Parte V

L’assedio di Sfetigrado

Nel frattempo, in Adrianopoli, il Sultano rifletteva sulla situazione albanese. Aveva capito che non si trattava più di un pugno di ribelli ma di una forza armata ben organizzata, ben diretta e sorretta da un ideale. Bisognava distruggerla subito.
Iniziò allora a radunare forze tanto imponenti che un grandissimo allarme si sparse fra le forze cristiane con lui confinanti.
Gli Ungheresi, l’Imperatore bizantino, i vari despoti della Grecia si domandarono sgomenti quale fosse l’obiettivo di Murat II riunendo così tanti soldati. Per loro era inconcepibile che il pericolo albanese impegnasse a tal punto il Sultano.
Skanderbeg invece, si rendeva conto che tutti quei preparativi erano diretti proprio contro la sua terra e la sua persona. Visto l’enorme numero di uomini impegnati da Murat II, decise che non era il caso di sfidarlo, ma si preparò la difesa con lo stesso zelo che aveva posto durante le azioni di attacco.
Rivolse un caldo appello ai Principi albanesi, perché lo soccorressero in un’ora per lui tanto critica. Inviò messaggeri al Papa, in Ungheria, a Venezia, a Costantinopoli e a Napoli, perché quelle potenze sapessero quanto danno, una ipotetica vittoria del Sultano, avrebbe arrecato anche a loro. Non ebbe nessun aiuto, se non in vettovaglie e danaro, così si accinse da solo a reggere l’urto.
Nel marzo 1449, Giorgio Kastrioti ebbe la notizia certa che Murat II era partito da Adrianopoli con un esercito, presumibilmente, di 120.000 uomini. In aprile vide personalmente le avanguardie dei musulmani, disposte lungo la frontiera albanese, pronte a varcarla al primo cenno del loro Signore.
Il piano di difesa di Skanderbeg fu semplice e chiaro.


Xilografia tratta dall’opera: M. Barletius – Historia de vita et gestis Scanderbegi Epirotarum principis – Roma 1506.


La grande superiorità numerica del nemico non gli consentiva di attaccarlo, conveniva attendere che si fossero manifestate le immancabili difficoltà nelle quali si sarebbe trovato il Sultano per far muovere un esercito cosi numeroso in un paese montuoso, di scarse comunicazioni, pieno di insidie. Per il momento, quindi, decise solo di fronteggiare intorno al nemico con piccoli contingenti di uomini. Ne assalì le colonne isolate, devastò e minacciò le vie di comunicazione, destò continui allarmi nel campo turco. Privò i soldati del necessario riposo rendendoli già stanchi ancor prima della battaglia suprema. L’avanzata degli Ottomani, già di per sé difficile data l’asprezza dei luoghi, fu resa ancor più lenta da quella tattica. Solo verso la metà di maggio, le schiere di soldati giunsero per stringere d’assedio Sfetigrado.
Per collaborare efficacemente per la difesa di Sfetigrado, Skanderbeg si era appostato nei luoghi montuosi e boscosi, sul versante sinistro del Drin. Da quel luogo era facile per Giorgio Kastrioti raggiungere Croia (centro delle sue operazioni), Elbasan, Petrella e in caso di sconfitta prendere la via del mare e ripararsi a Durazzo.
La fortezza di Stefigrado veniva difesa da Pietro Perlati, comandante di 2.000 uomini fra Dibrani e Sfetigradesi, tutti fedelissimi. Il Sultano minacciandola con i mortai, chiese la sua resa, e ottenuto un secco rifiuto, iniziò a colpirla con le artiglierie. Senza volere, il Sultano faceva il gioco di Skanderbeg. L’assedio di Sfetigrado salvava infatti l’Albania poiché la fortezza poteva resistere a lungo.
Murat II affidò 18.000 uomini a Firuz pascià, perché impedisse a Skanderbeg di soccorrere gli assediati di Sfetigrado. Skanderbeg assalì anche questo nuovo contingente di truppe, e accettò la sfida lanciata personalmente da Firuz pascià e in un violento duello lo uccise. L’esercito terrorizzato per la morte del proprio comandante, fuggì lasciando sul campo di battaglia 4.000 morti.
Proprio mentre Giorgio Kastrioti rientrava a Croia, sicuro che Sfetigrado avrebbe resistito ancora a lungo, questa fortezza cadde non per la forza delle armi del nemico, ma per il tradimento.
Un rinnegato albanese gettò la carcassa di un cane nell’unico pozzo della fortezza, tanto che la sete sfinì i difensori di Sfetigrado, più della forza dell’esercito che la assediava.
Il 31 luglio gli uomini di Giorgio Kastrioti consegnavano la roccaforte che sembrava inespugnabile e il Sultano poteva così contare sulla sua prima vittoria.
I difensori ebbero l’onore delle armi e raggiunsero il capo che campeggiava poco lontano. Con lui si ritirarono a Croia contro la quale avrebbe certamente puntato l’esercito del Sultano.
Freneticamente, Skanderbeg si mise al lavoro per rinforzare le mura della capitale, fare provviste di viveri e rassicurare le popolazioni, ma tra la sorpresa generale Murat II, ritenne più prudente rientrare ad Adrianopoli.
Partiti i turchi, l’albanese, pur essendo consapevole che la fortezza fosse inespugnabile, pensò bene di riprendere, con un colpo di mano, la perduta Sfetigrado, ma l’assalto sferrato con 8.000 uomini gli riuscì vano.

