Capitolo 3: Il Regno di Zog I (1920-1939)

Elton Varfi

La Guerra di Valona (1920)

L'anno 1920 segnò un crocevia cruciale nella storia dell'Albania, poiché il giovane Stato, fermamente determinato a consolidare la propria indipendenza, lottava strenuamente per affermarsi come nazione sovrana.
Il contesto internazionale in cui l'Albania si trovava ad operare era estremamente complesso, caratterizzato da tensioni geopolitiche e rivalità tra le grandi potenze europee, che non vedevano di buon occhio la nascita di nuovi stati in una regione considerata strategicamente vitale. In questo scenario, la città di Valona, situata sulla costa meridionale del paese, divenne il teatro di uno degli episodi più significativi e simbolici nella lotta per l'indipendenza albanese: la Guerra di Valona.

Veduta di Valona. Sulla destra si notano i minareti delle moschee presenti nel quartiere musulmano

Durante la Prima Guerra Mondiale, l'Italia, che ambiva a estendere la propria influenza nei Balcani, occupò Valona come parte delle sue operazioni militari nella regione. L’occupazione italiana era stata motivata da una serie di fattori strategici, tra cui il controllo delle rotte marittime nel Mar Adriatico e la proiezione di potere nei confronti delle altre nazioni balcaniche. Tuttavia, con la fine del conflitto mondiale nel 1918, la presenza militare italiana in Albania iniziò a essere percepita con crescente sospetto e ostilità dalla popolazione locale, che vedeva in questa occupazione una chiara minaccia alla fragile indipendenza che il paese aveva da poco conquistato.
La situazione si aggravò ulteriormente nel contesto post-bellico, un periodo caratterizzato da instabilità politica e tensioni nazionaliste in tutta Europa. Gli albanesi, che avevano appena iniziato a ricostruire il loro Stato dalle macerie del conflitto mondiale, interpretavano la permanenza delle truppe italiane a Valona come un tentativo di annessione de facto, che minacciava di vanificare le loro aspirazioni di autodeterminazione. Le pressioni internazionali e le promesse non mantenute delle potenze europee, che durante la guerra avevano sostenuto la causa dell’indipendenza albanese, contribuirono ad alimentare un diffuso sentimento di frustrazione e rabbia tra la popolazione.
Questo crescente malcontento sfociò infine nella Guerra di Valona, un conflitto che vide le forze italiane, nonostante la loro superiorità in termini di equipaggiamento e organizzazione militare, affrontare una resistenza albanese sorprendentemente determinata e tenace. Le milizie albanesi, sebbene composte principalmente da contadini e abitanti locali, riuscirono a mobilitarsi rapidamente e a unirsi sotto la bandiera del nazionalismo, unendosi in un fronte comune contro l’invasore straniero. Questo movimento, apparentemente disorganizzato e male armato, era tuttavia sostenuto da una forte motivazione ideologica: la difesa della patria e la salvaguardia dell'identità nazionale, elementi che diedero alla resistenza albanese una coesione e una determinazione fuori dal comune.
La Guerra di Valona non fu soltanto una serie di scontri militari, ma anche uno scontro ideologico e culturale, in cui gli albanesi vedevano la lotta come un’occasione per riaffermare la propria identità nazionale e per respingere qualsiasi ingerenza straniera nei loro affari interni. Questa resistenza non si limitava al campo di battaglia, ma coinvolgeva anche la popolazione civile, che sostenne in vario modo lo sforzo bellico, sia attraverso il supporto logistico alle milizie, sia attraverso manifestazioni di protesta contro l'occupazione italiana. In questo contesto, Valona divenne il simbolo della lotta per la libertà e l'indipendenza dell'Albania, un luogo dove la determinazione di un popolo riuscì a prevalere contro un nemico numericamente e tecnicamente superiore.
Il conflitto si concluse con una vittoria sorprendente per gli albanesi. Nonostante le difficoltà incontrate e le significative perdite subite, la resistenza albanese riuscì a costringere le truppe italiane a ritirarsi da Valona, segnando una vittoria non solo sul campo di battaglia, ma anche e soprattutto sul piano morale e politico. Questo successo, ottenuto contro ogni pronostico, rafforzò enormemente il senso di unità nazionale, consolidando la posizione dell'Albania come Stato sovrano in un periodo in cui la sua stessa esistenza era ancora incerta.


