Parte VIII

In aiuto di Ferrante d’Aragona

L'anno 1458 è stato annus horribilis per Giorgio Kastroti Skanderbeg. Il 27 giugno moriva a Napoli il suo grande protettore Alfonso D'Aragona Re di Napoli, Principe fornito di grandi doti mentali e sentimentali, generoso, leale, amante e sostenitore delle scienze e delle lettere. Egli aveva sempre nutrito una vera ammirazione per Skanderbeg. L’intera Albania e lo stesso Skanderbeg nutrivano per questo Principe una riconoscenza vera e profonda, tanto che la sua morte destò in essi un sincero rimpianto. Con la morte del Re, il regno era passato a suo figlio illegittimo Ferrante, uomo di vedute politiche più ristrette rispetto a quelle del padre, minacciato oltretutto da pretendenti stranieri. Giorgio Kastrioti subì un’altra grave perdita. Si spegneva, quasi contemporaneamente al Re di Napoli, Uranaconte il più fedele e il più abile fra i capitani albanesi.
In Italia, la Casa d'Angioini sollevò pretese alla successione, invocando diritti già riconosciuti dalle disposizioni della defunta Regina Giovanna II, figlia di Carlo III di Durazzo. Giovanni d’Angiò si presentò per occupare il trono, appoggiato nelle sue pretese da quasi tutti i Baroni del Regno e dai Potentati d’Italia, ma non dal Duca di Milano e dal Papa Pio II, i quali si erano dichiarati in favore di Ferrante. Di conseguenza scoppiò una guerra fra i due Pretendenti, nel cui principio Ferrante aveva avuto la peggio e, stremato di mezzi per poterla sostenere in aperta campagna, era stato costretto a rifugiarsi in Bari dove venne assediato dal Principe d’Angiò e dal Piccinino. Vedendosi smarrito richiese l’aiuto di Skanderbeg invitandolo a recarsi in Italia in suo soccorso. Era vivo in Albania il sentimento di riconoscenza verso il defunto Alfonso d’Aragona e quindi l’invito di Ferrante fu accolto con entusiasmo da quelle popolazioni, che unanimi si dimostrarono liete di poter giovare al figlio di colui che aveva, con considerevole generosità, soccorso l’Albania in momenti difficilissimi.
Ma Skanderbeg si preoccupò del fatto che recandosi in Italia con una parte del suo esercito, avrebbe lasciato l’Albania esposta agli attacchi dei turchi, i quali, con ogni probabilità, avrebbero approfittato della sua assenza per invadere il paese, alla cui difesa avrebbero dovuto vegliare i suoi luogotenenti che, per quanto valorosi, non esercitavano sulle popolazioni quella autorevolezza necessaria ai capi nei momenti di pericolo. Quindi, Skanderbeg strinse un accordo con la Repubblica di Venezia, la quale s’impegnò a vigilare sulla difesa delle coste dell’Albania e di difendere i domini di Skanderbeg durante la sua assenza.
Nel mese di giugno del 1459[1], Skanderbeg fece riunire a Durazzo il naviglio inviato dall’Italia per trasportare il piccolo corpo di spedizione composto di circa 7.000 uomini, fra fanti e cavalieri, e con esso salpò alla volta di Bari dove sbarcò sul finire di giugno. L’arrivo di Skanderbeg e del suo piccolo esercito fece mutare, in breve, le sorti della guerra; il Duca d’Angiò fu costretto a rimuovere l’assedio da Bari e a ritirarsi verso l’interno. Skanderbeg, che aveva assunto il comando delle forze albanesi e napoletane riunite, lo seguiva incessantemente con calma; quotidianamente avvenivano brevi combattimenti, dai quali le truppe di Skanderbeg uscivano sempre vittoriose. Il Duca d’Angiò e Jacopo Piccinino, rendendosi conto del logorio inutile delle loro forze in questo lento campeggiare, si arrestarono in posizione di supremazia presso Ursara (l’attuale Orsara di Puglia) ed attesero il nemico. La battaglia combattuta in questo luogo decise la sorte dei due pretendenti al trono. Ferrante ne uscì vincitore soprattutto per opera delle sagge disposizioni prese da Skanderbeg e del valore delle truppe albanesi.


