Sculture romane rinvenute in Albania



P. C. Sestieri


I

Ritratti d’Apollonia d’Illiria

Durante una campagna di scavi che ho diretto ad Apollonia[1] dal 15 set­tembre al 30 novembre 1941, nella valle di Kryegjata, situata a oriente della collina su cui sorgeva l'antica città[2], è venuta in luce una ricca sepoltura romana in forma di tempio corinzio in antis, di cui ho dato notizia altrove[3], e che verrà illustrata anche nella relazione dello scavo, che sto preparando. Il sepolcro era costituito da due parti nettamente distinte: una anteriore, di rap­presentanza, conformata come la facciata di un tempio in antis, nella quale, su un basamento, erano tre statue marmoree colossali, e una posteriore, che era la camera sepolcrale vera e propria, in cui, incastrata nel pavimento, è tuttora l'urna funeraria rettangolare, calcarea. In questo ambiente sono stati ritrovati i frammenti delle statue, che vi erano precipitati in seguito alla distruzione del­l'edificio, causata da una violenta scossa sismica. I frammenti non sono molto numerosi, e si sono ritrovate soltanto due delle teste dei tre personaggi, che erano evidentemente i titolari della tomba, cioè una coppia coniugale e il loro figlio; quelle rinvenute sono i ritratti dei genitori.
Evidentemente questi - data la magnificenza della tomba che si erano fatta costruire - dovevano appartenere a una delle principali famiglie d'Apollonia romana, ma sfortunatamente non si è trovata nessuna iscrizione che ci per­metta di conoscere i nomi e il grado dei componenti di questa famiglia[4].
In un primo tempo la testa maschile era stata rinvenuta priva del volto, che fu scoperto dopo due giorni, a poca distanza dal punto in cui giaceva la testa. Purtroppo il viso è spezzato all'altezza dell'attacco del naso e manca dell'occhio destro e di parte del sinistro; il complesso è danneggiato nelle ciocche dei capelli che ricadono sulla fronte e sulle tempie, e sulle guance. Rappresenta un uomo d'età matura, dall'aspetto nobile e pensoso (Fig.l);

FIG. 1 - (Fot. L.V.C.E.) -APOLLONIA. RITRATTO MASCHILE DA KRYEGJATA: VEDUTA FRONTALE.

la chioma abbondante si irraggia dal vertice del capo (Fig. 2), 

FIG. 2 - (Foto. Sestieri). - APOLLONIA. RITRATTO MASCHILE DA KRYEGJATA, VEDUTA POSTERIORE.

e giunge, molto mossa e gonfia, sul collo e sulla fronte, che viene a esserne incorniciata ; in basso si unisce, senza soluzione di continuità, alla barba, non troppo lunga, ma anch'essa abbondante; anche i baffi si uniscono alla barba. Il trattamento è in tutte queste parti lo stesso, e cioè eminentemente coloristico per l'accentuato uso del trapano, con il quale sono state separate le singole ciocche, in modo da conferire a ogni elemento la sua individualità. Tuttavia il trattamento è più uniforme nella chioma, meno nella barba, dove i tratti di trapano qua e là sono soltanto accennati. Il volto, benché sia molto danneggiato, rivela una grande accuratezza di esecuzione; ma anche in esso è evidente la tendenza, più idealizzatrice che naturalistica, dello scultore: infatti, non soltanto non v'è accentuazione di caratteri fisionomici, ché soltanto le rughe sulla fronte possono costituire un accenno all'età del modello, ma nei tratti generali, nell'architettura del cranio e del viso, e nella disposizione dei capelli e della barba, questo ritratto non solamente arieggia, ma addirittura assume il tono generale di quelli di Antonino Pio, tanto che, se non fosse stato trovato, in seguito a scavi regolari, in un sepolcro della necropoli apolloniate di Kryegjata, a prima vista lo si sarebbe potuto scambiare facilmente con un' immagine di questo imperatore.
Il ritratto femminile è più conservato dell'altro, in quanto non presenta rotture di grande entità, ma la sua superficie è corrosa, specialmente a sinistra (Fig. 3),

