La drammatica avventura degli italiani in Albania
La drammatica avventura degli
italiani in Albania[1]
Emilio Faldella
Occupata per due volte dai nostri Corpi di Spedizione, nel 1914-15 e poi nel '39, l'Albania costituì il trampolino per la "guerra assurda" voluta da Mussolini contro la Grecia. Sotto la pioggia, su sentieri fangosi, attraverso torrenti in piena, alpini e bersaglieri andarono allo sbaraglio sotto il fuoco implacabile dei mortai.
Il 29 dicembre 1914 il 10° reggimento bersaglieri e la 18ͣ batteria someggiata sbarcarono a Valona. Era incominciato il primo atto dell'avventura albanese, che si sarebbe concluso infelicemente nel 1920. L'on Sonnino, ministro degli Esteri, aveva voluto quella presa di possesso per uno scopo esclusivamente politico; il generale Cadorna si era dichiarato contrario, prevedendo che, per difendere in caso di necessità Valona e il porto, sarebbero state necessarie molte altre truppe.
Nel novembre 1915 l'esercito serbo si ritirava, sconfitto, verso l'Adriatico. Per soccorrerlo, raccoglierlo e evacuarlo, furono inviate in Albania, al comando del generale Bertotti, due brigate (Savona e Verona), due reggimenti di milizia territoriale, uno squadrone di cavalleria, cinque batterie da montagna e campali e sette da posizione.
L'esercito serbo affluiva attraverso il Montenegro e l'Albania settentrionale in miserande condizioni, trascinando con sé prigionieri austriaci, civili, famiglie di ufficiali: una massa di gente inebetita dalla fame, dalle fatiche, dalle malattie, dal clima rigido, che occorreva vettovagliare, assistere. Fu necessario occupare Durazzo con una colonna (gen. Guerrini) costituita dal 15° fanteria (Savona) e due batterie da montagna che, marciando per 120 chilometri attraverso un terreno paludoso, privo di strade, solcato da fiumi privi di ponti, raggiunse quel porto il 20 dicembre 1915.
Frattanto, con un decreto del 4 dicembre, il Corpo di Occupazione d'Albania (gen. Bertotti) era stato sottratto all'autorità del generale Cadorna e messo alle dipendenze del ministro della Guerra. Le conseguenze furono gravissime, perché il Bertotti si dimostrò supinamente acquiescente alle mire politiche del Governo, perseguite al di sopra e in contrasto con l'esigenza di salvare l'esercito serbo con il minimo dispendio di forze.
Le colonne serbe incominciarono ad affluire negli ultimi giorni di dicembre; per il loro vettovagliamento e le cure sanitarie furono improvvisati ospedali, magazzini, campi. L'imbarco fu iniziato nel porto di San Giovanni di Medua, ma dopo pochi giorni questo porto divenne inutilizzabile per l'approssimarsi del nemico e quindi la massa degli scampati fu avviata a Durazzo e Valona. In complesso la marina italiana, con il limitato concorso di navi inglesi e francesi, trasportò a Corfù Brindisi e 193.514 uomini e 10.153 quadrupedi, compiendo un'opera immane, che allora ottenne riconoscimenti e manifestazioni di gratitudine, ma che poi fu dimenticata.
Il porto di Durazzo era il più esposto ad un attacco delle forze austro-ungariche che incalzavano le retroguardie serbe e perciò dal 9 febbraio 1916, ultimato l'imbarco in quel porto di 88.153 uomini, sarebbe stato opportuno, come aveva suggerito Cadorna e aveva proposto il generale Giacinto Ferrero, che aveva assunto il comando della brigata Savona, di sgomberarlo volontariamente, poiché, per difenderlo, sarebbero state necessarie truppe numerose. Il generale Bertotti, subordinando imprescindibili esigenze militari ai desideri del Governo (che erano poi quelli del ministro Sonnino) si oppose e intimò al gen. Ferrero di difendere Durazzo fino all'estremo. Ferrero, uomo di carattere adamantino e generale di grande capacità e prestigio, si prodigò per rendere meno grave l'inevitabile conseguenza di un ordine inopportuno. Dopo una tenace, onorevole resistenza contro l'attacco di forze superiori, effettuata il 23 febbraio su un fronte di 42 km. dalla brigata Savona (15° e 16°), da un battaglione dell'86° fanteria, un battaglione M. T., un plotone di cavalleria, un plotone del genio e 30 cannoni, diresse con abilità l'imbarco delle truppe che fu ultimato il 26 febbraio.