"La Domenica del Corriere" n. 26 del 27 giugno - 4 luglio 1920 celebra l'assalto alla baionetta degli alpini, decisivo per fermare lo sfondamento dei ribelli nel villaggio di Babiza

Le conseguenze della vittoria di Valona si fecero sentire anche sul piano internazionale. L'Albania, che fino a quel momento era stata considerata una nazione debole e vulnerabile, dimostrò di essere capace di difendere la propria indipendenza e di opporsi efficacemente alle mire espansionistiche delle potenze straniere. Questo episodio ebbe un effetto galvanizzante sul movimento nazionalista albanese, che trovò nuova linfa e maggiore sostegno tra la popolazione. La vittoria contribuì anche a rafforzare la fiducia degli albanesi nelle proprie capacità, alimentando ulteriormente quel sentimento di orgoglio nazionale che sarebbe stato determinante per le future sfide che la giovane nazione avrebbe dovuto affrontare.
La Guerra di Valona del 1920 si distingue come uno dei momenti più significativi nella storia dell'Albania moderna nel XX secolo, non solo per il suo esito militare, ma anche per il profondo impatto che ha avuto sullo spirito e sull'identità del popolo albanese.
Questo conflitto, pur essendo relativamente breve, lasciò un segno indelebile nella memoria collettiva del paese, diventando un simbolo della lotta per la libertà e della capacità di un popolo di resistere alle avversità per proteggere la propria sovranità.


La Rivoluzione Democratica del 1924

Dopo la vittoria nella Guerra di Valona, un evento che rafforzò temporaneamente la posizione dell'Albania sulla scena internazionale, il paese continuava a trovarsi in una situazione politica interna estremamente instabile. Nonostante il successo militare, le profonde divisioni politiche e sociali all'interno del paese rimasero irrisolte, contribuendo a creare un clima di costante incertezza. Le diverse fazioni politiche, spesso guidate da ambizioni personali più che da una visione comune per il futuro del paese, si contendevano il potere. Questa competizione sfrenata, unita alle difficoltà economiche che affliggevano gran parte della popolazione, culminò in una situazione esplosiva che portò alla Rivoluzione Democratica del 1924.
La rivoluzione non fu un evento improvviso, ma piuttosto il risultato di anni di crescente malcontento. Questo malcontento era alimentato da una serie di fattori, tra cui la percezione che il governo centrale fosse corrotto e inefficace, incapace di affrontare le sfide economiche e sociali del paese. Il governo veniva accusato di non riuscire a portare avanti le riforme necessarie per modernizzare l'Albania, un paese che, nonostante l'indipendenza, rimaneva arretrato rispetto ad altre nazioni europee. Le promesse di progresso e sviluppo fatte dalle élite politiche erano rimaste in gran parte lettera morta, aumentando ulteriormente la frustrazione tra la popolazione.
In questo contesto di disillusione, emerse come figura centrale del movimento rivoluzionario Fan Noli, un leader carismatico che riuscì a incarnare le speranze di cambiamento di una vasta parte della popolazione.


Theofan Stilian Noli (1882 – 1965)

