NONA PARTE


Appendice

Maometto II quando apprese della morte di Skanderbeg, esclamò: “Un tale leone non nascerà più nel mondo! Ora l’Europa e l’Asia sono mie! Povera Cristianità, le son venute finalmente a mancare la spada e la difesa!”[1]
L’intenzione del sultano era ovviamente la conquista di Roma.
Dopo la morte di Giorgio Kastrioti la guerra, tra gli ottomani e albanesi, continuò per altri undici anni ed era chiaro che, questa volta, non poteva concludersi, se non con la completa vittoria di una delle due parti. Come era altrettanto chiaro che proprio gli albanesi sarebbero stati gli sconfitti. L’impero ottomano era una fonte inesauribile di uomini, mentre le forze militari albanesi si mostravano sempre più ridotte quasi ad esaurirsi; inoltre i turchi costituivano una nazione compatta che cingeva il sultano, sia per fanatismo sia per disciplina, mentre gli albanesi non si rivelavano solidali e coesi fra di loro. Solo la spiccata intelligenza di Skanderberg riuscì a unirli, seppur per un lasso di tempo molto breve, allo scopo di far fronte congiuntamente al colosso turco. Il vero evento si concretizzò, già dopo la morte di Giorgio Kastrioti, con l’alleanza stretta tra gli albanesi e Venezia che insieme sostennero la guerra contro il sultano per ben undici anni ancora.

Dall’opera: M. Barletius – Historia de vita et gestis Scanderbegi Epirotarum principis – Roma 1506.

Il figlio, principe Giovanni Kastrioti, appena dodicenne alla morte del padre, pur avendo i titoli dinastici, poiché ancora adolescente, non era in grado di mettersi alla guida della Lega degli Principi, del resto non aveva ereditato le singolari doti del padre. Nel 1474 egli consegnò Croia e il regno paterno alla Repubblica di Venezia e con sua madre si recò in Trani di Puglia.
Le regioni dell’Albania, già divenute possesso dei turchi, venivano affidate a un nipote di Skanderbeg, convertito alla religione musulmana e quindi al servizio del sultano. Alla morte di Giorgio Arianita, avvenuta nel 1461, gli unici Principi guerrieri rimasti furono Lek Dukagini e Giovanni Musacchio. Ma l’immane vera tragedia si realizzò quando gli albanesi deposero la penna. Nessun cronista scrisse più nulla della guerra negli anni dopo la morte di Scanderberg. Con certezza conosciamo solo l’assedio di Croia e di Scutari che ci vengono riferiti dal Barlezio.[2]
Due volte all’anno, durante la mietitura e la vendemmia, gli eserciti turchi si presentavano dinanzi alle fortezze di Croia, Durazzo, Alessio e Scutari, difese da guarnigioni veneto-albanesi. Proprio dinanzi alle porte di Croia, i turchi avevano edificato una fortezza munita di una poderosa guarnigione, per continuare l’assedio della fortezza, che avevano invano tentato di espugnare.
Ahmet bey, nella primavera del 1477, assediò Croia avvalendosi di un esercito di 8.000 uomini. Il numero ridotto degli uomini impegnati in questo assedio, rende l’idea di quanto si sentivano sicuri gli ottomani dopo la morte di Skanderberg. Eppure, non molto tempo prima, dinanzi a quelle mura avevano provato e fallito l’assedio eserciti di gran lunga più numerosi e guidati dagli stessi sultani, Murat II e suo figlio Maometto II.
Il comandante di Croia era il veneziano Pietro Vettori. Ahmet bey non perse né tempo e né uomini in vani attacchi, poiché era convinto che Croia non potesse essere presa con la forza. La sua strategia prevedeva di continuare l’assedio finché la fortezza non si fosse arresa per la fame.
Un esercito veneto-albanese di 13.000 uomini sotto il comando di Scutari Francesco Contarmi e Lek Dukagini, venne il 6 settembre 1477 per liberare Croia, assalì e vinse Ahmet bey nella pianura di Tirana la Piccola, 4 miglia lontano da Croia, rimanendo padrone del campo nemico.
Invece di inseguire e di disperdere ciò che rimaneva dell’esercito di Ahmet bey, Contarmi e Dukagini lasciarono che le loro truppe si sparpagliassero a far bottino nel campo nemico.
Ahmet bey appena capì le intenzioni dell’esercito veneto-albanese, le assalì di notte e le sbaragliò. Lo stesso comandante veneziano Contarmi rimase ucciso. Dopo questa disfatta, Venezia, attaccata da più parti dagli eserciti turchi, a Scutari, in Dalmazia, sull’Isonzo e sul Tagliamelo, esausta degli enormi costi sostenuti per questa guerra, indebolita dalla compagine militare, abbandonò Croia al suo destino.
Con le provviste tolte ai turchi nella battaglia di Tirana Piccola, la guarnigione riuscì a resistere per tutto l’inverno. Poiché l’assedio durò tredici mesi, le scorte si esaurirono senza possibilità di ricevere aiuti stranieri, quindi la guarnigione e i Croiani decisero di trattare per la resa. Quando arrivò loro la notizia dell’assedio di Scutari per mano del sultano Maometto II, il 15 giugno 1478 inviarono ambasciatori nella capitale turca, proponendo di consegnare la fortezza a condizione di uscire senza impedimenti con l’onore delle armi e con i loro beni. Il Sultano vide di buon grado questa condizione, ma successivamente la contravvenne con la sua solita perfidia. Lasciò dunque che i Croiani e la guarnigione uscissero dalla fortezza, che rimase così in suo potere, ma subito dopo ordinò che gli uomini venissero sgozzati, le donne e i fanciulli resi schiavi e che fosse risparmiata solo la vita al comandante veneziano e a quei capi che, ritenuti ricchi, potevano essere riscattati con il danaro. In questo modo, il Sultano Maometto II, si vendicava delle sconfitte subìte da lui, da suo padre Murat II e dai suoi generali dinanzi a Croia. Dopo aver sottomesso gli abitanti, i Turchi vollero cancellare persino il nome di Croia sostituendolo con Ak-Hissar, ovvero Castello Bianco. Durante la stessa primavera caddero le fortezze di Alessio, di Drivasto e di Zabiacco.

