Il Kanun di Lek Dukagjini
In Albania si conoscono diversi Kanun di cui si ha notizia, il più famoso è quello di Lek Dukagjini, poi troviamo Kanuni i Arbërisë, conosciuto anche come Kanun di Skanderbeg, Kanuni i Maleve[1]e soprattutto Kanuni i Labërisë (Kanuni i Papa Xhulit), che a differenza dei primi, diffusi principalmente nelle zone montuose dell’Albania settentrionale, abbraccia l’area meridionale Tosca. Le differenze fra questi corpus dottrinari sono notevoli, anche se alla base di essi vi sono tratti comuni, quali le principali istituzioni giuridiche, fra cui la Besa. Ciò conferma il fatto che in origine il Kanun regolava soltanto alcune fondamentali norme, mentre altre venivano modificate di volta in volta e adattate secondo la necessità delle varie realtà locali[2].
La popolazione albanese, almeno per quanto concerne le religioni cattoliche del Nord, osservava una legge tradizionale, tramandata oralmente, vale a dire un certo numero di aforismi laconici che regolavano il diritto pubblico e privato. I malsori (cioè i montanari, da mal-montagna) conoscevano insieme di tali consuetudini sotto il nome di Kanun di Lek Dukagjini, titolo che, è stato consacrato da un uso, che la tradizione e la cronaca, ci dicono secolare[3].
Costumi di Zadrima, Albania settentrionale. Cartolina viaggiata 1941 (Archivio Varfi)
Queste leggi erano appunto tramandate oralmente, e non esiste una vera e seria bibliografia sull’argomento in questione, eccezion fatta per la raccolta del Kanun di Dukagjini compilata sulla rivista “Hylli i dritës”[4] negli anni 1912, 1914, 1921 e 1922 da padre Stefano Gjeciov. Da quando questi articoli furono raccolti e codificati da Gjeciov, risultano ancora operativi. Per secoli interi, fino alla seconda guerra mondiale, questo codice è stato una vera costituzione per gli albanesi. Tramandato oralmente tra le varie generazioni, preciso, spietato, completo, esso intreccia tutta la vita e la morte umana, stabilendo con rigorosità ogni minimo dettaglio delle regole che definiscono come deve essere servito il caffè, il cui mancato rispetto poteva causare ostilità mortali, fino a quelle relative all’incendio punitivo di un’intera regione[5].
Ma esaminato ancora da un altro punto di vista lo studio del Kanun di Lek Dukagini, è indubbiamente di alto interesse poiché essendo le sue consuetudini un’intima espressione della conoscenza popolare, che prima le ha create e poi le ha mantenute in vita praticando la conoscenza di quelle, potrà illuminarci e guidarci nella conoscenza dei valori psicologici delle popolazioni albanesi, dato che quelle esprimevano la parte migliore rimasta più pura e inalterata nonostante l’invasione ottomana.
Il codice consuetudinario delle montagne del Nord Albania, ruota tutto intorno alla vendetta di sangue. “Il sangue non rimane mai invendicato[6]”, ma con osservanze rigidissime del codice d’onore. Codice d’onore che come fondamento esprimeva una sola parola: Besa.
L’istituzione sociale morale della Besa tra le popolazioni albanesi ha determinato una notevole importanza.
“La Besa è la motivazione più importante della vita pubblica e privata del montanaro albanese”[7].
E’ la promessa, consacrata della propria parola d’onore, offerta come garanzia della piena osservanza di un qualsiasi compromesso[8].
Così la Besa nei casi più generali interviene per consolidare il rapporto di ospitalità, di amicizia o di protezione, ed anche la pace del sangue. Concedere la Besa significa affermare il valore del proprio onore che da solo avvalora qualsiasi promessa, mostrando considerazione della propria personalità capace di impegnarsi in un compromesso.[9]
Chi concede la Besa quindi è un vero uomo. Violare la Besa, direttamente o indirettamente, e quindi non tenere conto o fare sì che anche involontariamente un individuo vi manchi, significa impedire all’individuo di essere uomo.[10]
L’obbligo della Besa ricade su coloro che hanno subìto un’offesa, ma non tutti potevano dichiararla perché spettava agli anziani la scelta di chi possedeva i requisiti necessari, cioè l’onore e il rispetto (Cap. IV articolo 175), per poterla far valere. Inoltre non era concesso di giurare a quanti avevano assistito al reato per cui si intende manifestare la Besa, ed erano tassativamente esclusi sia i sacerdoti che le donne (Cap. VII articolo 181-182).