Noli non era solo un politico; era anche un vescovo ortodosso, la cui autorità spirituale gli conferiva una posizione di grande rispetto all'interno della società albanese. Ma ciò che lo rendeva particolarmente influente era il suo impegno politico e culturale, che gli permise di costruire un seguito ampio e diversificato. Noli aveva una visione chiara per il futuro dell'Albania: voleva trasformare il paese in una nazione democratica e progressista, libera dalle influenze delle grandi potenze che avevano a lungo dominato i Balcani.
Con il sostegno di vari gruppi nazionalisti e democratici, così come del Comitato del Kosovo, Noli riuscì a mobilitare un ampio consenso popolare. Questo sostegno non proveniva solo dalle élite intellettuali o dai circoli politici, ma anche dalle masse, stanche delle difficoltà quotidiane e desiderose di un cambiamento tangibile.
Con questa base di supporto, Noli prese il controllo del governo in un momento in cui il malcontento popolare aveva raggiunto il suo apice. Il suo obiettivo era chiaro: trasformare radicalmente l'Albania attraverso un ambizioso programma di riforme che affrontasse direttamente le cause profonde dell'instabilità del paese.
Una delle principali proposte di Noli fu la riforma agraria, un tema particolarmente sensibile in un paese a maggioranza rurale dove la terra era la principale fonte di sostentamento per la popolazione. La riforma mirava a ridistribuire le terre ai contadini, molti dei quali vivevano in condizioni di estrema povertà e dipendevano da grandi proprietari terrieri. Questa proposta era vista come una minaccia diretta dalle classi privilegiate, che possedevano vaste estensioni di terra e godevano di un potere economico e politico considerevole. Inoltre, Noli cercò di attuare una riforma amministrativa volta a creare un apparato statale più efficiente e meno corrotto, che potesse gestire in modo più efficace le risorse del paese e rispondere meglio alle esigenze della popolazione.
Tuttavia, la realizzazione di queste riforme si rivelò estremamente difficile. Le resistenze vennero non solo dalle classi privilegiate, che vedevano i loro interessi minacciati, ma anche dalle potenze straniere che temevano le conseguenze di un'Albania troppo indipendente. In particolare, l'Italia e la Jugoslavia, che avevano interessi strategici nella regione, osservavano con preoccupazione gli sviluppi in Albania, temendo che un cambiamento radicale potesse destabilizzare l'intero equilibrio regionale.
Mentre Noli cercava di attuare il suo programma, Ahmet Zogu, un ex primo ministro che era stato costretto a fuggire in Jugoslavia dopo la presa di potere di Noli, non rimase inattivo. Zogu, che aveva già dimostrato notevoli capacità politiche e militari, iniziò a organizzare un contrattacco. Grazie al supporto di varie forze esterne, tra cui le compagnie petrolifere che vedevano nell'Albania una terra ricca di risorse, Zogu riuscì a raccogliere un esercito e a prepararsi per un ritorno al potere.
La controffensiva di Zogu fu rapida e decisiva. Entro la fine del 1924, egli riuscì a riconquistare il controllo del paese, costringendo Fan Noli e i suoi sostenitori a cercare rifugio all'estero. Questa vittoria segnò non solo la caduta del governo di Noli, ma anche la fine della Rivoluzione Democratica, lasciando Zogu libero di consolidare ulteriormente la sua autorità. L'Albania entrava così in una nuova fase della sua storia, caratterizzata dal ritorno al potere di Zogu e dalla sua crescente influenza sulla scena politica nazionale.

Ahmet Zogu e la nascita della monarchia albanese

Con il ritorno al potere, Ahmet Zogu si trovò di fronte a un compito arduo e complesso: stabilizzare un paese profondamente diviso e lacerato dalle tensioni politiche e sociali. L'Albania, uscita da un periodo di turbolenze e di instabilità, necessitava di una guida forte e determinata in grado di restaurare l'ordine e di costruire le basi di un governo legittimo, riconosciuto sia dalla comunità internazionale che dalla popolazione albanese. Zogu, consapevole delle sfide che lo attendevano, intraprese un percorso che lo avrebbe portato a plasmare il destino della nazione albanese secondo la sua visione politica e ideologica.
Dopo aver ripreso il controllo del paese con una serie di mosse politiche e militari ben orchestrate, Zogu si concentrò sulla necessità di consolidare il suo potere. La repressione delle opposizioni, che minacciavano di destabilizzare ulteriormente il fragile equilibrio del paese, fu un passo cruciale in questa direzione. Tuttavia, Zogu era ben consapevole che la repressione da sola non sarebbe stata sufficiente per garantire la stabilità a lungo termine. Occorreva una soluzione più duratura e strutturale, una visione che andasse oltre la mera soppressione delle minacce immediate.
Aḥmed Zogu. Re Zog I (1895 - 1961)

