di Francesco Crispi a un’icona da idolatrare, tanto che Mussolini dichiarò più volte che proprio Crispi era il politico italiano preferito che ammirava di più, oltre ad attribuirgli la qualità di precursore del fascismo. Quarant’anni dopo la sconfitta di Adua, Mussolini iniziò la conquista coloniale proprio dall’Etiopia.
Ma possiamo veramente affermare che Crispi è stato il precursore del fascismo?
In gioventù è stato un uomo sempre pronto a battersi per il diritto dei popoli, alla fine della sua carriera diventa un convinto sostenitore del colonialismo per nascondere i difetti del suo governo. Ma questo atteggiamento non lo rappresenta assolutamente come precursore del fascismo. Dunque la risposta è no!
Francesco Crispi che per quanto duro e a tratti incomprensibile nelle sue azioni, è stato un politico, figlio del suo tempo.

Albanese di sangue e di cuore?
“Non chiederti cosa il tuo Paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese”, parafrasando John F. Kennedy, la domanda è: ma Francesco Crispi cosa ha fatto per il suo paese d’origine? Ovviamente è un compito difficile trovare tracce di opere e azioni da egli compiute in favore dell’Albania.
“Albanese di sangue e di cuore” si diffondeva su un telegramma diretto al De Rada, in occasione del congresso albanese, tenuto in Corigliano Calabro, il 3 ottobre 1895, mentre era presidente del Consiglio dei Ministri[11].
Ma cerchiamo di analizzare questa frase.
Al di là della frase in sé stessa che può sembrare retorica, domandiamoci cosa ha voluto comunicare Crispi. La parola “sangue” non è messa lì per caso, per enfatizzare ancora di più se possibile un legame, o per addolcire la mancanza al congresso. Il sangue per gli albanesi è un elemento importante, anzi fondamentale nella loro vita. Lo era ancora di più nel 1895. Tanto era importante che lo consideravano come una entità distinta. Secondo il codice tradizionale del Nord Albania (il Kanun) gli albanesi non si vendicano ma “prendono il sangue”. Scrivere sono albanese di sangue… significa comunicare la propria appartenenza al popolo albanese. Era un chiaro messaggio che Crispi non si sentiva albanese, ma di fatto lo era! Anche madre Teresa di Calcutta scrive:
“Per sangue e origine sono albanese”[12], ecco che troviamo di nuovo in un altro personaggio albanese l’elemento “sangue”. Avrebbe potuto scrivere semplicemente “sono di origine albanese”, e invece ha ribadito che di sangue è albanese a conferma del fatto che il sangue non è solo un elemento fondamentale, ma un marchio indelebile dell’appartenenza del popolo albanese. Ma oltre a sfoggiare fiero il fatto che fosse albanese, Francesco Crispi cosa ha fatto di concreto per l’Albania?
Nel 1890 Francesco Crispi, nella qualità di Presidente del Consiglio, voleva “civilizzare” l’Albania senza però trasformarla in una colonia: al massimo sarebbe potuto diventare un “protettorato”. A rivelare le sue mire sul Paese delle Aquile è una relazione curata da Francesco Galvagna, ambasciatore a Belgrado del regno d’Italia.
“Esclusa assolutamente l’idea di una conquista o di una annessione dell’Albania, perché di difficile attuazione - Galvagna sosteneva - l’Italia dovrebbe limitarsi a prendere sotto la sua speciale protezione il nuovo stato albanese, e, pur rispettandone i principi di autonomia, contribuire colla propria civiltà, colla propria industria, e coi propri commerci al progressivo benessere di quelle popolazioni”.[13]

Statua dedicata al patriota italiano Francesco Crispi a Palermo. Opera dello scultore palermitano Mario Rutelli.


