SECONDA PARTE





Parte III




La battaglia di Torviollo


Il 29 giugno del 1444 i due eserciti si affrontarono nella pianura di Torviollo.
All'alba gli ottomani si mossero contro l’esercito albanese e non fu del tutto facile per gli albanesi restare immobili in attesa che il nemico si posizionasse per la battaglia sul terreno scelto da Giorgio Kastrioti e non nella Pianura occupata delle forze islamiche. Skanderbeg, si scagliò alla testa del suo esercito per affrontarli. I musulmani impegnarono tutte le loro forze per sfondare il centro delle formazioni albanesi, ma quel nucleo avendo per comandante il capo resistì. Fu allora che dai boschi uscì la cavalleria albanese attaccando alle spalle l'esercito invasore, mentre le forze di Uranaconte lo colpivano frontalmente.

Giorgio Kastrioti Skanderbeg. Galleria degli Uffizi, Firenze

Gli ottomani, trovandosi in mezzo a due fuochi, capirono di essere perduti. Ali Pasha tentò invano di contenere la sconfitta con i suoi migliori soldati. Giorgio Kastrioti sferrò un altro attacco gettandosi personalmente in mezzo ai nemici mietendo vittime e disperdendo gli ultimi combattenti musulmani. Fino alle tre del pomeriggio si protrasse la battaglia e al tramonto del sole i turchi in fuga disordinata lasciavano sul terreno 8000 morti, 2000 prigionieri e 24 bandiere, l’intero accampamento, migliaia di cavalli, vettovaglie e spoglie di ogni genere.
Mentre i vincitori raccattavano i feriti, seppellivano i morti, inseguivano le retroguardie dell'esercito sconfitto, messaggeri di vittoria correvano ad annunziare la gloria delle armi in ogni provincia albanese. Timidi messageri giunsero anche ad Adrianopoli per informare il Sultano dell’amara sconfitta del suo esercito a opera di schiere di soldati molto inferiori per numero e per mezzi di armamento.
Le notizie giunsero a Roma laddove il Papa Eugenio IV ringraziò l'Eterno per il trionfo ottenuto dalle armi cristiane, a Napoli, Venezia, Budapest, fino a Borgogna. Le Corti d'Europa, seppero che oltre Hunyadi, un altro uomo era pronto in Oriente per fronteggiare il turco.
Nel frattempo Papa Eugenio IV, incoraggiato dai successi di Scanderbeg e di Hunyadi, si adoperava per organizzare una nuova crociata contro i Turchi, alla quale avrebbero dovuto partecipare l’Ungheria, Venezia, Genova, l’impero bizantino e il Principe di Caramania. A questa crociata fu invitato anche Skanderbeg. Il Sultano Murat II, preoccupato per questi preparativi, chiese di far pace agli Ungheresi e malgrado gli sforzi del Cardinal Giuliani, fortemente legato al Papa, il 12 luglio 1444 fu sottoscritta a Szeghedin la tregua per 10 anni. In virtù di questo trattato il Sultano Murat restituiva la Serbia a Giorgio Brankovich al quale rimandava anche i due figli che aveva tenuto come ostaggi, obbligandosi a non entrare più nel territorio albanese su cui regnava Skanderbeg, riconoscendo così ufficialmente il regno albanese. Appena la pace fu stipulata, il Sultano Murat II abdicò in favore di suo figlio, Sultano Maometto II, e si ritirò in Magnesia per trascorrere nella quiete i suoi ultimi anni. Il periodo di tregua non durò più di 6 settimane. Il Cardinal Giuliani consigliò il Re Ladislao di Ungheria e di Polonia di non rispettare questo trattato e ad approfittare dell’abdicazione del Sultano Murat II per attaccare i Turchi, in questo contesto venne aiutato dalle potenze che avevano aderito alla crociata, e di scacciarli dall’Europa con lo scopo di liberare Costantinopoli evitando il rischio di cadere in mano agli infedeli. Il Re Ladislao ritrattò il trattato, dichiarò guerra ai Turchi e con un esercito formato da 14.000 Ungheresi, Polacchi e Valacchi entrò in Bulgaria e si accampò nella pianura di Varna, laddove i crociati si sarebbero dovuti unire a lui. Prima di muoversi, egli aveva chiesto aiuto a Skanderbeg, la lettera di Ladislao, scritta ai 28 giugno 1444, fu sottoposta al Consiglio della Lega, e, dopo molte discussioni e contrasti, Skanderbeg, con l’appoggio di Paolo Dukagini, convinse i capi albanesi a venire in aiuto di Ladislao con l’ausilio di un esercito di 15.000 uomini. Tale esercito fu composto con mille sforzi. Paolo Dukagini, il quale avrebbe portato con sé 5.000 uomini, si ammalò e il figlio Lek Dukagini si oppose a inviare l’esercito. Oltre a ciò, Uranaconte e Tanusio Thopia non furono d’accordo con questa spedizione, poiché asserivano che l’impero turco non potesse essere distrutto tanto facilmente e d’altra parte temevano che i Turchi, approfittando dell’assenza di Skanderbeg, entrassero in Albania. Skanderbeg intanto volle mantenere la parola data a Ladislao e radunò l’esercito, ritardando alcuni mesi e danneggiando ogni proposito, poiché diede tempo a Giorgio Brancovich di Serbia di occupare i passi ai confini e di tagliargli la strada. Dopo aver lasciato in qualità di reggente Uranaconte, Skanderbeg partì il 15 di ottobre, ma trovò sbarrata la strada attraverso la Serbia, poiché Giorgio Brancovich, rendendosi ostile con gli Ungheresi, che gli avevano tolto alcune fortezze, e alleandosi col Sultano Murat II al quale aveva dato in moglie la propria figlia, non consentì che Skanderbeg attraversasse il suo paese. Quest’ultimo non poté convincerlo con le buone ragioni, diede ordine all’esercito di forzare i valichi. Superate due gole, si era spinto all’interno della Serbia ma in quel momento apprese da soldati Ungheresi e Polacchi in fuga che Ladislao era stato ucciso e Hunyadi fatto prigioniero, (solo in seguito avrebbe riscattato ad altissimo prezzo la sua libertà), nella battaglia di Varna il 10 di novembre 1444.
Skanderbeg, rammaricato per non aver preso parte a questa battaglia, saccheggiò la Serbia per tutto il territorio, la mise a ferro e fuoco per impartire un insegnamento al traditore Brancovich e alla fine di novembre fece ritorno in Croia scoraggiato. Centinaia di Polacchi e di Ungheresi, superstiti della battaglia di Varna, affamati e scalzi, si rifugiarono in Albania nel cuore dell’inverno. Skanderbeg fece quello che poté per questi sventurati. Li raccattò, li vestì e li rimandò ai loro paesi per la via di Ragusa. In questa maniera gli ostacoli posti dai capi albanesi da una parte e il tradimento di Brancovich dall’altra, impedirono a Skanderbeg di partecipare alla battaglia di Varna, la quale, se fosse stata vinta dagli alleati, avrebbe mutato completamente la storia dell’Albania ponendo fine definitivamente alla guerra contro i Turchi.

