Athleta Christi: Giorgio Kastrioti Skanderbeg (4 di 10)
Parte IV
I Contrasti con Venezia
Ma nonostante l’entusiasmo dei cristiani e del Papa Eugenio IV, Giorgio Kastrioti non chiedeva di assumere la gravosa investitura del condottiero del Cristianesimo contro l’Islam. Skanderbeg, non voleva trascinare il suo popolo in una sanguinosa lotta impari contro l’Impero Ottomano, non solo per tutelare il Re di Napoli che temeva per le sue spiagge pugliesi, ma anche per il Papa che mostrava timore al pensiero che i Turchi sbarcassero in Italia e insidiassero la sede romana della Cristianità.
Skanderbeg, quando il Sultano lo privò del suo sacrosanto diritto di governare le proprie terre, decise di cambiare nome e fede. Aveva desiderato l’unione degli albanesi per tenere a bada il colosso turco che da solo, nonostante il suo assoluto valore, non sarebbe riuscito ad avere il dominio senza la condivisione degli altri Principi albanesi, a difesa dell’indipendenza nazionale.
Lo stemma araldica dei Kastrioti
Nel frattempo, ad Adrianopoli, Murat II furioso per la sconfitta subìta a Mocrene, si preparava a invadere l’Albania, da vari fronti, con due eserciti di 30.000 uomini ciascuno. Ma proprio mentre stava per mettere in atto il suo progetto, la notizia che Hunyadi raccolse con sé in Ungheria molti soldati con i quali minacciava la frontiera dell’Impero, lo dissuase dal movimentare un tale dispiegamento di forze dal suo territorio.
Decise di inviare in azione, contro Skanderbeg, un esercito di 25.000 uomini al comando di Mustafà pascià. Quest’ultimo, comandate esperto, memore delle sconfitte dei suoi predecessori, decise di seguire un’altra strategia di guerra. Senza avventurarsi in territori che si prestavano alle sorprese (era inevitabile che Skanderbeg conoscesse i movimenti delle truppe avversarie), stabilì di avanzare con le truppe in modo compatto, trincerandosi nelle posizioni che mano a mano avrebbe occupato. Si prefissò di evitare i combattimenti campali e di marciare deciso verso Croia, distruggendo ogni cosa al suo passaggio, per arrivare avvantaggiato nella capitale approfittando dell’immancabile terrore che quella guerra di sterminio avrebbe causato alla popolazione.
L’occupazione di Croia poteva segnare la fine delle ostilità in Albania.
Il piano di Mustafà pascià sembrò dare buoni frutti. Davanti all’avanzata veloce delle forze turche, la popolazione fuggiva terrorizzata rifugiandosi sui monti e nelle fortezze. Giorgio Kastrioti, vegliava e attendeva il momento favorevole e il terreno più adatto per quella battaglia che Mustafà pascià voleva evitare.
All’avanzamento dell’esercito ottomano, la cavalleria albanese gli girò intorno e Skanderbeg, che ne seguiva le mosse, lo aspettò al varco. Visto che il momento atteso non arrivava, Giorgio Kastrioti ricorse all’astuzia, mostrando il Turco meno furbo di lui. Skanderbeg, finse di essere scoraggiato, si allontanò dal nemico e per ingannarlo prese la via delle montagne per mettersi in salvo e con tanta abilità fece perdere le sue tracce agli informatori del pascià.
Mustafà pascià credette realmente di aver sgominato, con il solo terrore che incuteva il suo nome di guerriero, il Principe albanese. Cosi, l’esercito ottomano allentò la guardia nel campo di battaglia, comportandosi come se si trovasse in un luogo pienamente conquistato e reso sicuro da ogni pericolo.
La notte del 27 settembre 1446, i guerrieri albanesi irruppero, da ogni parte, nel campo ottomano immerso nel sonno.
Travolte le guardie, gli assalitori attaccarono ogni tenda, uccisero quanti incapparono sotto le loro armi. Mustafà pascià non si era reso conto cosa stesse accadendo, in preda al terrore riuscì a sfuggire con i resti del suo esercito per evitare una sicura morte.
La notizia della vittoria di Giorgio Kastrioti, giunse veloce a Roma e in più breve tempo ad Adrianopoli. Solo la fama che godeva Mustafà pascià e l’affetto che nutriva per lui Murat II gli evitarono la collera del Sultano.
Il Papa proclamò ancora una volta Giorgio Kastrioti come il più fedele difensore della Cristianità, ed esortò altri capi di Stati alleati di Roma a seguire le coraggiose azioni di Skanderbeg.
Giorgio Kastrioti, in quel momento, non pensava più al Sultano e alle guerre da combattere contro di lui, ma rafforzava in patria un’autorità ormai incontrastata mirando a costituire, sempre più forte e più accentrata nelle sue mani, la nazione albanese riducendo, di fatto, a Stato, una terra divisa, fino a quel giorno, in diverse tribù.
Ad aiutarlo in questa sua opera politica, diede il proprio contributo Murat II che aveva ceduto momentaneamente il trono al proprio figlio Maometto.