Guido Mazzoni. Ferrante d'Aragona. Museo Nazionale di Napoli. Foto Alinari

Nel medesimo istante in cui Ferrante affermava a Napoli la sua indiscussa autorità, espressa con modi subdoli, tiranni e talvolta crudeli, Skanderbeg proseguiva nelle operazioni di guerra all’interno del regno, sottomettendo uno dopo l’altro all’autorità di Ferrante i Baroni che avevano sostenuto il Duca d’Angiò; il suo intento gli riuscì efficacemente, tanto che nel successivo anno 1560 tutto il regno obbedì a Ferrante. Niente più tratteneva Skanderbeg nel regno di Napoli; soddisfatto di aver fatto fronte ad un debito di riconoscenza, contribuendo col suo valore e con le sue truppe a risollevare le sorti del figlio ed erede dell’amico suo Alfonso d’Aragona, egli si apprestò a rientrare in Albania col proprio esercito. Nei primi giorni di maggio del 1460 si congedò dal Re Ferrante, il quale, in segno di riconoscenza viva ed imperitura, lo investì con il titolo di Signoria delle città di Trani e San Giovanni Rotondo.
Giorgio Kastrioti si affrettava a rientrare nei propri territori dopo aver saputo che un esercito turco marciava rapidamente verso la Dibra superiore, approfittando dell’assenza del suo invincibile capo.
Si trattava in realtà di due eserciti, l’uno comandato da Sinan bey e l’altro da Hussein bey, che puntavano rispettivamente il primo verso la Dibra superiore e il secondo verso quella inferiore per ripetere la manovra di accerchiamento, già tentata una volta senza successo.
Usando la stessa tattica difensiva che lo aveva salvato la prima volta, Skanderbeg attaccò i due eserciti prima che potessero congiungersi, avvalendosi delle precise informazioni che gli erano giunte e della perfetta conoscenza che aveva dei luoghi.
Sinan bey fu sconfitto per primo, Hussein bey battuto e fatto prigioniero subito dopo. Non toccò miglior sorte nemmeno a Yussuf bey, sopraggiunto sul campo di battaglia con altri 18.000 uomini nei pressi di Scopia, nella piana di Pollogo, anche il suo esercito fu obbligato alla fuga dal valoroso Giorgio Kastrioti.