Prendendo in esame il testo pubblicato da padre Stefano Gjeciov, che codificò il Kanun attraverso la sola documentazione orale, osserviamo relativamente alle norme riguardanti la Besa, che questa è articolata in diversi generi e in diverse forme. L’articolo 163 del capitolo III del Kanun definisce l’importanza della Besa come “un comportamento fedele attraverso il quale chiunque voglia liberarsi da un debito, deve mostrare un segno di fede, chiamando il Signore a testimonianza della verità”[11]
La vendetta, considerata una delle più antiche e incivili istituzioni del diritto consuetudinario albanese, era strettamente collegata alla Besa, anche quando l’omicida cercava tregua alla famiglia della vittima. Se quest’ultima concedeva la propria Besa, l’omicida poteva circolare liberamente, occupandosi delle proprie attività economiche[12]. È celebre l’episodio narrato in una delle relazioni alla missione volante in Albania: “Pochi anni fa nella Sadrima, molta gente trovandosi insieme per tirare al bersaglio, per puro incidente un giovane rimase colpito da una palla. L’infelice tiratore, appena s’accorse del danno, fuggì ed entrò nella prima casa disponibile che gli si parò davanti dicendo: “sono in mano vostra, perché ho ucciso un uomo”. Fu subito accolto. Dopo mezz’ora, in quella casa portarono un cadavere: era il figlio del padrone di casa ucciso nel tiro a bersaglio. A quella vista il povero rifugiato si vide perduto, ma il padre della vittima, riavutosi da un primo sbalordimento, lo confortò e gli disse che poteva rimanere per tre giorni anche perché gli avrebbe concesso la Besa e nessuno l’avrebbe molestato: il terzo giorno lo avvisò di fuggire raccomandandogli di non farsi trovare perché sarebbe stato costretto ad ucciderlo[13]”.
Per quanto possa sembrare assurdo e tragico, il codice abitudinario delle montagne albanesi ha regolato la vita di intere generazioni. Un’intera popolazione era ossessionata dal fatto di trovare il diritto sforzandosi di non andare oltre la misura delle cose e soprattutto una fatalità che sta al di sopra di ogni cosa come un sole agghiacciante dal quale non c’è via di scampo.[14]
Prima pagina della Tribuna Illustrata 7 maggio
1939. (Archivio Varfi)
L’origine della parola Besa
Sull’origine della parola Besë non si è riscontrata un’unanimità di giudizio presso gli studiosi. Secondo Meyer[15] essa andrebbe comparata con bind (persuado), bindem (mi persuado), che con Besë, deriverebbero dalla radice indo europea bhendh (lego, tengono insieme). Il linguista della piana degli albanesi Demetrio Camarda[16] ha intravisto il legame di Besë con la parola greca πείϑω e πίστις (pístis) fede.
Eqerem Çabej[17] ritenendo corretto l’interpretazione Meyer ha riproposto pertanto il confronto con bind, bindem, parole che trovano conferma anche nel greco πείϑω (alb. bindem) e πίστις (alb. besë).
Un’ulteriore precisazione sul significato e sull’etimologia della parola è stata data da Emile Benvensite, per il quale “al di fuori del latino del greco non si trova da citare con lo stesso senso, che una forma nominale, l’albanese bē “giuramento”, dato che le altre forme foneticamente comparabili non trovano alcun fondamento a un accostamento con il senso[18].