FIG. 3 - (Fot. L. V. C. E.) - APOLLONIA. RITRATTO FEMMINILE DA KRYEGJATA VEDUTA ANTERIORE.

a causa di un sedimento di natura ferrosa che si era formato su di essa durante la permanenza sotto terra e che in alcuni punti ha intaccato profondamente il marmo. Il volto, d'un bell'ovale, fine e regolare, presenta caratteri di maggiore personalità dell'altro, specialmente evidenti nel mento piccolo e volitivo, leggermente prominente, e nella bocca, anch'essa piccola e dalle labbra assai ben disegnate, che conferisce al viso un'impronta netta di volontà contenuta e cosciente; ma per il resto, nelle superfici lisce e arrotondate, esso rivela egualmente quella tendenza a idealizzare i tratti, che, pur conservando le principali caratteristiche fisionomiche del modello, mira a una visione dell' insieme meno personale, tendenza caratteristica del III secolo, ma che ha i suoi precedenti nel II, nel ritratto di Faustina Minore delle Terme, e in un altro di giovanetta d'età traianea, dello stesso Museo[5]. Le chiome hanno un'acconciatura elaborata che ricorda quella di Faustina Seniore. Costituiscono infatti due bande molto alte e con ondulazioni simmetriche, che circondano la fronte, coprendola in gran parte, al pari delle tempie; le ondulazioni giungono fino alle orecchie, poi i capelli proseguono lisci fino alla nuca, dove si riuniscono in trecce (Fig. 4), 

FIG. 4 - (Fot. L. V. C. E.). - APOLLONIA. RITRATTO FEMMINILE DA KRYECJATA. VEDUTA POSTERIORE

che per quattro volte si arrotolano sulla sommità del capo: alcuni ricciolini sfuggono da questa pettinatura, e si dispongono graziosamente e simmetricamente sul collo. Il trattamento della chioma è accuratissimo, e, più che un lavoro di scalpello, sembra un lavoro di bulino, per l'esattezza e la precisione con cui sono resi gli elementi delle singole ciocche, sia nelle bande ondulate sia nelle trecce.
È chiaro che questi due ritratti appartengono al periodo degli Antonini, anzi, per le notate somiglianze di quello maschile con Antonino Pio, e per l'acconciatura di quello femminile, potremmo attribuirli senz'altro al periodo di questo imperatore; ma alcune particolarità del trattamento e della conformazione delle chiome ci permetteranno una datazione più precisa. Nella quasi totalità dei ritratti di Antonino Pio, la chioma e la barba sono caratterizzate da un rendimento notevole per plasticità piena e sentita[6]. Solo in un esemplare delle Terme[7], che appartiene agli ultimi anni di regno dell'imperatore per i tratti più invecchiati che esso dimostra, i capelli hanno una minore plasticità, e la barba è appiattita e resa coloristicamente a colpi di trapano. Allo stesso modo, e in maniera più accentuata, sono trattate la chioma e la barba del ritratto postumo sulla base del Giardino della Pigna in Vaticano[8]: questo rendimento coloristico, ma portato alla sua massima espressione per l'uso quasi esclusivo del trapano, si ritrova nel ritratto apolloniate, il quale trova i confronti migliori con quelli che rappresentano Marco Aurelio nella .sua maturità, specialmente con il busto di Dresda 386, e con la testa delle Terme 726[9]. Così il ritratto femminile, nei caratteri generali dell'acconciatura, è, molto simile a quelli di Faustina Seniore. Specialmente quello di Dresda 384[10], che ha pure quattro ordini di trecce sulla sommità del capo, è il più vicino al nostro, ma in nessun ritratto dell' imperatrice le bande ondulate sono tanto alte: le ritroviamo invece identiche, sia nell'altezza che nella forma delle ondulazioni, nel già citato ritratto di Faustina Minore alle Terme, e in sculture contemporanee a questa, come il ritratto di defunta del sarcofago di Melfi.[11]
Concludendo: nella chioma del ritratto maschile i valori sono molto più pittorici che plastici, mentre nell'altro sono esclusivamente plastici, e il suo trattamento ne accentua il carattere di realismo, che contrasta con quello illusionistico del primo: in questo sono vivaci effetti chiaroscurali, dovuti ai profondi incavi prodotti dal trapano; nell'altro è un moderato giuoco di ombre e luci, che si alternano uniformemente e con sobrietà sugli spigoli e le convessità delle ondulazioni. Ma queste acconciature sono specialmente interessanti perché ci consentono di datare i due ritratti con un'approssimazione abbastanza esatta. Da quel che abbiamo potuto osservare, benché le due sculture seguano nella moda e nei caratteri generali le immagini di Antonino Pio e della sua consorte, è risultato che se ne distaccano per il rendimento delle acconciature, che è proprio del periodo immediatamente seguente: possiamo perciò datarle o negli ultimi anni di vita dell'imperatore, o nei primi del regno di Marco Aurelio: la datazione più convincente mi sembra intorno al 160 dopo Cristo.


