PRIMA PARTE


Parte II


Il ritorno in Albania


Il principe di Serbia Giorgio Brancovich, spodestato da Murat II, chiese l’aiuto di Papa Eugenio IV (1431-1447) per recuperare il regno. Il Papa inviò il cardinale Giuliano per indurre Ladislao, re di Ungheria e di Polonia, in soccorso di quel sovrano. 
Eugenio IV organizzò anche una crociata contro i Turchi, esortando tutta comunità cristiana a prendere le armi per espellerli dall’Europa. 
Nella primavera del 1443 l’esercito ungherese al comando di Giovanni Hunyadi, governatore della Transilvania, entrò in Serbia. Il Sultano Murat II mandò un esercito di 20.000 uomini sotto il comando di Cara Bey, pascià di Rumelia, e di Skanderbeg per tenere a bada il nemico finché non fosse arrivato egli stesso a capo di un altro esercito. Gli eserciti avversari si accamparono sulle sponde del fiume Morava presso Niš. 
Il 3 novembre del 1443, Hunyadi oltrepassò il fiume con un esercito di 10.000 uomini e prima che i soccorsi del Sultano potessero arrivare piombò sull’esercito turco. 
Il generale turco, sbigottito dall’aggressività degli ungheresi, si accingeva a fuggire, ma visto che l’esercito di Hunyadi era formato da pochi soldati, ordinò l’inizio della battaglia. 
Skanderbeg, attendeva questo momento. I turchi che aspettavano l’ordine di tornare all’assalto ebbero inatteso quello della ritirata, che mano a mano mutò in una fuga precipitosa. 
Nella confusione del ripiegamento, Skanderbeg riuscì a trovare il cancelliere e con la spada in mano lo costrinse a rilasciargli un firmano (decreto col sigillo dell’impero) perché gli fosse resa la fortezza di Croia. 
Ottenuto il decreto fece uccidere il cancelliere perché non svelasse l’inganno e con il prezioso documento partì alla volta dell’Albania insieme a trecento guerrieri albanesi che militavano nelle fila turche, in virtù degli accordi presi anni prima da Giovanni Kastrioti col Sultano, tra i quali suo nipote Hamza, figlio di Reposio. 
Il Barlezio ci fa intendere che Skanderbeg fosse d’accordo con Hunyadi, il quale azzardò iniziando l’offensiva, nonostante si avvalesse di un piccolo esercito. D’altra parte il Barlezio stesso non lascia alcun dubbio sul fatto che Skanderbeg avesse causato, mediante un piano preparato con cura, la disfatta dell’esercito turco, poiché all’iniziò organizzò la ritirata che poi mutò in fuga generale, attirando quelli che lo seguivano e spingendo quelli che lo precedevano disperdendo, così, l’ala di soldati che era sotto il suo comando. 



Fontespizio dell’opera: M. Barletius – Historia de vita et gestis Scanderbegi Epirotarum principis – Roma 1506. 