L’alleanza con Venezia

Ormai, solo l’eroica resistenza degli albanesi impediva a Maometto II, consolidatosi sempre più sul Bosforo, di dominare anche l’Adriatico, magnifica base per future imprese verso l’Italia.
Ma quanto tempo ancora avrebbe potuto resistere Giorgio Kastrioti, rimasto solo a tener fronte a Maometto II? E chi lo poteva aiutare? Skanderbeg non si fidava di Venezia.
Così, Giorgio Kastrioti Skanderbeg offrì la pace a Maometto II e questi fu lietissimo di accettarla.
Il 27 aprile del 1463[2] furono firmati i patti di comune accordo tra le parti.
Il mondo cristiano, fino a quel momento indifferente al destino degli albanesi e del loro capo e senza alcuna intenzione di prestare alcun aiuto per combattere la potenza turca, mostrò in ogni modo la sua disapprovazione.
Pio II si lamentò duramente con l’inviato di Skanderbeg, che ne calmò l’inquietudine promettendo che il suo signore sarebbe stato pronto a riprendere le armi se il Papa lo avesse voluto. Venezia, che per necessità di cose aveva cambiato il corso della sua politica, sosteneva che questa pace era stata stipulata contro gli interessi della Repubblica, consapevole che l’accordo fra Maometto II e Giorgio Kastrioti, si mostrava molto pericoloso per Venezia. I turchi, che avevano conquistato Trebisonda e occupato Lesbo, rinforzavano freneticamente la flotta navale, pronti ad affrontare le navi militari venete, le uniche che in Oriente potessero ancora contrastare il passo alla Mezzaluna.
A maggio, la Bosnia era stata interamente occupata dai turchi. La pace stipulata fra Maometto II e Giorgio Kastrioti mostrava i suoi frutti, perché lasciava al Sultano capacità di azione sull’Adriatico e la terribile minaccia delle armi turche adesso incombeva sulla città di Ragusa e sul territorio dalmata.
Venezia, orientata fino a qualche anno prima nel mantenimento di buoni rapporti con il Sultano, si accingeva a organizzare un blocco di difesa tra tutte le potenze intimorite dalla minaccia turca. Nel frattempo arma 4.000 fanti, sottoposti al comando di Bertoldo D’Este, pronti a offrire aiuto ad Alvise Loredan in Grecia, con lo scopo di riconquistare i paesi perduti e di salvare se possibile quelli in pericolo; adottando tutta la sua diplomazia per disfare la pace fra Giorgio Kastrioti e il Sultano. Non solo. Tentò di stringere un’alleanza con il condottiero albanese. Skanderbeg, in segreto, spedisce a Venezia l’albanese Andrea Snaticho, abate di Santa Maria di Rotezio, che si fece, in nome del suo capo, promotore di un’alleanza con la Repubblica.
Tale alleanza non si poteva paragonare a quella stretta con Alfonso d’Aragona. A Giorgio Kastrioti occorreva stringere un accordo con una potenza considerata nemica da troppo tempo, i cui interessi “adriatici” contrastavano con quelli albanesi. Sulla base di una precisa politica, bisognava unire le forze se si voleva far fronte al Sultano che minacciava di opprimere gli uni e gli altri.
Giorgio Kastrioti, si impegnava a riprendere la guerra contro i turchi, ponendo la condizione di poter ricevere un aiuto economico e militare. Il sostegno economico doveva essere fissato direttamente dal governo centrale e non dal provveditore veneziano in Albania, mentre il supporto militare doveva essere garantito per mezzo di una “galea” e una nave veneziana che annualmente tra aprile e giugno - periodo in cui i musulmani preferivano agire per le loro scorribande in terra albanese - avrebbero protetto le coste a tutela delle popolazioni minacciate.
Venezia dal canto suo, per il momento, data l’imminenza del pericolo avrebbe spedito prontamente in Albania 1.000 uomini, tra fanti e cavalieri, e consegnato 2.000 ducati per la guerra. Molte “galee” sarebbero partite verso le coste albanesi con lo scopo di frenare un eventuale attacco turco sferrato dal mare.

Dall’opera: M. Barletius – Historia de vita et gestis Scanderbegi Epirotarum principis – Roma 1506.