II
Stele funeraria di Durazzo


Alcuni anni fa, nel corso dei lavori per la costruzione della strada Durazzo-Aeroporto, venne in luce una stele di calcare bianco, a grana compatta (Fig. 5), 

FIG. 5 - (Fot. Sestieri)  DURAZZO - STELE FUNEBRE DI LEPIDIA SALVIA.


la cui iscrizione ci informa che era dedicata alla liberta Lepidia Salvia.[12] La forma della stele è quella a edicola, con volta semicircolare, sostenuta da due pilastrini; il tutto è circondato da un bordo costituito da un listello, che forma una cornice rettangolare. In basso è un'ampia zona con l'iscrizione, chiaramente visibile nella fotografia. Nell'edicola è scolpita ad alto rilievo la figura della defunta: una giovane, che nella mano sinistra tiene un cofanetto, che ha aperto con la destra; sul coperchio sono tracce di colore rosso. La fanciulla volge il capo e lo sguardo leggermente a destra; il corpo è invece lievemente inclinato verso sinistra; la gamba da questa parte è portante e tesa, mentre la destra è flessa e scartata di lato. Le pieghe del mantello, che è poggiato sulla spalla sinistra, lasciando scoperta l'altra spalla e la metà destra del petto, non sono numerose, e sono originate dalla sporgenza del ginocchio destro e dal lembo di stoffa che è sostenuto dal polso sinistro, il quale esce, all'altezza dell'anca, dai due lembi, anteriore e posteriore. L'abito al disotto scende con pieghe verticali, simili a quelle del chitone di molte statue greche, come ad esempio la “Grande Ercolanese“. Il polso destro è ornato da un'armilla a spirale. Il volto è trattato piuttosto sommariamente, e non ha grandi pregi artistici, né vale molto come ritratto, anzi ci sorprende in esso la goffaggine con cui sono resi gli occhi, troppo grandi ed eccessivamente sporgenti; del resto, tutta la figura, benché ispirata a modelli classici, che per l'atteggiamento e la disposizione del panneggio possono risalire al IV secolo a. C., non supera il livello di un'accurata opera di bottega. Il tipo ellenizzante del vestito con il manto che scende dalla spalla sinistra, trova riscontro in un busto fittile del Gregoriano, che[13] dal Vessberg, che riporta l'opinione del Kaschnitz, è datato agli inizi del I secolo a. C. Al I secolo, infatti, ci riportano sia l'acconciatura sia la forma delle lettere dell' iscrizione, che sono abbastanza regolari, ma con la P dall'anello non perfettamente chiuso, e la I di HIC più alta delle altre. L'acconciatura consiste in due bande di capelli, che partono da una scriminatura mediana sulla fronte, formate da masse ondulate susseguentisi, e parzialmente sovrapposte l'una all'altra; le due prime ciocche ai lati della scriminatura sono arrotolate a chiocciola. Un'acconciatura pressoché identica è quella di Numonia Megisthe, raffigurata insieme a Cn. Pompeius Prothesilavus su un rilievo delle Terme, che dal Vessberg è classificato tra i monumenti dello stile lineare del periodo del secondo triumvirato, e datato al 30 a. C.[14]. Il particolare della calottina si ritrova del resto anche in ritratti più antichi, come in uno di Ny-Carlsberg, che è datato al 50 a. C[15]., e in più recenti, come la Ottavia del Louvre[16]. Ma la pettinatura di Lepidia Salvia, a prescindere da poche varianti di scarsa importanza, evidentemente dovute al gusto personale delle varie persone ritratte, è molto frequente nel I secolo a. C.; tuttavia, prima di farne l'esame e di cercarne non solo le diverse esemplificazioni, ma anche le derivazioni, sarà opportuno confrontare la stele con un monumento che ha con essa molti punti contatto: intendo parlare del rilievo funerario del Museo Mussolini con la rappresentazione di due coniugi defunti[17]. Naturalmente quella che qui c'interessa è soltanto la figura femminile, la quale ha in comune con quella di Lepidia Salvia elementi formali e tecnici. Infatti, sia nell'uno che nell'altro caso, le immagini sono espresse con un rilievo talmente alto e con un così forte distacco dal