Poiché si temeva che gli Austriaci potessero avanzare fino a Valona, furono inviate in Albania tre divisioni che costituirono il XVI Corpo d'Armata, guidato dal Generale Piacentini. Queste comprendevano le 43ª e 44ª Divisioni (Brigate Marche, Puglie, Tanaro e Arno), il Reggimento di Cavalleria Catania, il 38º Reggimento M.T. e ventuno batterie di artiglieria. Sul posto fu costituito il comando della 38ª Divisione. Dal momento che gli Austriaci non avanzarono verso Valona, molte di queste truppe furono rimpatriate tra maggio e giugno 1916, e il Generale Bandini sostituì il Generale Piacentini, che fu nominato comandante della 5ª Armata.
Prima ancora dello sbarco italiano, la Grecia aveva occupato parte dell'Albania meridionale per sostenere le sue aspirazioni irredentistiche e non la evacuò nemmeno quando gli Alleati lo richiesero nell'agosto 1916. Di conseguenza, nell'autunno furono condotte operazioni per costringere i Greci a ritirarsi, poiché gli Alleati si erano impegnati a garantire l'indipendenza dell'Albania.
Dopo la morte del Generale Bandini, avvenuta l'11 dicembre 1916 a causa dell'affondamento della corazzata Regina Margherita, gli successe il Generale Giacinto Ferrero. Nel maggio 1918 furono intraprese operazioni nella zona di Cerevola-Tomori per coordinarsi con le forze alleate in Macedonia. Valutata l'opportunità di occupare il massiccio della Malakastra e di raggiungere il corso del fiume Semeni per garantire la sicurezza di Valona, a luglio fu lanciata un'offensiva contro le forze austro-ungariche.
1- Il Gen. Bertotti comandò il Corpo d'Occupazione
2 - Il Gen. Ferrero diresse lo sgombero di Durazzo
Il 7 luglio 1918, i reggimenti di cavalleria Catania e Palermo, assieme a uno squadrone di Lucca, avanzarono nella pianura di Fieri, circondando da nord la Malakastra e raggiungendo il Semeni il 9 luglio; in seguito, Berat fu occupata. Il Comando Supremo austro-ungarico, guidato dal Generale Pflanzer Baltin, organizzò una controffensiva ad agosto contro i 23 battaglioni italiani, ridotti a 8.000 uomini a causa della malaria. Sebbene sia riuscito a far ritirare alcune unità avanzate, la situazione alla fine si stabilizzò.
Alla fine di settembre 1918, il Generale Ferrero lanciò un'offensiva. Il 30 settembre, la cavalleria raggiunse il fiume Skumbi; il 7 ottobre, la Brigata Palermo entrò in Elbasan; il 14 ottobre, Durazzo fu occupata e il 15, Tirana. Il 31 ottobre, le truppe austro-ungariche disposte a difesa di Scutari furono attaccate, costringendole al ritiro.
Al termine della guerra, l'Albania era quasi interamente controllata dalle truppe italiane, che avevano il compito, in accordo con gli Alleati, di garantire l'indipendenza del paese.
Tuttavia, Stati confinanti fomentarono una ribellione che prese progressivamente vasta consistenza, mentre le truppe italiane furono accolte amichevolmente all'interno. Nella mattinata dell'8 aprile, la colonna Messe, con il comandante del Corpo di Spedizione, gen. Guzzoni, giunse a Tirana dove, poco dopo, atterrarono velivoli che trasportavano due battaglioni del 3° granatieri (col. Mannerini). Il 12 aprile, gran parte del territorio albanese era già occupata. Altre truppe giunsero successivamente in Albania: 4 divisioni di fanteria, una alpina, una corazzata. Nell'inverno del 1939-40, una delle divisioni di fanteria rientrò in Italia.