L’assedio di Croia

La disfatta di Sfetigrado, in piena terra albanese, non poteva che preoccupare Skanderbeg. Ma anche i regnanti europei non dormirono sonni tranquilli. Nessuno di loro però, voleva affrontare apertamente una guerra col Sultano. Né Venezia, in lotta con Alfonso d’Aragona Re di Napoli, desiderosa di mantenere con Murat II uno status che permettesse di renderle sicuro l’Adriatico, né le varie potenze italiane, ad eccezione di Napoli, né la Francia e la Germania, lontane dal pericolo ottomano, né l’Ungheria occupata a difendere i suoi confini e timorosa di unire le sue sorti con quelle tanto incerte degli albanesi, né infine il Papa Nicolò V, al quale più che ad altri premeva la difesa della cristianità contro il pericolo islamico. Skanderbeg aveva mandato a Roma come suo ambasciatore Zaccaria Groppa, ma lui riportò a Croia, solo promesse, lodi e apostoliche benedizioni.
Le intemperie della stagione, le perdite ingenti che infliggevano gli ottomani all’esercito assediante, il timore del peggio, costrinsero Skanderbeg a togliere l’assedio dalla fortezza di Sfetigrado che causò la morte e il ferimento di 2.000 uomini.
Ma il peggio doveva ancora venire.
Ai primi dell’anno 1450 Teodoro Corona Musacchio, prossimo alla morte, donò la sua terra di Berat a Giorgio Kastrioti, ma prima che egli potesse occuparla, il pascià di Argirocastro, occupò Berat nottetempo, fece prigionieri i sopraggiunti albanesi ed impiccò nella piazza della città Teodoro Corona Musacchio.
Così lo scoraggiamento si impadronì degli albanesi.
Come se non bastasse, Giorgio Arianita, col pretesto che Skanderbeg rinviava le nozze già programmate con sua figlia, passava sotto la protezione di Venezia, ottenendo la nomina di capitano. La Serenissima, avendo cura di mantenersi neutrale, induceva gli altri capi albanesi a non seguire più Skanderbeg se aspiravano a evitare nuove e più gravi sciagure alla loro Patria.


La moglie di Giorgio Kastrioti, Andronica Arianita (1428 - 1506)