fondo, che sembrano quasi sculture a tutto tondo. Inoltre, ambedue derivano, per la disposizione dell'abito e la posa, da modelli ellenistici: abbiamo già parlato dell'abito di Salvia, e produrremo in seguito per esso dei precisi confronti; la donna del rilievo di Roma, tutta avvolta nell’himation, che a guisa di velo è passato al disopra del capo, è nello schema e nel tipo della Pudicitia, tipo molto spesso ripe-tuto in rilievi e statue d'età repubblicana. Un altro punto di contatto fra le due figure è costituito dall'accentuazione della struttura ossea che si riscontra sull'una e sull'altra, e un altro, infine, dall'acconciatura. Quella della figura di Roma consiste in due bande che si dipartono dalla scriminatura mediana, e sulla fronte e sulle tempie formano piccole masse ondulate, parzialmente sovrapposte l'una all'altra: quest'acconciatura è sostanzialmente identica a quella della fanciulla della stele di Durazzo, anche se mancano le ciocche arricciate a chiocciolina ai lati della scriminatura, e se sulla fronte sfuggono dei ricciolini disposti simmetricamente. Il rilievo del Museo Mussolini è datato al 70 a. C. (Vessberg), o alla metà del I secolo a. C. (Mustilli): tanto questo quanto quello di Durazzo sono pienamente nella tradizione ellenistica, e propenderei a ritenerli coevi, ambedue del 50 circa a. C. Il tipo della chioma delle due figure ha dei precedenti in una testa del Museo delle Terme,[18] che è stata confrontata dal L'Orange[19] con un'altra di Oslo, e da lui datata alla fine della Repubblica, mentre dalla West e dal Wessberg, tanto quella romana quanto quella di Oslo sono giudicate - mi sembra con ragione - anteriori al 50 a. C. Anche in queste teste troviamo ancora una volta le masse ondulate e sovrapposte che costituiscono le bande di capelli separate dalla scriminatura mediana, ma le due estremità sono riunite e raccolte in un nodo sulla sommità del cranio, nodo che è interamente conservato solo in quella delle Terme. Gli illustratori dei due ritratti sono tutti d'accordo nel giudicarli di tradizione ellenistica, anche se uno di essi - il L'Orange propende per una datazione più bassa degli altri.
Le due trecce annodate sul vertice del cranio mi fanno ritenere queste due teste più antiche della fine della Repubblica per il confronto con il già citato rilievo di Nummonia Megisthe, datato al 30 a. C., nel quale la figura di donna ha una acconciatura uguale a quella delle due teste Terme - Oslo, ma con le trecce che scendono sul dorso, in maniera analoga a quanto avviene nel ritratto d'Ottavia del Louvre[20]. Pertanto la stele di Durazzo e il rilievo del Museo Mussolini verrebbero a trovarsi cronologicamente tra le due teste su citate e il rilievo di Nummonia, quindi all'una e all'altro conviene la datazione alla metà del I secolo avanti Cristo. Ciò che rende interessante la stele di Durazzo, a prescindere dai suoi meriti artistici, che non possiamo pretendere troppo elevati - almeno in questo periodo - nel monumento funebre d'una liberta, è il tipo del vestito indossato dalla defunta. Se lo esaminiamo attentamente, ci renderemo conto che essa indossa tre capi di vestiario: una tunica manicata con scollatura circolare, alla quale si sovrappone un'altra tunica senza maniche, con scollatura a triangolo,. cinta sotto i seni, e che in basso forma le pieghe verticali e parallele di cui abbiamo parlato, infine al disopra il mantello. Ma se questo può esser paragonato a un himation, l'abito al disotto non è né il chitone greco né la tunica romana, ma è un abito particolare, che non potremo confrontare con nessuna delle opere d'età greca o romana che conosciamo, ma soltanto con due opere, restituite dal sottosuolo albanese, di esecuzione sicuramente locale; e cioè la statua detta la “Fanciulla di Valona”, e il busto di Fingia della Collezione Vlora della stessa città. Ambedue le sculture sono descritte e riprodotte dall'Ugolini.[21] La prima (Fig. 6), 