Raffigurazione della battaglia di Varna

La sconfitta di Varna avrebbe potuto avere per gli alleati disastrose conseguenze, se il Sultano Murat II avesse voluto approfittare maggiormente della vittoria spingendo ancora le operazioni di guerra; l’Ungheria, quasi priva di difensori e soggetta alle discordie si rinvigorì, in seguito alla morte di Ladislao, dichiarandosi alla portata nel contrastare l’esercito musulmano; Hunyadi difficilmente avrebbe potuto riunire in quei giorni un esercito capace per numero e per forza morale tale da riuscire a opporsi alle evoluzioni del vincitore.
L’imperatore Greco, trepidante, restava chiuso in Costantinopoli, come se intuisse la possibile e prossima caduta del suo debole impero, ma fermamente deciso a difenderlo.
Solo l’Albania, sorretta dalla fiducia incrollabile riposta in Skanderbeg, disdegnava il riconoscimento dell’autorità del Sultano, riaffermando la propria indipendenza. Tutto dunque induceva a credere che Murat II avrebbe proseguito nelle sue guerre di conquista, o che almeno si sarebbe scagliato sull’Albania per ridurla all’obbedienza e punire Skanderbeg per la sua ribellione.
Ma nulla di tutto ciò avvenne, il Sultano, a nuove guerre, preferì stringere accordi amichevoli, fortemente orientato non tanto dalle gravi perdite subite, come alcuni affermano, ma bensì da un profondo pensiero politico che gli fece intuire che questo fosse il momento opportuno per consolidare maggiormente il suo impero in Europa senza correre il rischio di nuove guerre. Aprì di conseguenza trattative di pace con Hunyadi e, superando il proprio risentimento interno nei confronti di Skanderbeg, gli inviò Hairedin bey come ambasciatore per negoziare la pace, una lettera contenente le condizioni, a cui egli, il Sultano, si concedeva di accordarla; questa lettera, datata 15 giugno 1445 e spedita da Adrianopoli, era scritta con toni autorevoli e fieri (come usualmente lo si fa gerarchicamente da Signore a Vassallo) e più che di pace parlava di perdono ma alle condizioni accettate dal padre di Giorgio Kastrioti nel 1421, ovverosia che il Sultano riconoscerebbe Skanderbeg come Principe di Croja e di Mati, purché gli pagasse un tributo, concedendogli la fortezza di Sfetigrado, le regioni di Dibra e la pianura di Mocrena. Hairedin bey aggiunse che qualora egli non accettasse queste condizioni, Skanderbeg avrebbe fatto la fine di Hunyadi a Varna.
Le condizioni di pace incluse in questa lettera vennero respinte dal Consiglio generale convocato da Skanderbeg per la disamina; e Skanderbeg fiero di sé e del suo popolo si affrettò a far sapere al Sultano che la pace sarebbe stata possibile solo quando egli avesse riconosciuto l’assoluta indipendenza dell’Albania. La lettera di risposta, datata 12 agosto 1445 e spedita da Croja, cominciava così: “ Giorgio Kastrioti, soprannominato Skanderbeg, soldato di Gesù Cristo e Principe albanese e degli Epiroti, ad Ottomano Principe dei Turchi, salute “.
Se era stata superba la lettera del Sultano, più superba e fiera fu la risposta di Skanderbeg che trattava con esso da pari a pari e, nel respingere in modo assoluto la pace propostagli, finiva col dire
quale strana cosa fosse che il vinto osasse imporre condizioni al vincitore”.
Murat II indignato per tanto coraggio, deciso a punire il suddito ribelle e porre termine a un’insurrezione che, ulteriormente prolungata, avrebbe potuto essere causa di altri guai per il suo impero, ordinò la riunione immediata di un forte esercito di 60.000 soldati armati, che sotto ai suoi ordini diretti avrebbe dovuto, da lì a poco, invadere l’Albania e metterla a ferro e fuoco.
