SESTA PARTE
Parte VII
La stagione dei tradimenti
Alla funesta notizia tutta l’Europa tremò. A Venezia, Roma, Napoli, Francia, Spagna e in Inghilterra, ovunque si impadronì la paura, il terrore. Tutti erano consapevoli del pericolo che correva il Paleologo e il suo debole Impero, da parte di Maometto II, ma nessuno aveva preso l’iniziativa di difendere seriamente l’Imperatore d’Oriente, ognuno aveva sperato che qualche miracolo trattenesse i musulmani dal superare le mura della città imperiale. E quando fu chiaro che ormai l’Impero non era che un sanguinoso ricordo, che Costantino Paleologo era stato travolto anche lui fra le vittime di quella fatale giornata, ogni stato temé che nessuna forza potesse ormai frenare l’irrompente impeto di Maometto II. Ancora acerbo alle sventure, Nicolò V si rivolse, con un’altra inutile bolla, alla cristianità scongiurandola di riprendere Costantinopoli con la forza delle armi. L’imperatore Federico III si dichiarò pronto a guidare la nuova crociata. Anche Venezia, dopo aver pensato per un istante, all’eventualità di concludere un trattato con il Sultano per salvare i suoi possessi in Oriente, si decise di dare un percorso diverso alla sua politica. Venezia comprese che non era più possibile continuare nella sua ambigua politica, e guardò ai soli due uomini che avessero fino a quel giorno cercato di arrestare il pericolo turco, Alfonso d’Aragona e Giorgio Kastrioti.
Nel frattempo, con la gloria della conquista tanto a lungo desiderata, Maometto II dichiarava guerra a tutti i suoi vicini ed ogni stato a lui limitrofo temé per la propria sorte.
Maometto II, Gentile Bellini. (Galleria Layard, Venezia). Foto Alinari.
Allora Giorgio Kastrioti azzardò ciò che non si poteva osare. Mentre i Principi albanesi gioivano rispetto al fatto che la furia degli eserciti turchi avesse risparmiato l’Albania, il capo, radunato il consiglio, propose di attaccare i musulmani divulgando come certa la vittoria definitiva nel momento in cui Maometto II aveva le truppe turche impegnate in tutto l’Oriente. Era arrivato il momento tanto desiderato, egli si manifestò per riprendere Sfetigrado e Berat.Mentre Venezia esce ancora dal conflitto in virtù delle rassicurazioni del Sultano nei suoi riguardi e dei suoi commerci, il Papa e il Re Alfonso rientravano prepotentemente. L’uno forniva soccorsi sotto forma di denaro, l’altro inviava uomini. Se Venezia, stabilita la pace col Sultano si disinteressava dei Balcani, il Re di Napoli era pronto ad occupare un territorio presso cui lo invocava una ininterrotta tradizione politica dei Re di Sicilia. Alfonso d’Aragona strinse patti non solo con Skanderbeg, ma anche con altri signori minori dell’Albania e della Serbia. Intanto a Roma, Ratisbona e a Francoforte si esaminavano le strategie più adatte per fronteggiare il turco, ma soltanto Unyadi e Skanderbeg, pensarono di intraprendere la battaglia contro di lui.Il 24 marzo 1453 muore Papa Nicolò V e per un momento sembrò che il cardinale Alfonso Borgia, succedendogli come Callisto III, avrebbe potuto dare vita a quella lega anti musulmana, prerogativa mai raggiunta dal pontefice defunto. Ma ben presto si capì che neanche il nuovo Papa fosse in grado di superare le difficoltà immense che si interponevano nella buona riuscita di questo piano così audace.Forti dell’appoggio del Re di Napoli, nonostante i contrasti con gli altri capi albanesi, nel luglio del 1455, al comando di 14000 uomini, Giorgio Kastrioti si mosse per liberare Berat. Dopo pochi giorni d’assedio, il comandante turco chiese di scendere a patti ma Giorgio Kastrioti rifiutò, perché si fidava troppo nella sua buona stella. Skanderbeg non sapeva che 40000 uomini, buona parte di loro a cavallo e sotto il comando di Evewnos bey, marciavano a ad andatura elevata alla volta di Berat.In verità, Skanderbeg compì diversi errori. Appena arrivato di fronte alla fortezza di Berat, Skanderbeg aprì il bombardamento e in meno di due giorni riuscì ad aprire una breccia che consentì il passaggio del suo esercito. Il comandante turco, al solo fine di guadagnare tempo, tentò la trattativa di resa della fortezza, ponendo come condizione un mese di tregua. Ovviamente Skanderbeg non cadde in questo tranello, perché era chiaro che il comandante turco voleva prendere tempo in attesa degli aiuti attesi da fuori. Skanderbeg fu costretto dal suo stato maggiore di concedere una tregua di undici giorni. L’errore commesso da Giorgio Kastrioti si concretizzò nel fatto che non potendo rimanere inattivo per undici giorni di seguito, inoperoso di fronte a Berat, partì con la guardia reale per impadronirsi di un’altra fortezza distante alcune miglia. Di quale fortezza si trattasse non ci