FIG. 6 - (Fot Ugolini) - LA “FANCIULLA DI VALONA ”.


al disopra di una tunica con maniche che giungono fino al gomito, indossa un lungo vestito cinto in alto, che nella parte inferiore forma molte pieghe verticali e parallele. Quest'abito ha una larga scollatura quadrata, che sul petto lascia completamente scoperta la tunica sottostante, ed è completamente privo di maniche; inoltre la “Fanciulla” ha un manto.
Il busto di Fingia non ci permette di sapere come terminasse in basso il vestito, ma possiamo supporre che avesse un andamento simile a quello rappresentato sulla statua di Valona e sul rilievo di Durazzo, però è ben visibile la parte superiore, che è quella che maggiormente c'interessa. Ancora una volta una tunica senza maniche è sovrapposta a un'altra, provvista di maniche che giungono fino al gomito, ma qui la tunica superiore ha la scollatura triangolare, identica a quella osservata sul vestito di Lepidia Salvia. L'insieme è completato dal mantello, che nel busto passa sul capo, a guisa di velo. Una differenza, non sostanziale, tra la “ Fan-ciulla”, e il busto di Fingia e la stele di Durazzo, consiste nella forma della scollatura, che - come abbiamo già osservato - è quadrata nella prima, triangolare nelle altre due sculture, ma gli altri elementi si corrispondono esattamente. Soprattutto un particolare comune alle tre figure è di grandissima importanza, e rivela l'identità del loro costume, anche a prescindere dagli altri caratteri: la tunica inferiore consta, in tutti e tre i casi, di due parti, una anteriore e una posteriore, che sono cucite insieme lungo la linea mediana delle maniche: questa cucitura, dai bordi molto rilevati, è chiaramente visibile sulla figura della stele, e non è meno chiara, sia nella “Fanciulla” (Fig. 7)

FIG. 7- (Fot Ugolini) - PARTICOLARE DELLA“FANCIULLA DI VALONA ”.