Ma dopo ragionevole consiglio e considerando che la situazione accennava nuovamente ad aggravarsi nei confronti dell’Ungheria, dove Hunyadi, sulla base delle trattative di pace già siglate, si era rifatto dei danni subìti nel disastro di Varna e aveva nuovamente riunito un vigoroso esercito, Murat II sospese la spedizione di tutto quel dispiegamento di forze.
Non era conveniente, né pareva a lui conforme alla sua dignità di lasciare Skanderbeg tranquillo e pacifico possessore dell’Albania, così affidò un piccolo esercito di circa 15.000 uomini, in gran parte cavalieri, a Feris Pascià, con ordine di marciare rapidamente e segretamente ed entrare in Albania prima che la notizia del suo avanzamento fosse di pubblico dominio. Probabilmente il Sultano sperava che al piccolo esercito riuscisse facilmente nella sorpresa, aveva quasi creduto e sperato che Skanderbeg avesse diminuito la sua consueta vigilanza, non ultimo ritenne che all’improvviso apparire delle sue truppe un sano timore avrebbe turbato le popolazioni albanesi e le avrebbe indotte a staccarsi da Skanderbeg fino ad abbandonarlo al proprio destino. Ma fu solo una illusione. Nessuna delle sue previsioni si realizzò e si manifestò il nuovo e grave errore commesso; un primo errore lo commise sostando dopo la vittoria di Varna, un secondo con l’apertura di trattative di pace con nemici, dando così loro il tempo di riparare ai danni subìti e prepararsi a nuove guerre. La marcia di Feris Pascià era stata segnalata a Skanderbeg il quale, dalla direzione da essa intrapresa, capì che il piccolo esercito turco proveniente da Uskup avrebbe tentato di penetrare in Albania per il passo di Kalkandene, presso le sorgenti del Vardar e scendere per Prisrend sul Drin bianco, quasi al confluente di questo col Drin nero; percorso difficile attraverso strette valli e zone boschive che bene si prestavano a imboscate e sorprese.
Scanderbeg, dopo aver provveduto alla sorveglianza di alcuni valichi di frontiera, si spinse con poco più di 4.000 uomini nelle strette gole delle montagne di Prisrend e qui vi dispose la sua piccola truppa in modo da sorprendere il nemico. Nelle sue previsioni ebbe ragione. Attirò dunque Firuz Pascià nella foresta di Mocrene e qui gli diede battaglia il 10 ottobre 1445.
La cavalleria turca, impedita a ogni passo dalle querce e dai cespugli, incalzata e insidiata da ogni parte dagli Albanesi, che avevano occupato tutti i valichi, si disperse e si mise in fuga, lasciando sul terreno 1.500 morti e un elevato numero di uomini fatti prigionieri. La vittoria di Mocrene, sebbene di minori proporzioni di quella di Torviollo, fu festeggiata maggiormente in Occidente, dove fu accolta come una gradita rivincita dopo la catastrofe di Varna. I cristiani d’Europa si rallegrarono del fatto che il posto dello sconfitto Hunyadi fosse stato preso da un altro condottiero. Papa Eugenio IV, il quale si affliggeva per la disfatta di Varna, dove i suoi sogni erano stati sepolti in un mare di sangue, appena ricevuta la notizia della vittoria di Mocrene, sollevato da ogni afflizione, ringraziò solennemente la Provvidenza che aveva dato alla Cristianità un altro potente difensore, il quale con le vittorie riportate nei confronti dei Turchi adornava il suo pontificato e gli offrì anche l’aiuto della Chiesa Cattolica assicurandolo che avrebbe fatto il possibile per indurre i Principi cristiani ad aiutarlo contro il nemico comune.


Elton Varfi                        

Bibliografia



Historia e Skënderbeut, Marin Barleti. Tirana 1968.

L’Albania ed il Principe Scanderbeg, F. Cuniberti, Roux Frassati e C° Editori, Torino 1898.

Storia di Scanderbeg, Fan S. Noli, (versione di Francesco Argondizza),Roma 1924.

Scanderbeg, Alessandro Cutolo, Milano 1940.


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