Con questa consapevolezza, Zogu iniziò a lavorare su un progetto ambizioso e audace: la trasformazione dell'Albania in una monarchia. Questo progetto rifletteva la sua convinzione profonda che solo una monarchia forte e centralizzata avrebbe potuto fornire il livello di stabilità necessario per guidare il paese verso la modernità. In un contesto in cui l'Albania era ancora un paese in gran parte rurale, con istituzioni statali deboli e una società frammentata, Zogu vide nella monarchia un'istituzione in grado di unificare la nazione sotto un'unica autorità. Questa idea non era nuova nel contesto europeo, dove molte nazioni avevano trovato nella monarchia un simbolo di unità e di continuità, capace di incarnare l'identità nazionale in un'epoca di cambiamenti rapidi e spesso tumultuosi.
Nel 1928, dopo anni di preparativi e manovre politiche, Zogu realizzò finalmente il suo progetto, proclamandosi Re degli Albanesi con il titolo di Zog I. Questo evento segnò un momento cruciale nella storia dell'Albania, in quanto rappresentò non solo un cambio di regime, ma anche un tentativo di ridefinire l'identità del paese e il suo posto nel mondo. La proclamazione della monarchia non fu un semplice atto simbolico; fu accompagnata da una serie di riforme istituzionali che miravano a rafforzare il potere del re e a centralizzare l'amministrazione dello Stato. Queste riforme erano parte integrante della visione di Zog I, che si presentava come il difensore dell'unità nazionale e il promotore della modernizzazione.
La centralizzazione del potere e la creazione di un'amministrazione statale più efficiente erano considerati elementi fondamentali per costruire uno Stato moderno in grado di affrontare le sfide del XX secolo. Zog I, ispirandosi ai modelli europei, in particolare a quelli francesi e italiani, introdusse nuove leggi e codici che riflettevano l'aspirazione a portare l'Albania al livello delle altre nazioni europee. Questi modelli erano stati scelti non solo per la loro efficacia amministrativa, ma anche perché incarnavano l'ideale di uno Stato forte e centralizzato, in grado di garantire l'ordine e di promuovere lo sviluppo economico e sociale.
La nascita della monarchia albanese sotto Zog I rappresentò, dunque, una svolta significativa nella storia del paese. Per la prima volta, l'Albania aveva un sovrano che si identificava apertamente con il popolo albanese e che si impegnava a guidare il paese verso un futuro di progresso e sviluppo. La figura di Zog I divenne simbolo di un nuovo inizio, un tentativo di superare le divisioni del passato e di costruire una nazione unita e moderna.

La guardia reale con le uniformi rosso nere. 1931. Foto Luigi Pellerano

Tuttavia, la creazione della monarchia non fu priva di difficoltà e ostacoli. Zog I dovette affrontare numerose sfide, sia interne che esterne, che minacciavano la stabilità del suo regno. Sul fronte interno, l'opposizione, sebbene formalmente ridotta al silenzio, continuava a rappresentare una minaccia costante. Nonostante le misure repressive adottate, le tensioni sociali e politiche non erano del tutto sopite, e vari gruppi all'interno del paese continuavano a nutrire sentimenti di insoddisfazione e resistenza. Inoltre, le riforme introdotte da Zog I, per quanto necessarie, incontrarono spesso resistenze e difficoltà nella loro attuazione, soprattutto in un contesto in cui la società albanese era ancora profondamente legata a tradizioni e strutture locali.
Sul fronte internazionale, l'Albania si trovava a dover fare i conti con le ambizioni delle grandi potenze, in particolare dell'Italia, che vedeva nel paese balcanico un'opportunità strategica per estendere la propria influenza nella regione. L'Italia, che aveva già una lunga storia di interventi e interessi in Albania, continuava a esercitare una pressione significativa sul governo di Zog I. Questa situazione rese la posizione del nuovo re particolarmente delicata, costringendolo a manovrare con attenzione per mantenere l'indipendenza del suo regno senza alienarsi il sostegno di potenze esterne fondamentali per la stabilità economica e politica del paese.
In questo contesto complesso e sfidante, Zog I cercò di consolidare il suo potere attraverso una combinazione di autoritarismo e riforme. Se da un lato il re adottò misure repressive per mantenere il controllo interno, dall'altro cercò di modernizzare il paese, promuovendo riforme che potessero stimolare lo sviluppo economico e migliorare le condizioni di vita della popolazione. Questo duplice approccio rifletteva la difficile realtà di governare un paese che cercava di trovare il proprio posto nel mondo moderno, mentre era ancora alle prese con le divisioni interne e le pressioni esterne.
La creazione della monarchia albanese sotto Zog I rappresentò, dunque, una svolta decisiva nella definizione dell'identità nazionale e del percorso di modernizzazione del paese. Sebbene il progetto monarchico di Zog I fosse ambizioso e segnasse un tentativo significativo di stabilizzare e unificare l'Albania, esso non fu esente da contraddizioni e difficoltà. Le sfide che il nuovo re dovette affrontare, sia sul piano interno che su quello internazionale, illustrano le complessità di governare un paese in bilico tra tradizione e modernità, in un contesto regionale e globale in costante cambiamento.