La sfiducia iniziò a serpeggiare negli albanesi.
Sinistre voci, divulgate volutamente, circolavano per le campagne e per le città. La sfiducia accresceva il terrore.
Calmo e sereno Skanderbeg, riponeva intatta la fiducia nel suo valore e nella sua sorte. Rincuorò i dubbiosi, spronò i forti e attese fermo l’enorme esercito che il Sultano in persona e il figlio Maometto guidavano per la valle di Drin nero e del Kismo e per la catena di Celius fino alle mura di Croia, sotto la quale si accamparono senza aver trovato difficoltà, né resistenza armata lungo il difficile cammino.
La difesa della fortezza era affidata a Uranaconte. Giorgio Kastrioti adottando la propria strategia, favorevole fino a quel giorno, si accampò con un corpo di 10.000 uomini sui monti vicini, attaccando, di tempo in tempo le truppe turche disposte attorno alla fortezza, tenendole in allarme e obbligando il Sultano a togliere un numero di soldati impegnati nell’assedio per assicurarsi le retrovie.
Skanderbeg credeva che il cuore dell’intera Europa cristiana pulsasse intorno alle mura di Croia.
Ma si ingannava!
Venezia, legata da interessi commerciali con il Sultano, non voleva interrompere una difficile intesa sostenendo, oltretutto, Giorgio Kastrioti nel rinforzare il suo potere in Albania, che essa aveva ostacolato anche con le armi. Il Re dell’Ungheria si augurava che l’assedio di Croia durasse più a lungo possibile per potere rinforzare il proprio esercito provato da anni di lotte contro il Sultano. Il Papa continuava a dispensare benedizioni, e nulla più, anche perché poco poteva. La potenza dei Principi greci era inadeguata. L’Imperatore bizantino, infine, sperava insieme al Re dell’Ungheria che l’impresa d’Albania distraesse Murat II da Costantinopoli, perché non era in grado di difenderla efficacemente. Alfonso d’Aragona temeva, aiutando il capo albanese, di concorrere, sia pur in maniera indiretta, a una intesa più stringente dalla quale Napoli nulla aveva da guadagnare.
La difesa di Croia era affidata, quindi, al valore degli Albanesi e alla prudenza del loro capo.
Per cinque lunghi mesi il Sultano verificò quanto valessero l’uno e l’altra.
Per cinque mesi Murat II colpì, con le sue armi, le mura della città, scontrandosi con Giorgio Kastrioti. Tentò assalti sanguinosi, cercò di corrompere Uranaconte, ma sempre invano. Nel frattempo, da Adrianopoli gli giungeva notizia che Hunyadi preparava l’esercito per una nuova offensiva, tanto da temere di essere preso alle spalle mentre era impegnato in una lotta che durava oltre il previsto.
Il comportamento dei Veneziani durante questo assedio fu disonorevole e sleale. I commercianti di Venezia ebbero occasione di fare buoni affari approvvigionando l’esercito turco e la cosa era tollerabile fin che i Turchi andavano a rifornirsi nelle città veneziane costeggiando il mare. Ma poiché tutte queste provviste cadevano in mano di Scanderbeg, i Turchi vollero che i fornitori veneziani portassero i rifornimenti fin nel loro campo, passando attraverso l’esercito di Skanderbeg o altrimenti avrebbero mosso azioni di guerra anche nei confronti di Venezia. Gli Albanesi diffidarono i fornitori, tra i quali vi erano alcuni Scutarini, perché essi mettevano sé stessi in grande rischio con simili affari; ma questi commercianti non diedero loro ascolto, considerando che Scanderbeg non li avrebbe infastiditi per timore di offendere la Repubblica e per evitare di trovarsi tra due fuochi come gli era accaduto due anni prima. In verità, Skanderbeg aveva dato ordine che questi fornitori fossero rispettati, ma gli Albanesi, inaspriti, ne confiscarono tutte le disponibilità, uccidendone due di Scutari, Tommaso Begani e Nicola Gradilasca. Questo evento avrebbe potuto generare una seconda guerra con Venezia, ma fu evitata grazie al tempestivo intervento del governatore veneziano di Durazzo, amico intimo di Skanderbeg, il quale non permise più ai fornitori di approvvigionare il campo turco.
Con l’avvicinarsi dell’autunno, durante il quale le piogge avrebbero reso ancora più complicato l’assedio, il Sultano propose la pace a Giorgio Kastrioti. Skanderbeg, compreso che Murat II non avrebbe resistito a lungo, rifiutò.
Il Sultano tolse l’assedio alla fine di settembre, dopo aver lasciato circa 20.000 morti intorno alle inviolate mura di Croia. E altre perdite gli inflisse Giorgio Kastrioti, inseguendolo fin oltre i confini.
Murat II entrò ad Adrianopoli, umiliato e affranto, dove vi morì per un colpo di apoplessia nel febbraio del 1451.
Nel novembre del 1450, Skanderbeg fece il suo solenne ingresso a Croia. Gli albanesi lo salutarono come il padre della Patria, il Papa lo proclamò ancora una volta salvatore della fede cristiana.
Doni, felicitazioni, denari e uomini gli arrivarono da ogni parte d’Europa. Il Papa, il Re dell’Ungheria, il duca di Borgogna gli manifestarono vive felicitazioni.
Venezia, sino a quel giorno cauta nelle sue manifestazioni ufficiali, si congratulò per la disfatta toccata ai Turchi. Alfonso d’Aragona, più di ogni altro, con fine gesto politico, esagerò in doni e inviò, tra l’altro, alcuni dei suoi straordinari architetti, perché riedificassero le mura di Croia.
Prevedendo un lungo periodo di pace, Giorgio Kastrioti, prese in moglie la figlia del glorioso Arianita. Queste nozze furono poi celebrate il 26 aprile 1451. Scanderbeg aveva 39 anni e la sposa Maria Andronica 23.
La fuga di Murat II da Croia aveva segnato una data significativa nella vita di Giorgio Kastrioti, e nell’orientamento della sua politica.


Elton Varfi

 SESTA PARTE

Bibliografia

Historia e Skënderbeut, Marin Barleti. Tirana 1968.

L’Albania ed il Principe Scanderbeg, F. Cuniberti, Roux Frassati e C° Editori, Torino 1898.

Storia di Scanderbeg, Fan S. Noli, (versione di Francesco Argondizza),Roma 1924.

Scanderbeg, Alessandro Cutolo, Milano 1940.

 






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