Demetrio Franco ci riporta, invece, che Skanderbeg si batté, ma non appena l’esercito turco fu sconfitto, pensò, durante la ritirata, di far ritorno in Croia; solo dopo, imbattutosi fortuitamente nel cancelliere, gli strappò amichevolmente il firmano. In qualunque modo fosse andata la faccenda, Skanderbeg arrivò in Dibra e volle conoscere l’animo dei Dibrani nei suoi confronti, essendo loro i sudditi più fedeli della casa principesca dei Kastrioti.
Successivamente, chiamò i cittadini che esprimevano maggiore autorità e, parlando delle sue intenzioni domandò loro un aiuto.
Indescrivibile fu la gioia dei Dibrani nel rivedere il figlio del loro principe; alcuni non volevano credere ai propri occhi tanto da pensare che stessero sognando, altri saltavano di gioia, altri piangevano coprendolo di baci e di benedizioni offrendogli la loro stessa vita, quella dei loro figli e i loro averi per la causa della libertà.
Skanderbeg, commosso per questa accoglienza, li esortò a collocare degli uomini a guardia di tutti i valichi perché nessuno potesse far giungere la notizia del suo ritorno al comandante di Croia.
Ordinò poi di raggruppare altri uomini i quali, a un suo segnale, fossero pronti ad aiutarlo nell’occupazione del paese. E poiché la sua intenzione era di prendere Croia col firmano e non con la violenza, richiese solo trecento uomini, pratici dei sentieri, facendoli nascondere di notte in un bosco vicino alla città. Successivamente, in quella stessa notte, partì spedito alla volta di Croia. Appena fu vicino alla città, mandò il nipote Hamza Kastrioti, in qualità di suo segretario, ad avvertire il comandante della fortezza che Skanderbeg stava per arrivare con l’ordine del Sultano Murat II di assumere il comando.
Hamza, nato e cresciuto in Adrianopoli lì dove il padre aveva preso in moglie una turca, parlava in modo fluente la lingua turca, e, uomo astuto, realizzò pienamente la sua missione. Hassan bey Verzesda gli prestò fede e quando Scanderbeg arrivò e gli mostrò il firmano, lo ricevette con grande onore, lasciando la fortezza in mano a Skanderbeg.
L'indomani non vi furono più in città né turchi né rinnegati. La bandiera di Murat II, ogni segno della sua dominazione ottomana sparirono e al loro posto sventolarono ovunque le bandiere albanesi. Da ogni casa parti il grido di “Viva Skanderbeg!” e il giovane condottiero, ritornando alla religione con la quale era nato e in possesso della terra che era stata dei suoi avi, iniziò da Croia la risurrezione della gente albanese.



La lega di Alessio


Quanto sangue inutile aveva versato la Patria sino a quel giorno! Quanto spreco e sfoggio di virtù guerriere, piccole rivalità si disperdevano in azioni individuali e nessuno le dirigeva ne conduceva al segno perché nessuno vi era stato fino a quel giorno dagli altri accettato, come capo, e che del capo assumesse gli oneri e le responsabilità chiedendo piena, indiscussa, devota devozione. Giorgio Kastrioti si affrettò a riunire i Principi albanesi in Croia, cosi individualisti trovarono un leader che mettesse tutti d’accordo. E in virtù di quell’ascendente avvenne quello che per anni era stato desiderato. 
Petralba, Tornacio, Stellusio, Sfetigrado, caddero l’una dopo l’altra nelle mani degli albanesi. 
Ma non bastava. 
Giorgio Kastrioti riunì per la prima volta, a congresso, tutti i Principi della regione e, scartando le terre dell’uno e dell’altro, convocò l’assemblea ad Alessio dove all’epoca dominava Venezia. 