Questo è un brevissimo riassunto alla ricerca dell’etimologia esatta della parola Bessa. Ovviamente la questione è molto più complessa, ampia e ancora non risolta. Come abbiamo già detto abbondantemente il più famoso Codice Consuetudinario in Albania è appunto quello di Lek Dukagjini che porta il nome di uno dei membri della celebre famiglia albanese. Ma chi era Lek Dukagjini?
Lek Dukagjini
La famiglia Dukagjini[19] ebbe nella storia albanese un posto importante, dal secolo XII al XVI, quando l’ultimo suo discendente, fattosi turco, morì a Costantinopoli funzionario di quel governo.
Lek Dukagjini nato intorno al 1410, compagno fedele di Giorgio Kastrioti Skanderbeg, nelle lotte di quest’ultimo condotte contro il Turco fino a diventare, alla sua morte, erede della sua opera gloriosa e continuatore[20]. Fu il più notevole membro della famiglia Dukagjini ed anche il più valoroso difensore della libertà albanese poiché morì nel 1477, trucidato dai turchi, all’assedio di Croia episodio con il quale si chiude la lotta degli albanesi contro Maometto II. Lek Dukagjini più che tutti i suoi familiari, nella qualità di un giudice che si accompagnava alla sua posizione di principe, dovette curare l’applicazione e quindi la valorizzazione delle consuetudini. La tradizione non mancò allora di alterare la reale portata dell’opera di Lek Dukagjini e confondendo l’applicazione delle consuetudini con la loro creazione, le attribuì direttamente come opera di Lek Dukagjini, anche perché presentate come sue, per la fama che egli godeva a causa del suo valore, esse acquisirono una maggiore autorità.
Lek Dukagjini legislatore o codificatore?
Ammesso che la raccolta delle consuetudini possa in qualche modo allacciarsi alla persona di Lek Dukagjini, occorre vedere quale sia la sua reale opera rispetto al codice.
Egli fu un legislatore o un codificatore[21]? O piuttosto soltanto un buon applicatore delle consuetudini vive in mezzo al suo popolo?
Se le norme arrivate fino a noi fossero creazione di Lek Dukagjini, esse dovrebbero presentarsi a noi dotate di una certa armonica logicità e di una certa disposizione organica, invece manca in più punti, anche nei più importanti e fondamentali. Seguendo lo stesso ragionamento, possiamo asserire che non è opera nemmeno di un gruppo di legislatori che agirono in tempi diversi, ma seguendo sempre le orme di chi avrebbe iniziato l’opera. Appunto perché manca una certa logica che ci fa pensare che nel caso le norme fossero scritte da Lek Dukagjini o da un gruppo di legislatori, essi stessi abbiano voluto creare appositamente delle contraddizioni nel loro lavoro. Una ipotesi da scartare.
Il Kanun di Lek Dukagjini non ha avuto né uno né più legislatori, ma è nato solo dall’opera popolare continua, è perlopiù ignota, seguente con l’evolversi della coscienza sociale.
Se dovessimo ammettere che tali norme siano state dettate da un capo o da un gruppo di capi, bisognerebbe negare assolutamente loro quel carattere di consuetudini che in esse appare ben manifesto, non fosse altro che per il fatto che esse si mantenevano rigorosamente anche quando i turchi avevano imposto la loro dominazione. Il permanere di tali norme fu possibile perché si trattava di consuetudini, cioè di norme radicate intimamente nella coscienza popolare, sia perché ritenute adatte a soddisfare le esigenze giuridiche sociali, sia perché assimilate attraverso le continue ripetizioni, essi - cioè il popolo albanese - se le trasmisero di generazione in generazione insieme alle più care tradizioni. È stato proprio questa obbligatorietà giuridica diffusa che poté mantenerle come le mantenne secoli e secoli, anche in assenza di un forte potere che le facesse osservare. E si noti ancora che se fossero stati leggi create da Lek Dukagjini o dai suoi contemporanei, i turchi che occuparono l’Albania mentre Lek Dukagjini era ancora vivo, non avrebbero certo faticato ad estirpare ciò che stava nascendo quasi contemporaneamente alla loro invasione. Invece gli ottomani non fecero mai questo, anzi a cinque secoli di distanza consacrarono l’importanza di tali consuetudini, tentando di farne una codificazione.