Nell'estate del 1940 si manifestarono a Roma velleità di muovere guerra alla Grecia, che nell'agosto furono soffocate per intervento di Ribbentrop. Due mesi dopo, tra il 12 e il 15 ottobre, Mussolini decise, nelle note circostanze, di iniziare le ostilità il 28 ottobre. Un piano di guerra contro la Grecia, studiato a suo tempo dal generale Guzzoni per ordine del Ministero della Guerra, prevedeva l'impiego di venti divisioni, diciotto delle quali avrebbero dovuto essere già pronte in Albania e altre due in Italia, per l'occupazione delle isole Jonie. Nel luglio 1940, il generale Geloso fu incaricato di studiare un piano per occupare la sola Ciamuria (Epiro Settentrionale), a condizione che il grosso dell'esercito greco fosse impegnato contro la Bulgaria, oppure che la Grecia consentisse all'occupazione dell'Epiro.
Malgrado il presupposto di fruire di tali favorevoli circostanze, Geloso giudicò necessarie undici divisioni, un reggimento di granatieri, e due di cavalleria. Lo Stato Maggiore modificò il piano, ritenendo sufficienti otto divisioni più un "Raggruppamento" di elementi diversi: granatieri, cavalleria, ecc., ma ponendo come condizione che la Grecia fosse consenziente, oppure che la maggior parte dell'esercito greco fosse impiegata contro la Bulgaria.
Il generale Visconti Prasca, comandante delle truppe in Albania, aveva già dichiarato a Mussolini e Ciano di essere pronto a effettuare l'operazione che gli avessero ordinata; lo dichiarò pure nella riunione a Palazzo Venezia del 15 ottobre 1940, allorché Mussolini comunicò la decisione di attaccare la Grecia. Il maresciallo Badoglio non si oppose; anzi, dichiarò che il piano di Visconti Prasca andava bene. Questo piano era analogo a quello dello Stato Maggiore, con la differenza che quest'ultimo prevedeva l'impiego per l'offensiva di quattro divisioni e il "Raggruppamento" su una fronte di non più di 30 chilometri, mentre il piano Visconti Prasca ne prevedeva l'impiego su una fronte iniziale di 100 chilometri. Due divisioni erano dislocate, con compito difensivo a Coritza e altre due alla frontiera con la Jugoslavia.
A parte questi particolari, Visconti Prasca accettò di attaccare in qualsiasi circostanza, e cioè anche se non si fossero verificate le condizioni che lo Stato Maggiore aveva posto a base del progetto. Nessuno considerò che la Grecia, se attaccata, avrebbe reagito con tutte le sue forze e che, se anche inizialmente le nostre avessero goduto di una certa superiorità numerica, in pochi giorni la situazione si sarebbe rovesciata: le 14 divisioni greche già mobilitate sarebbero state in grado di affluire sul teatro di guerra ben più rapidamente delle divisioni provenienti dall'Italia, attraverso l'Adriatico.
Truppe italiane sbarcano a Valona nel dicembre 1914, in soccorso all'esercito serbo in ritirata.
Un intelligente e acerrimo nemico dell'Italia non avrebbe probabilmente saputo mettere l'Esercito italiano in una situazione peggiore per assolvere a un compito insensato. Dieci giorni prima dell'inizio della campagna, l'Esercito era in uno stato soddisfacente di efficienza; dopo più di un anno dalla mobilitazione del settembre 1939, i reggimenti e le divisioni erano in eccellenti condizioni per compattezza; ufficiali e truppa erano affiatati; la disciplina era ottima e anche l'addestramento era soddisfacente. Mentre le truppe di Albania passavano il confine con la Grecia, tutte le divisioni che erano in Italia si stavano sfasciando, per effetto della smobilitazione ordinata da Mussolini e alla quale il generale Soddu, sottosegretario alla Guerra, aveva rifiutato di opporsi per non dispiacergli, e Badoglio aveva evitato di opporsi. Intere classi furono congedate; molte unità, fra le quali tutti i battaglioni alpini "valle", furono addirittura disciolte. Sarebbe bastato un telegramma circolare tra il 15 e il 20 ottobre che annullasse l'ordine di smobilitazione, non ancora eseguito, e tutto questo non sarebbe accaduto.
Fanti sbarcano in un porto albanese nel 1940. Il 28 ottobre fu iniziato l'attacco alla Grecia.