è dato a sapere. Skanderbeg fece un altro errore lasciando il comando dell’esercito a suo cognato, Carlo Musacchio Thopia, un giovanotto indolente e inesperto di strategie militari.A tutte queste mancanze si aggiunse un’altra sciagura. Gli informatori di Skanderbeg questa volta non esercitarono alcuna vigilanza e non avvertirono in merito a un esercito numeroso che, al comando di Evernos bey, avanzava rapidamente verso Berat.Il 26 luglio 1455 Evrenos bey apparve all’improvviso alle spalle degli assedianti, ne massacrò la metà, compreso il comandante Carlo Musacchio Thopia, e tra essi trovò la morte quasi tutto il contingente napoletano. Invano Skanderbeg, riguadagnato il terreno della lotta mentre la battaglia volgeva al termine, si gettò nella mischia e tentò di cambiare le sorti dello scontro, visto che Evrenos bey aveva commesso l’imperdonabile errore tattico di ritirarsi dopo la vittoria.Gli albanesi sconfitti, sfidando le possenti orde di Maometto II pensarono di avere osato troppo, tanto da dimenticare le vittorie fin lì conseguite e rammaricandosi per la sconfitta appena subìta. Intanto a Costantinopoli Maometto II onorava Evrenos bey, il primo musulmano vincitore in una battaglia campale, dell’uomo che tante volte aveva sconfitto l’Islam.A Napoli, la sconfitta di Berat penetrò ancora più saldamente nel cuore di Alfonso d’Aragona con la convinzione di opporsi, con ogni mezzo, al Sultano che si affacciava sull’Adriatico. Ora non si trattava più di attaccare ma di difendere. Questo stato di cose le altre potenze non le comprendevano, specialmente Venezia l’unica fra le potenze cristiane rimasta in rapporti diplomatici con l’Islam, ancora si illudeva di poter mantenere pacifiche relazioni e sicuri traffici con l’Oriente musulmano. La Repubblica voleva far diventare realtà l’utopistico miraggio di riportare la pace in Oriente, riconoscendo l’insediamento del Sultano nell’Impero, ma obbligandolo, nello stesso tempo, a riprendere, con essa e con le altre potenze occidentali, i traffici commerciali. Di contro, Alfonso d’Aragona si sostituiva, al Papa come ideatore di una nuova crociata che si prefiggeva, come scopo primario, di salvare l’Albania. Il 1 novembre 1455, egli si riunì con i suoi baroni, ma solo il duca di Milano apprezzò il gesto nobile del Re di Napoli.Da Napoli partivano per l’Albania balestrieri, fanti, provvidenze, tutti segni concreti che portavano a pensare che il Re credeva realmente nel suo progetto. Il Re di Napoli, rivolgendosi al Papa, si lamentava dell’atteggiamento di Venezia, intanto la situazione di Skanderbeg si presentava come disperata. I turchi entravano in terra albanese distruggendo tutto ciò che trovavano davanti. Le notizie di questi avvenimenti giungevano in Italia spargendo il panico ed il timore di maggiori disgrazie si impadroniva dell’intera cristianità.Alfonso d’Aragona non perse la sua proverbiale calma. Nel gennaio 1456 Rinaldo del Duca guida in Albania un contingente di fanti, Giovanni de Soto di arcieri, ed altri arcieri ancora porta con sé, nel marzo dello stesso anno, il capitano Gisberto Rafon, arruolato dal Re di Napoli tra le truppe napoletane. E mentre questi soldati attraversano l’Adriatico, egli offre ricche ricompense a chiunque, in Europa, voglia passare nelle sue schiere per essere inviato in aiuto a Giorgio Kastrioti.
Dall’opera: M. Barletius – Historia de vita et gestis Scanderbegi Epirotarum principis – Roma 1506.
Nel frattempo un esercito di musulmani di 15000 soldati, avanzava verso Croia, guidati dal rinnegato Moisè Comneno Thopia. Ma sul loro cammino trovarono non le sparute schiere che si auguravano di incontrare, bensì un esercito di 12000 uomini bene armati, composto dal Re di Napoli e sorretto dal valore di Giorgio Kastrioti. A poca distanza da Oranik, i due eserciti vennero allo scontro. La battaglia si combatté con grandissimo coraggio da entrambe le parti e tra i più valorosi fu proprio il traditore Moisè. Ma nulla valse ai musulmani il coraggio. Dopo ore di atroci combattimenti lasciarono sul terreno un numero enorme di morti, feriti e prigionieri. Terrorizzato da quanto era avvenuto, il traditore Moisè, appena giunto a Costantinopoli ritornò sui suoi passi e si presentò pentito al cospetto di Skanderbeg che con il suo coraggio pari alla sua generosità dell’animo, lo perdonò.Il ritorno di Moisè nelle terre dei suoi padri fece risorgere una questione che da tempo avviliva da Giorgio Katrioti. Il condottiero pur restituendo al traditore i beni e le proprietà private, non lo mise nuovamente nel pieno godimento del suo feudo, perseguendo ancora una volta, una linea di condotta che piaceva alle popolazioni ma che risultava sgradevole ai feudatari.