Intanto Venezia stringeva, a Petervàrad, un’altra alleanza col Re d’Ungheria, impegnandosi ad unire le forze terrestri e navali per una comune azione contro il pericolo musulmano.
Nel frattempo, in Morea, Bertoldo D’Este perdeva la vita. Per Venezia l’amicizia con Giorgio Kastrioti diventava di giorno in giorno più preziosa. Nel dicembre del 1463, ad una nuova richiesta di lui, vennero manifestate nuove garanzie sugli uomini che sarebbero stati inviati e sull’appoggio che la Repubblica avrebbe concesso a lui e alla sua famiglia nel caso in cui il Turco lo avrebbe cacciato dalle sue terre.
Il 19 luglio del 1463, anche il duca di Milano avvalorò la gloria acquisita da Giorgio Kastrioti. Ancora una volta l’albanese appare, in Italia, come l’unico uomo che possa far fronte al turco.
Quando i termini dell’alleanza col Venezia, tenuta segretissima, vennero resi noti in Albania, vari capi della fazione avversa alla Repubblica gridarono al tradimento e accusarono Venezia di voler fare l’interesse di Maometto II, permettendogli di attaccare ancora Giorgio Kastrioti. La questione cosi prospettata non rispondeva a verità, tuttavia queste voci diffuse sostenevano che il Sultano non avrebbe attaccato gli albanesi così ostinati a non sottomettersi. E si chiedevano se fosse stato saggio infrangere la pace, con Maometto II, per salvare la Repubblica che altre volte non aveva esitato a cercare quel modus vivendi calpestando gli interessi degli albanesi?
Certo, più degli albanesi e della stessa Cristianità, Venezia si preoccupava della propria sicurezza, tanto da farsi promotrice di un’alleanza stretta con Skanderbeg e i popoli confinanti con Maometto II, con lo scopo di salvare i propri territori. Ma se da un certo punto di vista queste fazioni sostenevano il giusto, dall’altra si illudevano che i Turchi, vinta anche Venezia, avrebbero mantenuto rapporti pacifici con gli albanesi che non potevano neppure più contare sull’appoggio del Re di Napoli. Ancora una volta si è reso necessario l’intervento dell’arcivescovo di Durazzo. Paolo Angelo convinse i dubbiosi facendo loro approvare l’alleanza, accogliendo favorevolmente Gabriele Trevisano mandato da Venezia in Albania con una cospicua scorta di denaro, per confermare tutti i patti.
Era necessario escogitare al più presto un pretesto per interrompere la pace con Maometto II.
La Repubblica di Venezia, per difendere i suoi possedimenti nel Peloponneso, era stata costretta nel 1463 a rinnovare le ostilità contro la Turchia e, per non trovarsi da sola nella lotta, aveva inviato alcuni ambasciatori ai Principi cristiani per convincerli ad unirsi ad essa nella guerra contro il nemico comune. L’ambasciatore veneto inviato a Croia, trovò Skanderbeg disposto ad assecondarlo, ma gli altri Principi albanesi, riuniti a consiglio per esaminare e discutere le proposte della Repubblica, furono unanimi nel respingerle, poiché non ravvisavano motivi ragionevoli per interrompere una pace, scrupolosamente osservata da Maometto II, che garantiva notevoli vantaggi a tutta l’Albania. Skanderbeg, a malincuore, si arrese alla volontà espressa dal Consiglio, di diverso avviso fu l’ambasciatore veneto, il quale si recò a Durazzo con l’intento di indurre l’Arcivescovo, Paolo l’Angelo, ad intromettersi nella questione ed interporre la propria influenza ed i suoi consigli per convincere i Capi albanesi a cambiare idea. L’Arcivescovo si recò a Croia e alla presenza di Skanderbeg, dei suoi principali Luogotenenti e dei Principi uniti, appositamente convocati a consiglio, si espresse in favore di un’azione di guerra. Dispensò tutti dall’impegno del giuramento prestato al fine di interrompere la pace col turco, ricorrendo alle preghiere in nome anche del Sommo Pontefice e minacciando a chi ancora esitava l’ira della Chiesa, così da riuscire a indurre la maggior parte dei convenuti a decidere favorevolmente per la guerra. Skanderbeg che non aspettava altro, in pochi giorni riunì un buon numero di truppe e, quasi temesse che i suoi aggregati potessero cambiare idea, irruppe con esse improvvisamente, nel mese di aprile 1463, nel territorio turco ponendolo a ferro e fuoco. Tale irrispettosa violazione dei patti giurati attuata da Scanderbeg, sorprese e irritò fin troppo i musulmani, i quali erano stati rigidi e leali osservatori della pace stabilita. Tuttavia Maometto II non volle all’istante ricorrere alle armi. Piuttosto inviò a Skanderbeg un messaggero con una lettera, trasmessa da Costantinopoli il 7 maggio 1463, con la quale muoveva ai Capi albanesi acerbi rimproveri per la mancata fede e li esortava in nome dell’onore e della coscienza a non violare ulteriormente i patti giurati. Questa lettera, dal nobile contenuto e colma di elevati sentimenti, avrebbe probabilmente prodotto l’effetto desiderato da Maometto II, solo se in quei giorni l’Arcivescovo di Durazzo non avesse resa pubblica in tutta l’Albania una bolla di Papa Pio II con cui si esortavano tutti gli Albanesi a interrompere la pace col turco assolvendoli, per tale circostanza, nelle loro coscienze dal giuramento fatto. Il 25 del mese di maggio 1463, Skanderbeg rispose al Sultano con una lettera in cui dichiarava essere impossibile la pace fra lui e gli infedeli, manifestando ferma speranza e convinzione di uscire vincitore nella lotta.
Il pretesto per interrompere la pace con il Sultano si concretizzò.
In parte, il merito e anche la responsabilità dell’alleanza fra la Repubblica e Giorgio Kastrioti era riconducibile al pontefice Pio II che vedeva più vicino il giorno in cui il sogno al quale aveva dedicato tutta la sua vita si sarebbe realizzato. Sognava una crociata cristiana contro l’infedele turco.