Non sarebbe stato possibile iniziare una campagna di guerra in condizioni peggiori: stagione notoriamente sfavorevole per operazioni nei Balcani; forze inferiori a quelle del nemico e impossibilità di rinforzarle in breve tempo; marasma che affliggeva l'Esercito per la smobilitazione in corso, insensatezza del generale Visconti Prasca, incapace di valutare realisticamente le difficoltà per la smania di compiacere Mussolini e di iniziare subito la guerra, prima di essere messo agli ordini di un generale più elevato in grado.
Sotto la pioggia battente, su strade e sentieri fangosi, attraversando torrenti in piena, all'alba del 28 ottobre fu oltrepassata la frontiera greca, dando inizio a quella che giustamente fu qualificata: 'guerra assurda'. Il XXV corpo d'armata (gen. Carlo Rossi) su tre divisioni prese l'offensiva con obiettivo Giannina, avendo alla destra il 'Raggruppamento del Litorale' equivalente a una divisione, e a sinistra, alquanto distanziata, la divisione alpina Julia, forte di soli cinque battaglioni e cinque batterie. Il XXVI corpo d'armata (gen. Nasci) di due divisioni, aveva compito difensivo nella zona di Coritza. Inizialmente le forze greche erano esigue, ma tosto altre, numerose, affluirono da tergo; opposero una insuperabile resistenza a Kalibaki e sul Kalamas contro il XXV corpo e avvolsero sulla sinistra la divisione Julia, che si era arditamente inoltrata nel gruppo montuoso del Pindo, con obiettivo Metzovo, costringendola a sostenere durissimi combattimenti in condizioni difficilissime per l'esaurimento dei rifornimenti. Il 'Raggruppamento del Litorale', gittato un ponte sul Kalamas in piena, avanzò fino a Plataria e il reggimento di cavalleria Milano si spinse arditamente fino a Margariton.
La situazione insostenibile della divisione Julia, l'impossibilità di superare lo sbarramento di Kalibaki, malgrado violentissimi attacchi effettuati ininterrottamente dalle divisioni Ferrara, Siena e Centauro del XXV corpo dal 1° al 7 novembre, l'affluenza di numerose forze greche contro il XXVI corpo a Coritza, dove le divisioni Parma e Piemonte erano schierate su 50 chilometri di fronte, la defezione totale delle truppe albanesi, che aggravò la situazione, imposero al Comando Superiore di ordinare la sospensione dell'offensiva. L'impressione per questi avvenimenti fu a Roma fortissima. Il 5 novembre il gen. Soddu giunse in Albania col compito, per il quale si era offerto a Mussolini, di raddrizzare la situazione, assumendo il comando di un 'gruppo di armate' costituito da due armate, di due corpi ciascuna. Se era facile costituire dei comandi, era impossibile disporre di truppe. In Italia era pronta la divisione Bari, che era destinata a sbarcare a Corfù; fu subito trasportata in Albania, dove giunse fra il 1° e il 5 novembre, e gettata nella fornace. Dato il suo compito originale era priva di salmerie. Furono altresì inviati per via aerea e marittima tre reggimenti bersaglieri 1º, 2º, 4°. Ferveva intanto la ricostituzione delle divisioni improvvidamente smobilitate quindici giorni prima, prendendo elementi da ogni parte, sì che reggimenti e battaglioni che prima erano compatti, risultavano raffazzonati alla meglio, con ufficiali richiamati e truppe di diverse provenienze. Il maltempo sul mare ritardò i trasporti. Dopo i reggimenti bersaglieri 1, 2, 4, giunse in Albania la divisione alpina Tridentina, fra il 10 e il 15 novembre. Due battaglioni giunti in aereo il 12, il 13 erano già in linea sull'alto Devoli; seguirono, dal 15 al 20 novembre la divisione Modena, appena ricostituita, tre battaglioni alpini 'valle' e la divisione Taro. Frattanto il XXVI corpo, sebbene rinforzato dalla divisione Venezia, proveniente con lunghissime marce dalla frontiera con la Jugoslavia, era stato respinto da Coritza e costretto a ripiegare lungo la valle del Devoli. Il XXV, cedendo lentamente terreno, resisteva alla controffensiva, rimanendo ancora in territorio greco, ma alla sua sinistra il nemico premeva insistentemente nella zona Perati-Erseke, al centro del fronte. Contro il XXV corpo d'armata e il 'Raggruppamento del Litorale' agivano sei divisioni greche e contro il XXVI corpo, cinque. Se si considera che le divisioni italiane avevano due reggimenti e quelle greche tre, risulta evidente quanto grave fosse la disparità delle forze, tanto più che i Greci avevano ancora divisioni in corso di affluenza. Le divisioni che stavano giungendo in Albania non potevano dare un soddisfacente rendimento, perché la necessità di usufruire al massimo della capienza delle navi imponeva di caricare gli uomini su un piroscafo, i quadrupedi su un altro, i cannoni su un altro ancora; talvolta gli uomini erano inviati per via aerea e sbarcavano negli aeroporti con appena l'armamento individuale.