Un altro indizio inaspettato lo troviamo nelle pagine di un libro dell’inizio secolo scorso.[14] Francesco Crispi, intorno agli anni 1894 - 1895 è molto attivo ad aprire scuole in Albania, consolati e cautamente tenta anche la penetrazione del clero fornendo i salesiani e le suore d’Ivrea. Stringe anche relazioni con i grandi bey di Valona. Nel disastro di Adua è coinvolto anche la sorte delle iniziative di Crispi in Albania. Di Rudinì piega la testa all’Austria e chiude nel 1896 le scuole di Prevesa, di Valona e di Durazzo.
Il vecchio saggio Ismail Kemal bey Vlora, nelle sue memorie[15] scrive di un incontro avvenuto nel 1900 a Roma con lo statista Crispi. Il padre fondatore della nazione albanese ricorda che Crispi gli parlò con grande orgoglio della sua origine albanese. Per un caso fortuito si trovava all’Hotel de l’Europe, dove abitava anche lo statista con la famiglia. Crispi, negli occhi di Ismail Kemal bey Vlora appare, logorato e stanco, compì uno sforzo considerevole per riceverlo per dirgli tante cose belle e interessanti sull’Albania e sul suo destino che lui era convinto sarebbe stato presto brillante. Francesco Crispi parlava in albanese, e gli confessò che quando era giovane lo parlava molto meglio.
L’ultimo anno del XIX secolo, accentua la sua decadenza fisica, ma ha ancora qualche spunto di attività come quando in maggio scrive di politica estera a proposito dell’Albania e di riconoscere al popolo albanese tutte quelle qualità morali ed intellettuali che sono necessarie a formare uno stato di pieno diritto, alla pari e meglio degli altri Stati balcanici.
Nel giornale di Sicilia del 1° gennaio 1898 si accenna ad una visita che Francesco Crispi volle fare al seminario greco albanese di Palermo, dove aveva ricevuto la sua prima educazione, e fra l’altro si legge: “Con nobili parole espresse la speranza che, al più presto, l’Albania scuota il giorno musulmano e raccomandò agli alunni in modo speciale lo studio della lingua della letteratura albanese; facendo voti che finalmente il governo voglia istituire la cattedra del R. Istituto Orientale di Napoli[16]”.
Qui, per quanto riguarda i miei studi si concludono gli “indizi” che ho raccolto su Fancesco Crispi e sul che avrebbe svolto in favore dell’Albania. Durante appunto questi studi, una domanda mi frullava in testa su questo personaggio così poliedrico. Chi era veramente Francesco Crispi?
La risposta ce la fornisce egli stesso, il nostro protagonista, quando Pertuccelli della Gattina, incontratolo a palazzo Carignano gli chiese se fosse mazziniano o garibaldino, rispose: “Io sono Crispi”.[17]


[1] Storia d’Italia, Indro Montanelli, Mario Cervi, Rizzoli 1980.
[3] Ibidem
[4] In realtà Tommaso e Giuseppe Crispi erano cugini e di conseguenza anche Francesco era cugino di monsignor Crispi, nonostante per tutta la vita lo ha chiamato zio. N.d.a.
[5] Crispi, Massimo Grillandi, UTET 1969.
[6] Francesco Crispi, Giorgio Scichilone, Flaccovio editore 2012
[7] Francesco Crispi
[8] Cenni sulla origine e fondazione delle colonie albanesi di Sicilia, Giuseppe Schirò, Rubbettino 1998.
[9] Francesco Crispi, Giorgio Scichilone, Flaccovio editore 2012.
[10] Ibidem
[11] Cenni sulla origine e fondazione delle colonie albanesi di Sicilia, Giuseppe Schirò, Rubbettino 1998.
[13] Giampiero Carocci, Archivio Centrale dello Stato di Roma, "Documenti diplomatici italiani".
[14]Albania che nasce. Eugenio Vaina. Francesco Battiato editore. Catania 1914.
[15] Ismail Kemal Bey Vlora, Memorie (A cura di Nermin Falaschi - Roma 1978)
[16] Cenni sulla origine e fondazione delle colonie albanesi di Sicilia, Giuseppe Schirò, Rubbettino 1998.
[17] Francesco Crispi, Giorgio Scichilone, Flaccovio editore 2012.

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