Immagine presa da "Focus Storia", Ottobre 2018


Il 1°marzo del 1444, la cattedrale di S. Nicola in Alessio si mostrava gremita da una folla multicolore. I Principi più autorevoli che vi presero parte furono: Arianita di Kanina, Andrea Thopia, pronipote di Carlo Thopia, Principe delle terre poste tra Croia e Durazzo, con i suoi due figli e col nipote Tamesio Thopia, Teodoro Korona Musacchio, Principe di Berat, con alcuni altri Principi della Musacchia, Giorgio Stresio Balscia, nipote di Scanderbeg per parte della sorella Jella, Principe delle terre fra Croia e Alessio, Paolo e Nicola Dukagini, i cui principati si estendevano dal Drino al Kossovo fino ai confini della Serbia, Alessandro Zaccaria Altisferi, Principe di Dania, Pietro Spano, Principe della Malesia di Sciosci e di Sciala, con i suoi quattro figli Alessandro, Bozdar, Orosio e Marco, Alessandro Dusmani, Principe di Zadrina, Stefano Cernovich, cognato di Scanderbeg, Principe del Montenegro, con i suoi due figli Giorgio e Giovanni; vi erano anche altri Principi Gheghi e Toschi. Oltre a questi, vi si trovò anche il rappresentante della Repubblica veneta per verificare cosa si fosse deliberato. 
Fu disposto di formare una Lega di Principi albanesi e Skanderbeg venne eletto all’unanimità capo di essa e con il grado di capitano dell’esercito confederato. Tutti i Principi si imposero di aiutarlo con danaro, con vettovaglie e con uomini, secondo le proprie forze, nella lotta contro il Sultano Murat II. Questo obbligo non doveva risolversi in una promessa vaga. Arianita di Kanina propose che ogni Principe specificasse la somma annuale che avrebbe dovuto versare come contributo. Egli stesso diede l’esempio impegnandosi con una quota di contributo e gli altri Principi fecero altrettanto. I capi minori, che non potevano garantire aiuti in danaro, offrirono un numero maggiore di uomini. Su questo punto Paolo Dukagini propose che fosse stabilito anche il numero degli uomini che ciascun Principe doveva fornire e dopo tante riflessioni la questione fu lasciata all’arbitrio dei vari Principi. Le entrate annuali di Scanderbeg erano di duecentomila ducati d’oro, perlopiù costituiti dai contributi versati dai principi della Lega, dalle entrate del suo principato e dalle saline di campo Episcopo, presso San Nicola della Pietra, a nord di Durazzo. L’esercito della Lega contava la presenza di circa 18.000 uomini, suddiviso equamente da cavalieri e da fanti. Di esso tre o quattro mila appartenevano al principato paterno di Skanderbeg, cioè Croia, Mati, Mirdizia e Dibra. Appena si concluse il Convegno, fu cantato un Tedeum e recitate preghiere per la fortuna della Lega. Skanderbeg, poi accompagnato dai nipoti e da Paolo Dukagini, rientrò in Croia. 
La creazione e l’ordinamento di un esercito regolare fu l’impresa più ardua alla quale Skanderbeg si si dedicò dopo il suo ritorno a Croia, soprattutto perché sapeva che in un prossimo futuro avrebbe dovuto affrontare l’esercito dell’impero turco. Introdusse nel suo principato la “coscrizione” nuovo metodo di reclutamento sconosciuto in Europa e di difficile adozione in Albania realizzando liste complete di uomini idonei all’utilizzo delle armi, al fine di impiegarli nel servizio militare quando ne avesse avuto bisogno. A questa riforma Skanderbeg attribuiva tanta importanza tanto da mettersi egli stesso a capo della commissione di reclutamento facendo il giro di tutte le sue terre per passare in rassegna le reclute e per redigere le liste. L’importanza di un esercito regolare, permanente e pronto alla guerra in ogni momento, Skanderbeg l’aveva constatato in Turchia dove aveva visto i servizi resi dai Gianizzeri. Le vittorie dei Turchi erano dovute a questo particolare e selezionato corpo militare, fondato dal Sultano Orhan I. Skanderbeg, dopo aver adottato questo sistema in Albania, formò un corpo scelto con più di duemila soldati albanesi, i quali per disciplina, abilità e fedeltà non avevano eguali al mondo. 
Da quel momento non ci sarebbero state più guerriglie, non più ciechi assalti affidati al valore del singolo, ma metodo, era ciò che occorreva per sbaragliare il Sultano e dargli la sensazione che una volontà di ferro e una intelligenza eccezionale guidavano le sorti e affermavano il valore della nazione albanese. 