Giovanni Santi. Pio II. Palazzo Barberini, Roma. Foto Alinari. 

Il Papa Pio II, nel suo fervore religioso, era quasi riuscito a promuovere una nuova crociata contro i Turchi, inducendo i Principi cristiani ad inviare forti contingenti di truppe ad Ancona, dove si costituì di fatto, nella primavera del 1464, un numeroso esercito di cui doveva prendere il comando il Doge di Venezia il quale, accompagnato dal Papa, doveva sbarcare a Durazzo per riunirsi con le truppe di Skanderbeg e marciare quindi su Costantinopoli; mentre il Re d’Ungheria, a sua volta, si sarebbe mosso all’attacco sul Danubio. Tutto ciò faceva ritenere che il grandioso progetto fosse pronto per realizzarsi. Pio II era già ad Ancona nel luglio del 1464, ai primi di agosto vi giunse il Doge di Venezia; l’esercito cristiano si disponeva per imbarcarsi sulle “galee” venete. Ma in tali momenti decisivi venne a mancare il promotore, l’anima della grande impresa, il Pontefice si ammalò improvvisamente e morì il 14 agosto del 1464, proprio nello stesso giorno in cui Scanderbeg conseguiva, sui confini della Macedonia, un’altra vittoria a danno delle truppe turche, sotto il comando di Seremet Pascià. La morte del Papa pose fine all’impresa, l’esercito dei confederati, riunito nei paraggi di Ancona, si sciolse; i Principi cristiani si trassero fuori dalla lega e Skanderbeg rimase da solo contro tutte le forze che Maometto II aveva riunito per far fronte alla crociata promossa contro di lui dal pontefice Pio II.

Elton Varfi

NONA PARTE 

Bibliografia

Historia e Skënderbeut, Marin Barleti. Tirana 1968.

L’Albania ed il Principe Scanderbeg, F. Cuniberti, Roux Frassati e C° Editori, Torino 1898.

Storia di Scanderbeg, Fan S. Noli, (versione di Francesco Argondizza),Roma 1924.

Scanderbeg, Alessandro Cutolo, Milano 1940. 






[1] Su questo intervento di Skanderbeg in Italia gli autori che hanno scritto sull’eroe albanese, sono discordi circa la data e gli avvenimenti di guerra, cui egli prese parte. Il Barlezio, e quelli che a lui si riferiscono, scrivono che Skanderbeg andò in soccorso di Ferdinando nel 1460. F. Cuniberti invece nel suo libro “L’Albania ed il Principe Scanderbeg” sostiene che Giorgio Kastrioti partì per l’Italia appunto nel 1459.
Cosi argomenta; “è incontestato che la data della pace conclusa in seguito fra Maometto II e Skanderbeg è il 22 giugno 1461, e che essa fu preceduta da uno scambio di lettere nell’antecedente mese di maggio; ed é pure ammesso da tutti che. fra il ritorno dall’Italia e la conclusione della pace, corse un periodo di ostilità chiuso dell’Albanese solo dall'inverno; tal periodo d’ostilità dovette svolgersi evidentemente nel 1460, e se esso si svolse dopo il ritorno di Skanderbeg, é anche evidente che questi deve essere andato in Italia nel 1459 essendosi in essa fermato quasi un anno”.


[2] La data 27 aprile 1463 lo scrive A. Cutolo nel suo libro “Scanderbeg” pagina 159. Invece F. Cuniberti sostiene che la pace fra Maometto II e Giorgio Kastrioti si è conclusa il 22 giugno 1461. F. Cuniberti ,“L’Albania ed il Principe Scanderbeg”, pagina 93.

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