Maometto II contro Venezia in Albania. (Venezia - Calle San Maurizio) 

Il 25 gennaio 1479, dopo un secondo assedio di quindici mesi e una difesa eroica, Scutari capitolò per fame e anch’egli concordò la medesima condizione che la guarnigione e gli abitanti ne uscissero liberamente con l’onore delle armi e i loro beni. Il Sultano Maometto II, questa volta non disattese il patto, poiché il comandante veneziano, Antonio de Lezze, chiese e ottenne dal Sultano alcune persone quale pegno della sua lealtà. I profughi Scutarini si stabilirono in Venezia con l’aiuto della Repubblica. Un giorno, prima che Scutari cadesse, Venezia aveva fatto pace con la Turchia, alla cui mercé abbandonava l’intera Albania, eccetto Durazzo. Tutti i Principi albanesi che, in virtù dell’alleanza con i Veneziani, avevano combattuto contro i Turchi, furono abbandonati al loro destino.
Ugualmente ricercati, tutti gli altri Principi albanesi trovarono scampo nella fuga o nella conversione alla religione maomettana. Molte migliaia di albanesi, non potendo sottomettersi al dominio turco, si dispersero in Europa e principalmente in Italia, dove, in circa 200 mila, conservarono la lingua, i costumi e le tradizioni nazionali. Quando gli “albanesi d’Albania”, alcuni secoli dopo, dimenticarono Skanderbeg e il suo nome, gli “albanesi d’Italia” conservarono la memoria dell’Eroe nazionale nei canti e nelle leggende tradizionali.
Il Papa Paolo III in una lettera a Filippo, duca di Borgogna, così descrive la condizione di questi rifugiati : “Nessuno, senza versar lagrime, può riguardar, per i porti d ’Italia, questi profughi i quali, affamati e cenciosi, essendo stati scacciati dalle loro case, che trovansi sulla costa del mare, alzano supplichevoli le mani al cielo, e piangono e fanno lamenti in una lingua che non intendiamo”.
Nel 1481, il figlio di Skanderbeg, Giovanni Kastrioti, venne chiamato dagli albanesi, passò dall’Italia all’Albania, dove non solo si impadronì, con l’aiuto dei Chimariotti, di una gran parte del regno paterno, ma vinse anche un esercito turco di 2000 uomini inviatogli contro[3].
L’insurrezione si estese al nord e al sud e durò alcuni anni. Successivamente altri capi e molti albanesi cercarono rifugio in Italia. Tuttavia questa volta il Re Ferrante di Napoli non permise l’ingresso nel suo Stato a Giovanni Kastrioti e neppure agli albanesi e non li lasciò sbarcare né a Palermo né a Napoli, temendo una guerra col Sultano. Allora Giovanni si recò a Roma per supplicare il Papa, il quale sistemò i contrasti e gli albanesi riuscirono a fissare le loro sedi in Sicilia e in Calabria, ma non in un determinato territorio per rimanervi uniti, bensì sparsi in zone diverse; non riconoscendo loro alcun diritto nel costruire città o fortezze[4].