Privi del loro capo, gli Ottomani difficilmente avrebbero cercato di vendicare le loro sconfitte in terra albanese; il momento era propizio per rendere sempre più compatto l’insieme delle varie tribù. Ma questa politica accentratrice di Giorgio Kastrioti trovò un ostacolo imprevisto nell’atteggiamento di Venezia.
Dopo una lunga serie di trattative, finalmente Venezia riuscì a concordare la pace con il sultano. Consapevole che i turchi, almeno per il momento, non avrebbero infastidito gli albanesi, soprattutto perché Murat II ed il figlio Maometto, che avevano siglato la pace anche con l'Imperatore d'Oriente, risparmiarono le loro energie per assalire Costantinopoli. Per il momento, quindi, Giorgio Kastrioti nulla aveva da temere dai musulmani, tuttavia questo atteggiamento disattendeva gli obiettivi di Venezia. La Repubblica, si preoccupava del continuo rafforzamento della potenza di Giorgio Kastrioti in Albania.
Venezia, con adeguata diplomazia, aveva tolto ai napoletani il dominio su Zara e Corfù, sicché l'Adriatico divenisse di fatto il golfo di Venezia. Nonostante ciò, avrebbe tollerato una potenza che si stava rafforzando ogni giorno di più orbitando nell'Adriatico per necessità di eventi?
Qualora l'albanese si fosse liberato dal turco, laddove avesse avuto l’intenzione di dirigere i propri traffici commerciali li avrebbe potuti effettuare soltanto via mare, poiché la presenza delle forze musulmane precludeva la via terrestre.
Il timbro di Giorgio Kastrioti Skanderbeg
Skanderbeg intrattenendo rapporti amichevoli con il Re di Napoli, quest’ultimo proteso sull’Adriatico ostentando le proprie attenzioni verso l’Oriente, poteva fare affidamento anche sull'appoggio della Santa Sede, intenta a rafforzare l'autorità di egli, affinché l’Albania non costituisse la strada maestra per le truppe turche che, se fossero riuscite a sbarcare in Italia, avrebbero certo puntato su Roma. Cessata, per qualche tempo, l'ostilità degli ottomani, l'autorità di Giorgio Kastrioti accresceva ogni giorno di più, e la Repubblica correva il rischio, non contrastandola, di veder riformato, tra Otranto e la sponda opposta, quel legame materiale e morale che aveva reso invalicabile l'Adriatico e che Venezia aveva spezzato, dopo anni di mirata strategia. A rinforzarla nei suoi sospetti sopraggiunse l'assassinio, alla fine del 1444, di Lek Zaccaria, signore della città e del distretto di Dagno. Questo principe senza eredi aveva stretto un patto con Skanderbeg, per cui alla sua morte, le terre sarebbero passate nelle mani del condottiero albanese, con il quale confinava. Questo significava un’ulteriore espansione di Skanderbeg sull’Adriatico. Al posto di un piccolo signore, la Repubblica avrebbe trovato di fronte un capo potente che, ampliato i suoi domini, sarebbe diventato confinante anche via terra con la Serenissima.
Venezia nel suo interesse, doveva ostacolare questo accrescimento di potere e di fatto lo impedì.
I Dukagini e la principessa Bora, madre del defunto Zaccaria, furono abilmente soggiogati dalla Repubblica. I primi vantavano sul distretto antichissimi diritti, la principessa abbandonò quelle località e si rifugiò a Scutari, soggetta a Venezia, concedendo a quest’ultima la cessione di ogni suo diritto, lasciandola pienamente libera di definire come meglio avesse creduto la questione con Giorgio Kastrioti.
La faccenda di Dagno fu il pretesto perseguito da Venezia per molto tempo.
Rafforzato dalle scissioni sopravvenute fra i principi albanesi, ancora prima che Skanderbeg vi arrivasse, fece occupare la località costringendo l’albanese davanti al fatto compiuto. Ma la Repubblica aveva sbagliato le previsioni, illudendosi rispetto al fatto che Skanderbeg si rassegnasse all’accaduto. Riunì i signori della Lega e, sdegnato per l’accaduto, propose di dichiarare guerra alla Repubblica. I Principi si mostrarono perplessi poiché giudicavano rischioso combattere su due fronti, visto che la guerra contro gli Ottomani era tutt’altro che conclusa. Ma alla fine si decise di combattere contro la Repubblica di Venezia.
Skanderbeg affidò a Uranaconte 4000 uomini per difendere le frontiere da un possibile attacco di Mustafà pascià che, presumibilmente, era stato incaricato dal Sultano per compiere una nuova incursione contro gli albanesi.
Skanderbeg partì con 14.000 uomini all’assalto di Dagno. Appena arrivato, chiese che la città gli fosse consegnata. Ricevendo un chiaro rifiuto, la assediò e si mise in marcia verso Durazzo, anch’esso territorio sotto la Repubblica.