Il contesto politico ed economico durante il regno di Zog I

Il regno di Zog I si svolse in un periodo di estrema complessità politica ed economica, durante il quale il sovrano si trovò a dover affrontare una serie di sfide che avrebbero richiesto non solo abilità politiche, ma anche una visione strategica capace di conciliare tradizione e modernità. La sua ambizione di trasformare l'Albania in uno Stato moderno e funzionante si scontrò con una realtà segnata da profonde radici storiche e culturali, che rendevano ogni tentativo di cambiamento un'impresa ardua e spesso controversa.
Da un lato, Zog I si impegnò a modernizzare il paese attraverso una serie di riforme che miravano a creare un apparato statale più efficiente e a promuovere lo sviluppo economico. Queste riforme erano essenziali per la sua visione di un'Albania che potesse stare al passo con il resto d'Europa, lasciandosi alle spalle un passato caratterizzato da arretratezza e frammentazione. Le riforme giuridiche e amministrative costituirono il fulcro di questo sforzo di modernizzazione. Zog, ispirandosi ai codici francesi e italiani, introdusse nuovi codici civile, penale e commerciale, cercando di importare in Albania le migliori pratiche europee. La riforma del sistema educativo rappresentò un'altra pietra miliare, con l'obiettivo di ridurre il tasso di analfabetismo e di formare una nuova generazione di cittadini capaci di contribuire al progresso del paese.

Per combattere l'analfabetismo, il regno albanese aveva aperto quasi 600 scuole, anche serali dove si istruivano piccoli e adulti. 1931. Foto, Luigi Pellerano

Nondimeno, l'attuazione di queste riforme si rivelò estremamente difficile, in quanto il tessuto sociale albanese era ancora profondamente legato a strutture tradizionali che mal si adattavano ai cambiamenti imposti dall'alto. La maggior parte della popolazione viveva in condizioni di estrema povertà, immersa in un contesto rurale dove l'analfabetismo era dilagante e le infrastrutture moderne erano praticamente inesistenti. Queste condizioni sociali ed economiche rendevano la modernizzazione un processo lento e faticoso. Ad esempio, la riforma del sistema educativo incontrò enormi difficoltà non solo per la mancanza di scuole e insegnanti qualificati, ma anche per la resistenza culturale a un'istruzione che molti vedevano come estranea alle tradizioni locali. La distanza tra le aspirazioni di Zog e la realtà quotidiana dei suoi sudditi era, dunque, significativa.
A queste difficoltà si aggiungeva la resistenza delle élite tradizionali, che percepivano le riforme di Zog come una minaccia diretta ai loro privilegi secolari. Queste élite, che avevano governato attraverso un sistema di potere basato su legami familiari, alleanze tribali e controllo delle risorse locali, si opposero con forza a qualsiasi cambiamento che potesse ridurre la loro influenza. L'introduzione di un sistema giuridico moderno, ad esempio, fu vista come un tentativo di minare le pratiche tradizionali di risoluzione delle controversie, che erano profondamente radicate nelle comunità locali. Questo scontro tra innovazione e tradizione complicò ulteriormente il già difficile processo di riforma.
Studenti albanesi delle scuole primarie. 1931. Foto, Luigi Pellerano