Soldati della Divisione Bari superano una strada fangosa nell'Epiro.
Sarebbe stato indispensabile poter riordinare le unità prima di impiegarle; invece la situazione al fronte, sfiorante il disastro, imponeva di caricare alla bell'e meglio su autocarri i reparti non appena arrivati, facendoli entrare in linea anche se privi di armamento pesante, senza artiglieria, senza salmerie. Ne risultò un frammischiamento di unità, che fu poi molto laborioso eliminare, e che diminuiva di molto la capacità d'azione delle truppe di rinforzo. Alle dipendenze del Comando Superiore (gen. Soddu) erano due comandi di armata: 11° a nord (Vercellino) e 9° a sud (Geloso). All'estrema ala sinistra agiva il III corpo (Arisio); a cavallo del Devoli il XXVI (Nasci). I Greci insistettero nell'offensiva anche durante il mese di dicembre, specialmente contro la divisione Tridentina, che nell'ultima decade del mese fu rinforzata dal 1° alpini (Cuneense). A destra del XXVI si era inserito il comando dell'VIII corpo (Bancale) nel settore che comprendeva le valli dell'Osum e della Voiussa. La pressione del nemico contro le divisioni Julia e Bari e reggimenti bersaglieri fu intensa; le nostre truppe dovevano resistere agli attacchi di forze superiori su linee improvvisate, con ampi intervalli fra reparto e reparto, senza riserve, con scarsi rifornimenti, per mancanza di salmerie. Le unità erano ormai ridotte di forza per le perdite in combattimento e le malattie, per cui reggimenti, battaglioni, compagnie, erano denominazioni che non corrispondevano affatto alla consistenza dei reparti. La cosiddetta 'linea' non era altro che una successione di gruppetti di uomini, lontani l'uno dall'altro, separati da ampi intervalli, indifesi. Non c'è motivo di meravigliarsi se, in tali condizioni, il nemico costrinse a effettuare successivi ripiegamenti, particolarmente accentuati fra Osum e Voiussa. Il XXV corpo rimase fino ai primi di dicembre sulla linea di confine e poi dovette ripiegare anch'esso, sostenendo duri combattimenti, nei quali si distinse il 2 bersaglieri. Durante il mese di dicembre le divisioni Ferrara e parte della Modena dovettero ritirarsi dal massiccio del Kurvelesch, collegandosi alla linea di resistenza sulla quale aveva dovuto ripiegare il Corpo d'armata Speciale (Messe) che era stato costituito con il 'Raggruppamento del Litorale' e una divisione 'speciale' (Piazzoni). La linea raggiunta con il ripiegamento alla fine di dicembre fu, in complesso, la linea estrema raggiunta in conseguenza della controffensiva ellenica, poiché nei mesi di gennaio e febbraio, pur insistendo tenacemente ad attaccare, i Greci ottennero soltanto successi locali e limitati. Con la fine del mese si poté considerare conclusa la battaglia 'per Valona', poiché questo era stato l'obiettivo dei Greci. Durante il mese di dicembre erano affluite altre tre divisioni di fanteria (Acqui, Cuneo, Brennero) e due alpine (Pusteria e Cuneense) ma le truppe fino allora impiegate erano tanto esaurite e ridotte di forze che a mala pena queste nuove unità potevano dare maggior consistenza al fronte difensivo, debolissimo dappertutto. Non potevano certamente costituire, come avrebbe voluto Mussolini, una massa da impiegare per una controffensiva, alla quale era impossibile pensare, fino a quando era indispensabile impiegare di furia, giorno per giorno, i reparti in arrivo, per turare paurose falle e ricorrere ai più irrazionali espedienti, per impedire che il nemico sfondasse.