Il 14 luglio del 1456, mentre Giovanni Hunyadi sconfisse sotto le mura di Belgrado un enorme esercito turco mandato ad invadere l’Ungheria, gli albanesi invece segnavano un’altra sconfitta. Nel mese di ottobre i turchi si impadronirono della fortezza di Modriza, non per la forza delle armi ma per il tradimento di Giorgio Stresio Balscia, nipote di Giorgio Kastrioti. Mostrandosi in disaccordo anche lui per i provvedimenti adottati dallo zio verso i feudatari, si mise al servizio del Sultano dietro una grossa ricompensa di denaro. Giorgio Kastrioti lo punì con il carcere lasciandogli salva la vita. Ma il malcontento perdurava e una seconda prova ancora più grave fu subita da Giorgio Kastrioti. Il tradimento di suo nipote Hamza Kastrioti. Alle varie ragioni di livore si aggiunse la nascita del figlio di Giorgio Kastrioti che toglieva a Hamza la speranza a lungo desiderata di succedere un giorno nei feudi dello zio. Hamza abbandonò con moglie e figli l’Albania e giunse a Costantinopoli, si presentò al Sultano che fu lieto di utilizzare contro il suo grande nemico, tanto odio, tanta invidia e tanta rabbia. Così gli affidò un alto comando nell’esercito, che era agli ordini di Isak Daut pascià.Abbandonato da quasi tutti gli Principi europei e da Venezia, insidiato dai suoi stessi familiari, come poteva Giorgio Kastrioti resistere ad un nemico tanto più forte di lui? Due amici gli restarono vicini, Alfonso d’Aragona e il Papa. Il primo gli inviò soldati, il secondo qualche aiuto finanziario, un messaggero ed una bolla in cui lo affermava, ancora una volta, difensore della cristianità. Giorgio Kastrioti si vide costretto ad affrontare l’esercito di 50000 uomini con soli 120000 soldati.Oltre tutto, l’esercito che stava marciando verso l’Albania era guidato da Hamza Kastrioti che conosceva ogni strada, ogni valico, ogni fortezza ed era l’uomo più adatto per sventare la strategia adottata da Skanderbeg. Giorgio Kastrioti simulò la fuga, l’esercito turco avanzava senza impedimenti. Fu cosi che il 7 settembre 1457, nella piana di Albulena, presso il fiume Mati, l’esercito musulmano sostò e si accampò stanco. Sembrava tutto tranquillo quando all’improvviso, da tre lati fecero irruzione nel campo gli albanesi. In poco tempo centinaia di turchi rimasero privi di vita sul terreno. Hamza Kastrioti in persona cadde prigioniero di Skanderbeg che lo mandò dal Re di Napoli perché lo rinchiudesse in una delle prigioni del suo regno.Gli ambasciatori del Sultano, mandato a Croia, offrirono a Giorgio Kastrioti la pace con la condizione di uti possidetis
[1] , ma un legato del Papa giunse nello stesso tempo e pregò l’albanese, a nome del pontefice, di rifiutare quella proposta e di mantenersi pronto per la crociata che Roma stava organizzando e della quale il principale promotore sarebbe stato il Re di Napoli. Giorgio Kastrioti non accettò l’offerta del Sultano e si preparò alla nuova battaglia.Mentre l’entusiasmo di questa nuova vittoria non era ancora spento, il suocero di Giorgio Kastrioti, mandò a Venezia uomini per negoziare una pace personale con la Serenissima, dicendosi disposto, in cambio di una pensione e di una carica, a combattere qualsiasi avversario della Repubblica.Alfonso d’Aragona poteva permettere che il suo protetto fosse nuovamente colpito alle spalle dagli stessi albanesi? Se Venezia appoggiava apertamente i ribelli, occorreva fronteggiare anche l’eventualità di una lotta in mare contro di essa. Alfonso d’Aragona volle ed ottenne che la flotta del Papa si unisse alla sua e partisse per Valona allo scopo di rimanere lì in attesa degli avvenimenti in segno di monito nei confronti di Venezia.A Napoli il segretario della Repubblica Nicola Sanguntino, aveva saputo dal Re in persona che Giorgio Kastrioti era fortemente in collera contro la Serenissima ed aveva intenzione di occupare Drivasto, Antivari, Scutari ed altre terre Veneziane in Albania. Come se ciò non bastasse era noto che Giorgio Kastrioti aveva inviato al duca di Milano, rivale eterno della Serenissima, un suo incaricato, Francesco Maramonte con la missione ufficiale di prospettare a Francesco Sforza, la mala condicione nella quale si trovava l’Albania per la minaccia turca. Ma nulla vietava di supporre che potesse anche sottoporre al duca qualche piano di alleanza ai danni della Repubblica di San Marco.
Elton
Varfi
OTTAVA PARTE
Bibliografia
Historia
e Skënderbeut, Marin Barleti. Tirana 1968.
L’Albania
ed il Principe Scanderbeg, F. Cuniberti, Roux Frassati e C° Editori, Torino
1898.
Storia
di Scanderbeg, Fan S. Noli, (versione di Francesco Argondizza),Roma 1924.
Scanderbeg,
Alessandro Cutolo, Milano 1940.
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