Giorgio Kastrioti istituì un servizio di spionaggio militare. I suoi uomini penetrarono fin dentro alla corte del Sultano alla ricerca di utili notizie, affiancando i Visir e i Pascià. Tali informazioni venivano trasmesse al capo che studiava, nel frattempo, la topografia della sua terra stabilendo i luoghi di vedetta e i campi di battaglia. Esaminava le gole, i passi, le pianure, i corsi dei fiumi. Così venne a conoscenza di ogni segreto del nemico, divenendo conoscitore di ogni metro di territorio da difendere, in attesa che l'avversario si manifestasse. 
Giorgio Kastrioti, con un esercito di minore entità rispetto a quello turco, affrontò Alì Pascià segnalatogli dai suoi informatori appena partito da Adrianopoli alla testa di un potente esercito con il quale Murat II voleva annientare l’ardire di colui che reputava un traditore. Tale esercito entrò in Albania dal versante Kossovo e scese in Dibra Inferiore. 
L’avvicinarsi dell’esercito turco, indusse i contadini a fuggire riparandosi nelle fortezze o sulle montagne. Gli uomini all’interno dei castelli lavoravano notte e giorno per riparare le mura, scavare le fosse e custodire le porte, come se il nemico stesse sopraggiungendo di lì a poco, gli anziani, le donne e i fanciulli stavano l’intero giorno nelle chiese, pregavano il sommo Dio di risparmiare all’Albania il flagello che si approssimava. Le notizie che circolavano riferivano, giorno dopo giorno, un continuo aumento delle unità in capo all’esercito turco, tanto che gli stessi soldati cominciavano a manifestare un senso di forte disagio e di paura. 
Soltanto Skanderbeg rimase impavido cercando di incoraggiarli nel ritrovare speranza e fiducia in se stessi. Fino a ora gli Albanesi non avevano conosciuto che disfatte e sventure, quindi era difficile per essi credere che la vittoria sarebbe stata dalla loro parte, visto che da questa prima battaglia dipendeva tutta l’impresa di Scanderbeg. Le previsioni non erano molto favorevoli. Soldati e ufficiali erano tutti giovani e poco capaci e quindi non avevano la minima esperienza di una battaglia campale combattuta con le regole dell’arte militare e che si accingevano a schierarsi in campo contro l’esercito più forte di quel tempo. Da parte sua, Scanderbeg non aveva che due ufficiali veterani i quali conoscevano il loro mestiere perfettamente, Aidino Musacchio, che aveva combattuto parecchi anni come ufficiale nell’esercito turco e che era anche lui fuggito per unirsi a Skanderbeg, e Uranaconte, il quale alcuni anni prima aveva combattuto nell’esercito di Alfonso, Re di Napoli, partecipando a molte guerre di quest’ultimo, ed aveva avuto pertanto l’occasione di apprendere l’arte della guerra sul campo di battaglia, sotto il comando di un capitano illustre e valoroso. Tutti gli altri avrebbero ricevuto ora, per la prima volta, il battesimo del fuoco in una battaglia regolare e Skanderbeg osservava con l’animo sospeso i primi passi dei suoi neofiti che gli ispiravano piena fiducia e che, al minimo errore, potevano trascinarlo nella disfatta e nella catastrofe. Con questo esercito Skanderbeg, dopo che fu celebrata la messa e furono benedette le bandiere, si diresse verso la Dibra Inferiore orientandosi verso la pianura di Torviollo designata da molto tempo per darvi battaglia. La pianura di Torviollo misurava sette miglia di lunghezza e tre di larghezza ed era attorniata da monti, colline e boschi. Il piano di Skanderbeg era di nascondere una parte dell’esercito nei boschi e al momento opportuno indirizzarla contro il nemico. Per non destare sospetti sull’imboscata, lasciò in Torviollo solo una parte della fanteria spingendosi con tutto l’esercito davanti all’esercito turco per attirarlo, con una falsa ritirata, nel luogo da lui stabilito. 



Elton Varfi


Bibliografia 

Historia e Skënderbeut, Marin Barleti. Tirana 1968. 
L’Albania ed il Principe Scanderbeg, F. Cuniberti, Roux Frassati e C° Editori, Torino 1898. 
Storia di Scanderbeg, Fan S. Noli, (versione di Francesco Argondizza),Roma 1924. 
Scanderbeg, Alessandro Cutolo, Milano 1940. 

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