sia nel busto, nel quale, anzi, come dice l'Ugolini, è ostentata. La diversa forma della scollatura si spiega con la diversa età delle sculture: il busto e la stele sono presso a poco contemporanei, la statua è invece più antica, e può risalire al II secolo a. C., quindi, probabilmente, è l'indice d'una moda diversa dello stesso costume. Ma in ogni caso questa moda è influenzata dal costume greco: infatti se osserviamo la statua della “Fanciulla” e la stele - non possiamo prendere in considerazione il ritratto di Fingia che, essendo soltanto un busto, non si presta a questo esame - noteremo che, nelle linee generali, l'abito delle due figure fa lo stesso effetto di un chitone a cui sia sovrapposto l’himation; meno nella “Fanciulla”, in cui le rigide e larghe pieghe, tutte eguali, che si formano alla vita, esulano dalla pura arte greca, mentre quelle che appaiono al disotto del manto ci richiamano a schemi classici; ma nella figura di Lepidia Salvia, la disposizione dell’himation è quella stessa di figure del IV secolo, alle quali ci richiamano anche la semplicità e la sobrietà della distribuzione delle pieghe. La si può confrontare, ad esempio, con la figura di Atena d'un rilievo con il trattato fra Atene e Corcira del 375 a. C.[22], la quale ha l'himation che copre la spalla sinistra, lasciando scoperta la metà destra del petto, e il braccio sinistro che esce dai due lembi del manto, in maniera del tutto simile a quanto abbiamo osservato per la figura della stele, nella quale il confronto con opere dell'arte greca è anche richiamato non solo dalle pieghe inferiori della tunica, ma anche dal ritmo di posizione che per la gamba destra piegata e scartata di lato, e la testa girata dalla parte della gamba flessa, ci riporta all'arte lisippea, o per lo meno ad opere influenzate dal maestro sicionio.
Ma non c'è da stupirsi di questo, specialmente a Durazzo, che fu colonia greca fin dal VI secolo a. C.; del resto è di tradizione ellenistica - come abbiamo già osservato - anche la contemporanea scultura romana, almeno per quel che riguarda le figure femminili. Il vestito di Lepidia Salvia, dunque, greco nella sua disposizione, è però illirico nei suoi elementi, come quello del busto di Fingia e della Fanciulla di Valona. Così con questa stele abbiamo acquisito un terzo esempio del costume femminile dell'ancora misterioso popolo illirico. Lepidia Salvia è una liberta, e come tale è divenuta cittadina romana, ed ha assunto un nome romano, ma il suo abito dimostra che probabilmente essa era d'origine illirica, e se nella stele il costume che indossa è quello illirico, vuol dire che ad esso ella è rimasta fedele in vita, pur dandogli una disposizione aggraziata, che l'arte ha reso simile a quello greco. Nelle colonie greche d'Illiria si nota, prima e durante l'occupazione romana, una costante fusione dell'elemento greco e di quello illirico, reso evidente dall'uso dei nomi: Apollonia fornisce in proposito degli esempi interessantissimi: così su una stele conservata a Tirana, della quale mi sono occupato in altra sede,[23] la titolare, Phalakra, che ha un nome prettamente illirico, è figlia d'un tal Lisimaco, mentre su un cippo funerario, rinvenuto nella campagna di scavi di cui si è fatto cenno al principio di questo lavoro, vi è una dedica a Neikaia, figlia d'un certo Agrone, la cui omonimia con il celebre re è prova sicura della sua illiricità: si noti che questo cippo è d'età romana. Abbiamo quindi un esempio in cui un padre illirico dà alla figlia un nome greco, e un altro in cui un padre greco chiama la figlia con nome illirico: ciò prova che i due elementi, greco e illirico, erano fusi, ma che nessuno dei due aveva avuto la prevalenza sull'altro. La stele di Lepidia Salvia è un esempio chiaro di questa fusione: il costume è illirico, ma ha preso la grazia di quello greco, ed è reso secondo Io spirito greco, pur essendo rimasto inalterato nei suoi elementi. Cosi questo modesto monumento dell'arte decorativa di Dyrrachium racchiude in sé le testimonianze delle tre civiltà che si sono avvicendate sul suolo dell'antica città: l'illirica, rappresentata dal costume, la greca, dimostrata dalla disposizione del panneggio e dal ritmo della figura, e la romana, che nel ritratto della defunta compendia una della più grandi conquiste dell'arte, e dà il carattere generale a questa scultura.