Sul fronte economico, l'Albania del regno di Zog I continuava a essere un paese prevalentemente agricolo, con un'economia arretrata e scarsamente diversificata. Questo contesto economico rifletteva la storia di un paese che per secoli era rimasto ai margini dei grandi circuiti commerciali europei, con una popolazione per lo più dedita alla sussistenza e un settore industriale quasi inesistente. Zog tentò di cambiare questa situazione promuovendo lo sviluppo economico attraverso l'attrazione di investimenti stranieri, vedendo in questi un'opportunità per avviare la tanto desiderata modernizzazione.
In particolare, l'Italia fascista divenne il principale partner commerciale e finanziario dell'Albania. Questo legame con l'Italia rappresentava una fonte fondamentale di capitale e tecnologia, ma allo stesso tempo segnava l'inizio di una dipendenza economica che avrebbe avuto conseguenze profonde e durature.
La presenza italiana in Albania non si limitava al piano economico; si traduceva anche in un'influenza politica crescente, che Zog dovette gestire con estrema cautela. Il rischio di un'ingerenza esterna sempre più pesante era evidente, e Zog si trovò a dover bilanciare l'esigenza di modernizzazione con la necessità di mantenere una certa autonomia nazionale.
Questa dipendenza dagli investimenti esteri, se da un lato favorì l'avvio di alcune iniziative economiche, dall'altro rese l'Albania vulnerabile alle pressioni delle grandi potenze. Il controllo esercitato dall'Italia su vari settori chiave dell'economia albanese limitava significativamente la capacità di Zog di attuare politiche economiche indipendenti e rafforzava la percezione che l'Albania stesse diventando sempre più un protettorato italiano.
Inoltre, l'economia albanese rimase fragile, incapace di sostenersi senza l'aiuto esterno, e i tentativi di avviare una riforma agraria, nonostante le promesse iniziali, non furono mai pienamente realizzati. La riforma agraria avrebbe dovuto ridistribuire le terre ai contadini, molti dei quali vivevano in condizioni di estrema precarietà, ma le resistenze politiche e sociali impedirono la sua piena attuazione, lasciando irrisolti molti dei problemi strutturali che affliggevano l'economia del paese.
In questo quadro, il regno di Zog I fu segnato da un continuo sforzo di modernizzazione e centralizzazione del potere, in un contesto di resistenze interne e di pressioni esterne che resero questo processo estremamente complesso e contraddittorio. Zog dovette navigare tra le aspirazioni di rinnovamento e le difficoltà pratiche legate a un paese ancora profondamente radicato nelle sue tradizioni e vulnerabile alle influenze esterne.

Le relazioni internazionali dell'Albania durante il periodo monarchico

Il regno di Zog I si svolse in un contesto internazionale complesso, caratterizzato da tensioni crescenti tra le grandi potenze europee, le cui manovre geopolitiche influenzavano profondamente il destino dell'Albania. In questo scenario, Zog I dovette elaborare una politica estera estremamente attenta e bilanciata, volta a mantenere l'indipendenza del paese, pur essendo consapevole delle sue limitate risorse economiche e militari. La strategia di Zog fu quella di cercare un equilibrio tra le influenze contrastanti delle potenze europee, in particolare l'Italia, la Francia e la Gran Bretagna, nel tentativo di evitare che l'Albania cadesse sotto il controllo di una singola nazione.
Zog I cercò inizialmente di preservare l'autonomia del suo regno attraverso una politica di avvicinamento verso diverse potenze europee. Mantenere rapporti cordiali con Francia e Gran Bretagna, due nazioni con una lunga tradizione di influenza e interessi nei Balcani, era visto come un modo per bilanciare l'influenza italiana, che si faceva sempre più pressante. La Francia, in particolare, con il suo modello di repubblica laica e il suo prestigio culturale, rappresentava per Zog un alleato prezioso, capace di offrire un contrappeso all'Italia fascista di Mussolini. Anche la Gran Bretagna, con la sua potente flotta e la sua tradizionale politica di mantenere l'equilibrio di potere in Europa, era vista come un possibile alleato contro le mire espansionistiche italiane.