Ma nel frattempo, un messaggero di Uranaconte fece sapere, a Giorgio Kastrioti, che Mustafà pascià stava per riprendere la lotta e dunque era necessario terminare all'istante la guerra contro Venezia per non correre il rischio di trovarsi impegnati su due fronti. Skanderbeg, allora decise di attaccare senza indugi. Superò il Drin e si mosse verso Scutari, dove lo attendeva un esercito veneto di 15.000 uomini, dei quali ben 11.000 albanesi, al comando di Daniele Iurich, capitano di Scutari.
Il 3 luglio 1448, i due eserciti iniziarono la battaglia. Giorgio Kastrioti attaccò con tale violenza tanto da uccidere 2.000 soldati veneti e determinando più di 1.000 prigionieri. Lo stesso capo dell’esercito venne visto in fuga. Terrorizzata dall’inaspettato esito della battaglia, la Serenissima capì bene di essersi illusa pensando di avere la meglio avvalendosi del comando di un capo di rango, provato in tante guerre e tante volte vincitore di esse.
Anche Giorgio Kastrioti credeva, sbagliandosi, che quella battaglia segnasse la fine delle ostilità. Gli assediati di Dagno resistettero saldamente ed il capitano della fortezza rifiutò, ancora una volta, di consegnarla.
Skanderbeg ritenne prudente non continuare le ostilità contro la Serenissima. Liberò tutti i prigionieri, tranne i capi, fortificò Balcha, temendo un contrattacco della Repubblica e riunì nuovamente i Principi a lui devoti e quando seppe che suo nipote Hamza Kastrioti, aveva conquistato la regione di Drivasto, che apparteneva a Venezia, lo rimproverò aspramente perché non era nelle sue intenzioni continuare le offese con la potente “signora” dell’Adriatico.
Ubbidendo ai piani del Sultano, Mustafà pascià, al comando di 15.000 uomini, attaccava in quei giorni Uranaconte dal versante di Ocrida. Uranaconte tenne testa e inviò dei messaggeri a Skanderbeg. Se gli ottomani avessero occupato il cuore dell’Albania, il signore di Croia, sarebbe perduto.
Giorgio Kastrioti, convinto che Venezia, sotto il duro colpo della sconfitta di Scutari, sarebbe stata al suo posto, si diresse al comando di 6.000 uomini verso gli assalitori incontrandoli inaspettatamente presso Ocrida, laddove i turchi contavano di piombare all'improvviso su Croia. Mustafà pascià tentò inutilmente di evitare la battaglia che si sarebbe svolta in condizioni geograficamente a lui sfavorevoli, quindi tentò, ma senza il risultato sperato, di salvare l’esercito con una opportuna ritirata.
Skanderbeg lo assalì infliggendogli un’ulteriore sconfitta, che il comandante turco aveva già subìto ad opera degli eserciti albanesi. Si contarono 5.000 morti sul campo di guerra, anche lo stesso Mustafà pascià cadde prigioniero di Giorgio Kastrioti.
Nel frattempo, i veneziani approfittarono della situazione. Sapendolo impegnato contro le forze turche, si spinsero, con un forte esercito, contro la fortezza di Balcha. Il comandante che la difendeva, comprese quanto fosse inutile lottare, così abbandonò il luogo ritirandosi al di là del Drin.
I veneziani rasarono al suolo la fortezza che costituiva uno dei capi saldi su cui contava Giorgio Kastrioti. L’annuncio di questa sconfitta lo raggiunse il giorno seguente alla sua vittoria su Mustafà pascià.
Ritornò subito sui propri passi, saccheggiò gran parte del distretto di Scutari (dimenticando i rimproveri manifestati a suo nipote) e cominciò ad attaccare con tanta violenza Dagno e Durazzo, tanto che il senato Veneto avanzò, per primo, proposte di pace.
Le trattative tenute in Alessio furono brevi. I delegati veneziani, Paolo Loredan e Andrea Venier, quelli di Skanderbeg, il vescovo di Croia e l’abate Giorgio Pellini, il 4 ottobre 1448 ottennero, per la Repubblica, la sovranità su Dagno, e per Giorgio Kastrioti, un tributo annuo di 1.500 ducati ed altri benefici minori. Si stabilì inoltre che Venezia avrebbe considerato suo alleato l’albanese e, rinnovandogli i trattati commerciali.
Giorgio Kastrioti, in considerazione delle sue vittorie, non poteva dire di aver concluso una pace eccessivamente vantaggiosa, ma il condottiero albanese era sempre preoccupato dalla minaccia turca e il suo istinto di buon governante gli consigliò di rimanere in rapporti amichevoli con quella potenza verso la quale non sarebbe mai venuto alle armi, se non fosse stato obbligato a impugnare le armi.
Elton Varfi
Bibliografia
Historia e Skënderbeut, Marin Barleti. Tirana 1968.
L’Albania ed il Principe Scanderbeg, F. Cuniberti, Roux Frassati e C° Editori, Torino 1898.
Storia di Scanderbeg, Fan S. Noli, (versione di Francesco Argondizza),Roma 1924.
Scanderbeg, Alessandro Cutolo, Milano 1940.
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