[1] Estratto dal Bull. del Museo dell’ Imp. Rom., XIII (1942) (Appendice ai Vol. LXX del Bull. della Comm. Arch. Gov. di Roma),STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO. ROMA MCMXLIII
[2] Kryegjata è il nome della valle posta a oriente della collina su cui sorge Apollonia, nonchè del fiume che l'attraversa, e del villaggio situato presso la sponda sinistra di questo. Fin dall'epoca delle sue esplorazioni, il Praschniker aveva riconosciuto nella valle di Kryegjata le necropoli di d'Apollonia, sia quella d'età greca che quella romana, e vi aveva rimesso in luce i resti di un tempietto funerario romano, analogo a quello di cui si parla nel presente lavoro, e molto simile ad esso per la decorazione architettonica. Vedi PRASCHNIKER, Muzakhia und Malakastra, ( Beiblatt Oest. jahresheftens XXI, XXII, pag. 42 segg.
[3] Rivista del R. 1st. di Arch. e Storia dell'Arte
[4] I due ritratti, scolpiti in marmo greco insulare a grossa grana, sono di dimensioni superiori al vero: quello maschile misura m. 0.36 e quello femminile m. 0,34 d'altezza. Per i pochi fram­menti delle statue a cui appartenevano, vedi la mia relazione sullo scavo di Apollonia 1941.
[5]Faustina: HEKI.ER, Bildnisskunst, Tav. 284, b; fanciulla d'età traianea, ibid , Tav. 241, b. È interessante rivedere a questo proposito, quanto scrissi di un ritratto di Plautilla del Museo Nazionale di Napoli, dei primi anni del III secolo Critica d'Arte» XXV-XXVI, Parte prima, luglio-dicembre 1940, pag. 92 segg.), confrontandolo con un ritratto della stessa imperatrice, di indirizzo naturalistico, conservato agli Uffizi a Firenze: è evidente nel ritratto di Napoli l'ingentilimento dei tratti.
[6]WEGNER, Die Herrscherbildnisse in Antoninischer Zeit, Tavv. 1,-5.
[7] Ibid. Tav. 6, 1.
[8] Ibid. Tav. 7.
[9] Ibid. Tavv. 19-20.
[10] Ibid. Tav. 12
[11] E. STRONG, La scultura romana, Vol. II, figura 237, pag. 392.
[12]Altezza della stele m. 1 ,30; larghezza m. 0,60. Presenta alcune scheggiature lungo i bordi, e alcune abrasioni della superficie inferiore sulla quale è l'iscrizione. La figura della defunta è in complesso ben conservata: sono scheggiati: il naso, l'indice e il medio della mano destra, un tratto di panneggio sul polpaccio destro, e un altro, molto piccolo, sulla pieghe al disotto del mantello.
[13] VESSBERG, Studien zur Kunstgeschichte der rӧm. Republik, Tav. XCIV, 1.
[14] ID., op. cit., pag. 196, Tav. XL, 1.
[15]WEST, R5mische Portratplastik, Tav. XXV, 99; HEKLFR, op. cit., Tav. 202, a.
[16] WEST, op. cit., Tav. XXVI, 104; HEKLER, op. cit., Tav. 207, a.
[17] VESSBERG, op. cit., Tavv. XXVIIIVI II, pag. 184; MUSTILLI, Il Museo Mussolini, Sala XI, pag. 102, n° 9, Tavv. LVI/VII.
[18] WEST, op. cit., Tav. XXIV, 94, pag. 98 segg.; VESSBERC, op. cit. Tav. XCVI, 2, pag. 246.
[19]L'ORANGE, Zum friihrOmischen Frauenportriit,in » 1929 (XLIV, 3-4), pag. 174, figura 1 e Tav. 33/34.
[20] L'acconciatura delle due teste delle Terme e di Oslo, e di Lepidia Salvia e della donna del rilievo del Museo Mussolini, deriva da quella così detta a “ spicchi di melone” ma per le due teste, oltre a questa derivazione, giustificata dalle masse laterali di capelli, ondulate e sovrapposte, se ne può additare anche un'altra, da altri tipi ellenistici con acconciatura più semplice, di cui un esempio d'età romana è offerto dal ritratto di Terracina, VESSBERG, op. cit., Tav. XCIV, 2-3, in cui la scriminatura mediana separa due bande semplicemente e naturalmente ondulate, le cui estremità si annodano sul cranio.
[21]L. M. UGOLINI, Albania Antica: Fanciulla di Valona, pag. 81, figura 53; busto di Fingia, pag. 90, figura 62.
[22]WINTER, Kunstgeschichte in Bildern, fase. X, pag. 293, n° 1. RIZZO, Prassitele, Tav. X, 1.
[23] “Le Arti”

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