È difficile per chi non ha vissuto quegli avvenimenti rendersi conto di quanto fosse immane il compito dell'Esercito nei mesi di novembre e dicembre del 1940. Il fine era quello di rimediare, combattendo in condizioni disastrose, alle conseguenze dell'insipienza dimostrata dai principali responsabili: Mussolini, Ciano, Badoglio, Soddu e Visconti Prasca. Si trattava di un confronto con un nemico superiore per numero, valoroso e animato da un altissimo morale.
Il maresciallo Badoglio aveva dato le dimissioni e Mussolini aveva designato il generale Cavallero per sostituirlo nella carica di Capo di Stato Maggiore Generale. Il 4 dicembre, il generale Soddu telefonò al generale Guzzoni, sottosegretario alla Guerra e sottocapo di Stato Maggiore Generale, manifestando sfiducia nella possibilità di resistere. Mussolini inviò subito Cavallero in Albania affinché si affiancasse a Soddu, che poi sostituì il 29 dicembre.
Durante il mese di gennaio, i Greci non insistettero nell'offensiva contro il III e il XXVI Corpo. Tuttavia, nel mese di febbraio, attaccarono con insistenza sul Guri i Topit, nella valle del Devoli, senza però riuscire a scuotere la salda resistenza del 5° Alpini. Durante il mese di gennaio, l'offensiva persistette nel settore dell'Osum, affidato al IV Corpo (Mercalli), e della Voiussa (VIII Corpo). Nonostante tenaci resistenze e contrattacchi, fu necessario arretrare nella zona di Klisura e più a nord. Tuttavia, questa battaglia, che fu denominata "battaglia per Berat" — poiché questo era l'obiettivo del comando ellenico — si concluse complessivamente in favore dei difensori.
Nell'ultima decade di gennaio, il XXV Corpo tentò, con una controffensiva, di rioccupare Klisura. Dopo iniziali successi, le truppe attaccanti dovettero arrestarsi e ripiegare. Tuttavia, riuscirono ad attirare nella valle Voiussa forze greche, impedendo al nemico di insistere nell'offensiva contro il IV e l'VIII Corpo.
Ormai, l'esercito ellenico aveva compiuto il suo massimo sforzo; gli obiettivi che aspirava a raggiungere — Elbasan, Berat, Valona — erano ormai al di là delle sue possibilità. Il comando greco decise comunque di tentare la conquista del nodo di Tepeleni, per ottenere un successo di risonanza e per eliminare una base favorevole a un'offensiva italiana. La battaglia per Tepeleni ebbe inizio il 10 febbraio e si concluse solo a metà marzo, con il pieno successo del XXV Corpo d'armata. I Greci impegnarono sei divisioni, compresa la 5ª "Creta" che godeva di alta fama, contro la divisione Julia, i residui del 1° gruppo alpino "Valle", il 2° bersaglieri, un battaglione di granatieri, un reggimento della divisione Sforzesca, un raggruppamento di camicie nere e tre battaglioni alpini non divisi (Susa, Cervino, Val Cismon). L'ultima offensiva greca fu stroncata sul Golico e lo Scindeli.
Frattanto, Mussolini era riuscito a imporre a Cavallero di effettuare un'offensiva, fiducioso del suo successo e affidandone la condotta al generale Gambara, che aveva sostituito Bancale all'VIII Corpo. Non era il momento di passare all'offensiva; le condizioni per ottenere un risultato decisivo non erano ancora state create, e un successo parziale avrebbe causato un inutile spreco di risorse. Attendendo che l'esercito tedesco fosse pronto a entrare in azione, si sarebbe giunti alla fine delle ostilità con una vittoria che avrebbe cancellato le delusioni fino a quel momento sofferte. Questo era il parere del generale Guzzoni, che Mussolini ignorò; il generale Cavallero, pur avendo propositi più saggi, non volle opporsi alla volontà di Mussolini e così, il 9 marzo, mentre i Greci ancora attaccavano nella valle Voiussa, il IV e l'VIII Corpo mossero all'offensiva.