Se per risolvere la questione ci rivolgiamo alla storia, vediamo che anch’essa ripete una risposta negativa. Nessun autore che ha scritto sull’eroe nazionale albanese Giorgio Kastrioti Skanderbeg, e ha nominato in più riprese Lek Dukagjini, dando ragguagli sulla sua, ci da notizie circa un’opera legislativa compiuta da costui. Angelo Comneno, vissuto dopo Lek Dukagjini, e cioè nel XVI secolo, nella sua genealogia dei principi albanesi nominò il Dukagjini e da date precise della sua vita, ma anche questo autore tace di una sua opera legislativa. Tacquero costoro perché ignorarono o perché l’attività legislativa di Lek Dukagjini parve loro di poca importanza da non doverla ricordare? Sembra impossibile che quasi contemporanei come essi furono, potevano ignorare un atto così importante dove si fosse realmente realizzato e sembra ugualmente impossibile che un fatto così importante non lo degnarono nemmeno di un cenno nelle loro storie.
Lek Dukagjini molto probabilmente fu soltanto un valorizzatore delle consuetudini del suo paese, con l’applicazione pratica che egli ne fece.
[1] Delle montagne, in lingua albanese
[2] Matteo Mandalà, Sul motivo della Besa nella letteratura albanese, Atti del XVII Congresso Internazionale di Studi Albanesi, Palermo 25-28 novembre 1991.
[3] Giuseppe Castelletti. Consuetudini e vita sociale nelle montagne albanesi secondo Il Kanun di Lek Dukagjini. Studi Albanesi, Volume III – IV – 1933 – 1934.
[4] La stella del mattino, in lingua albanese
[5] Ismail Kadarè, Eschilo, il gran perdente. Edizioni Controluce 2008
[6] Il Kanun di Lek Dukagjini, Besa, Nardò, 2000
[7] Antonio Baldacci, L'Albania, Roma, Istituto per l'Europa Orientale, 1929
[8] Giuseppe Castelletti. Consuetudini e vita sociale nelle montagne albanesi secondo Il Kanun di Lek Dukagjini. Studi Albanesi, Volume III – IV – 1933 – 1934.
[9] Ibidem
[10] Ibidem
[11] Kanuni i Lekë Dukagjinit, cit, p 152.
[12] Matteo Mandalà, Sul motivo della Besa nella letteratura albanese, Atti del XVII Congresso Internazionale di Studi Albanesi, Palermo 25-28 novembre 1991.
[13] La legge delle montagne albanesi nelle relazioni della missione volante (1880-1932), a cura di Giuseppe Valentini, Firenze 1969
[14] Ismail Kadarè, Eschilo, il gran perdente. Edizioni Controluce 2008
[15] G Meyer, Albanesische Studien I-IV, Wien, 1883-97.
[16] D. Camarda, Saggio di grammatologia comparata sulla lingua albanese, Livorno, 1864.
[17] E. Çabej, Studime etimologjike në fushë të shqipes, in Studime gjuhësore, vëll.VII-të, Rilindja Prishtinë, 1986.
[18]E. Benvensite, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee. I, Economia, parentela, società, Einaudi, Torino, 1976.
[19] Giuseppe Castelletti. Consuetudini e vita sociale nelle montagne albanesi secondo Il Kanun di Lek Dukagjini. Studi Albanesi, Volume III – IV – 1933 – 1934.
[20] Gli storici ricordano che quando Giorgio Kastrioti Skanderberg morì ad Alessio nel 1468, Lek Dukagjini lo assistette negli ultimi istanti e fu il primo ad annunziare la morte ai capi albanesi convenuti nella piazza di Alessio.
[21] Giuseppe Castelletti. Consuetudini e vita sociale nelle montagne albanesi secondo Il Kanun di Lek Dukagjini. Studi Albanesi, Volume III – IV – 1933 – 1934.
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