Re Zog e il generale Valle. Dietro Re Zog, il generale Arianitas

Ciononostante, la crescente dipendenza economica dall'Italia, legata alla necessità di fondi e supporto militare per stabilizzare il regno e modernizzare il paese, rese progressivamente più difficile mantenere questo equilibrio. La posizione geografica strategica dell'Albania nel Mediterraneo e la sua vicinanza all'Adriatico facevano sì che l'Italia considerasse il paese balcanico come una parte integrante dei suoi piani di espansione territoriale. Mussolini, desideroso di rafforzare l'influenza italiana nei Balcani, vide in Zog un alleato inizialmente utile, ma anche una figura facilmente manipolabile attraverso il controllo economico e la pressione diplomatica.
Nel 1926, consapevole delle limitazioni economiche e militari dell'Albania, Zog fu costretto a firmare un trattato di amicizia e sicurezza con l'Italia. Questo accordo non era semplicemente un trattato di alleanza militare, ma piuttosto un patto complesso che legava l'indipendenza dell'Albania al sostegno italiano, in cambio di concessioni significative in ambito economico e militare. Il trattato, pur garantendo a Zog un sostegno immediato, cominciò a erodere l'autonomia politica del paese. L'accordo prevedeva, infatti, che l'Italia potesse influenzare la politica interna ed estera dell'Albania, consolidando così la sua presenza nel paese.
Questo trattato fu solo l'inizio di una serie di accordi successivi che rafforzarono ulteriormente la presenza italiana in Albania. L'anno successivo, nel 1927, venne firmato il Trattato di Tirana, un altro accordo che segnò un passo significativo verso una maggiore integrazione dell'Albania nella sfera di influenza italiana. Questo trattato non si limitava a garantire un'alleanza difensiva tra i due paesi, ma formalizzava una serie di impegni militari e politici che rafforzavano il controllo di Roma su Tirana. A partire da questo momento, la politica estera albanese fu sempre più dettata dalle necessità e dagli interessi italiani, e Zog, pur mantenendo formalmente il trono, si trovò progressivamente relegato al ruolo di un sovrano senza reale autonomia decisionale.
Questi accordi, sebbene necessari per mantenere la stabilità del regno di Zog, portarono a una crescente subordinazione dell'Albania agli interessi di Roma. L'influenza italiana divenne così pervasiva che l'Albania cominciò a perdere la sua capacità di agire come stato indipendente, rendendosi vulnerabile alle manovre espansionistiche del regime fascista di Mussolini. Questa situazione precaria raggiunse il culmine verso la fine degli anni '30, quando il contesto internazionale si deteriorò ulteriormente con l'ascesa delle tensioni che avrebbero portato allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1939, con l'Europa sull'orlo del conflitto globale, l'Italia fascista, ormai sicura della sua supremazia in Albania, decise di passare all'azione. Mussolini, desideroso di ampliare il proprio impero coloniale e di affermare il prestigio dell'Italia come potenza mondiale, approfittò della situazione interna dell'Albania, caratterizzata da una crescente debolezza economica e politica, per invadere il paese. La mancanza di risorse e il fallimento nel costruire alleanze efficaci lasciarono Zog senza alternative. Privo di sostegno interno ed esterno, il re fu costretto a fuggire in esilio, mentre le truppe italiane occupavano rapidamente il territorio albanese.
L'occupazione italiana segnò non solo la fine del regno di Zog, ma anche la perdita dell'indipendenza albanese, un evento che ebbe ripercussioni profonde e durature. L'annessione dell'Albania al Regno d'Italia inaugurò un periodo di dominazione straniera che avrebbe alterato il corso della storia albanese, introducendo un'epoca di incertezze e conflitti. Questo periodo di occupazione non solo pose fine al sogno di un'Albania indipendente sotto la guida di Zog, ma aprì la strada a un futuro segnato da ulteriori lotte per l'autodeterminazione e la sovranità nazionale.

Bibliografia

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Biagini, A. F.  Storia dell'Albania contemporanea: Dagli illiri all’Impero ottomano, dall’indipendenza alla dittatura di Enver Hoxha ai giorni nostri. Bompiani, 2021.

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