MUSSOLINI al fronte greco nel marzo 1941 discute insieme a Cavallero il piano delle operazioni.
L'VIII Corpo (Gambara) era al centro con le divisioni Cagliari, Puglie e Pinerolo; a sinistra agiva il IV Corpo (Mercalli) con le divisioni Pusteria e Cacciatori delle Alpi, e a destra una parte del XXV Corpo (divisione Sforzesca e gruppo alpini Signorini). Nonostante il valore delle truppe, i risultati furono molto limitati; i Greci avevano solidamente fortificato quel settore e lo avevano presidiato con ottime divisioni. La lotta aspra e sanguinosa, ripresa all'alba del 10 marzo, proseguì fino al 15 marzo con l'intervento anche della divisione Bari, senza ottenere alcun risultato. Se furono logorati molti reggimenti greci, il logoramento di sette delle nostre divisioni e le 15.000 perdite subite impedirono di formare all'ala sinistra dello schieramento la massa d'urto con la quale Cavallero avrebbe voluto aggirare il nemico nell'offensiva conclusiva.
Agli insuccessi subiti per l'assurda decisione di muovere guerra alla Grecia con forze insufficienti, si aggiungeva un insuccesso che sarebbe stato possibile evitare. L'Esercito dovette così subire anche questa durissima prova, che sostenne con l'abnegazione dimostrata durante tutta la campagna. La dura lotta sulle montagne d'Albania può essere paragonata soltanto Per misura di sacrificio, valore e difficoltà, la lotta sulle montagne d'Albania può essere paragonata solo alla battaglia di arresto sul Grappa, avvenuta nel novembre-dicembre del 1917.
Quando il 27 marzo la Jugoslavia assunse un atteggiamento ostile all'Asse, Cavallero dovette riorganizzare la difesa anche sulla frontiera jugoslava. Costituì, sulla direttrice di Scutari, il XVII Corpo (Pafundi) con le divisioni Centauro, Puglie e Messina. Affidò al generale Nasci il compito di agire sulla direttrice Elbasan-Dibra, rinforzò l'ala sinistra dell'11ª Armata e costituì il XIV Corpo (Vecchi), che posizionò in riserva.
Con l'inizio dell'offensiva tedesca contro la Jugoslavia, a cui partecipò anche la 2ª Armata italiana dalla Venezia Giulia, divisioni jugoslave tentarono di penetrare in Albania, ma furono respinte. Il 6 aprile, i Tedeschi penetrarono in territorio greco. Nonostante iniziali difficoltà nel superare le fortificazioni di confine, poterono avanzare rapidamente, dato che l'esercito ellenico rimase impegnato contro le forze italiane. Infatti, quando il 9 aprile ebbe inizio l'offensiva, si dovettero affrontare duri combattimenti, riuscendo a penetrare in territorio ellenico solo dopo aver superato tenaci resistenze nelle zone di Erseke, Perati, Kakavia e Delvinaki.
L'armistizio firmato il 24 aprile a Salonicco pose fine alle operazioni. Le perdite subite durante la campagna ammontarono a 16.674 morti, di cui 2.803 dispersi da considerare come tali; 50.000 feriti e 12.000 congelati. Caduti in comunione di sacrificio con i valorosi soldati, vi furono 9 colonnelli, un centinaio di ufficiali superiori e un migliaio di ufficiali inferiori.
Dopo la conclusione del conflitto, non si verificarono in Albania avvenimenti militari di particolare importanza, sebbene dall'estate del 1942 in poi l'organizzazione di una sollevazione degli albanesi fosse rivelata da attentati, attacchi a posti isolati e sabotaggi. L'armistizio dell'8 settembre 1943 concluse il lungo ciclo di operazioni militari italiane in Albania, iniziato nel lontano dicembre del 1914. Il ricordo delle gravi delusioni non deve far dimenticare che il soldato italiano agì con abnegazione e spirito di sacrificio.
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