Nel 1488 Giovanni Kastrioti fece un secondo tentativo per acquisire nuovamente il regno paterno e nel 1500 lo troviamo a Venezia dove il Senato, con un decreto del 9 aprile dello stesso anno, deliberava per inviarlo, con uomini e denaro, in Albania. Nel 1499 i Turchi si impossessarono a tradimento di Durazzo strappandola ai Veneziani, i quali a loro volta tolsero Alessio ai Turchi. Da lì a breve la Turchia e Venezia stipularono la pace il 14 dicembre 1502, in forza della quale tutta l’Albania rimaneva sotto l’egida del Sultano, eccetto Antivari e Dulcigno, che vennero comunque prese nel 1571. Così nel periodo di transizione in cui l’Europa usciva dal Medioevo ed entrava nel Rinascimento, l’Albania veniva cancellata dalla lista degli Stati liberi e cadeva sotto l’aberrante giogo di una potenza barbara, che, per ben quattro secoli, la tenne serva ed oppressa. Il paese divenne squallido e deserto, il commercio si arrestò, la civiltà si estinse, ogni legame con l’Europa fu spezzato. Le fortezze e le città, fiorentissime al tempo di Skanderbeg e ornate di palazzi e di monumenti, principali tra esse Petrella, Petralba, Stellusio, Tornazio, Sardo, Drivasto, Dania, Vulpiano e Sfetigrado, scomparvero senza lasciare traccia; altre, come Croia, Durazzo, Scutari, Alessio, Valona, Kanina, Berat e Argirocastro, decaddero a mano a mano e rimasero come ombre della perduta bellezza e dell’antico splendore. Di quanta importanza fossero state per l’Europa le guerre sostenute da Skanderbeg si vide dopo la caduta di Croia e di Scutari.
Nel 1480 il Sultano Maometto, appena conquistò l’Albania, si scagliò contro l’Italia.
L’ammiraglio Ahmed Giedik pascià, un rinnegato albanese, a capo di una flotta e di un esercito potente, partì da Valona alla volta di Otranto. Non appena la conquistò, si preparò all’avanzata verso Roma. L’Italia fu in preda al panico, il Papa pensò di fuggire. Ma il 3 maggio 1481 il Sultano Maometto II, nel corso dei preparativi per la conquista dell’Europa, morì.
Avrebbe certamente raggiunto questa sua grande ambizione se l’Albania, sotto il comando di Skanderbeg, non glielo avesse impedito. Questo è un grande merito da assegnare a Skanderbeg. Se le Nazioni europee lo avessero aiutato nella misura necessaria, Skanderbeg avrebbe reso assai maggiori servigi ed avrebbe potuto battere la potenza turca. Ma l’Europa si mostrò indecisa e il destino volle che Papa Pio II, uno dei pochi che apprezzava Skanderbeg, venisse a mancare proprio nel momento in cui si preparava a transitare in Albania al comando dei crociati europei.
Si racconta che quando presero Alessio, i turchi aprirono la tomba di Skanderbeg, ma non per profanarla, bensì per dividersi tra loro le sue ossa, che successivamente vestirono di oro e di argento che appesero al collo come sacri amuleti, perché accrescessero il loro coraggio e li preservassero dal piombo nemico.
Giorgio Kastrioti, grandissimo guerriero e diplomatico tra i più prudenti, riuscì a conciliare le simpatie delle potenze europee, le quali man mano gli offrirono il proprio aiuto morale e materiale per continuare la guerra della libertà e solo lui, in tutta la storia nazionale albanese, riuscì a organizzarli in un unico esercito regolare, nonostante fossero dei ribelli che mal sopportavano la figura di un comandante che li guidasse.
Scrivere di Giorgio Kastrioti è come se si scrivesse di arte afferendo a uno dei più grandi artisti di tutti i tempi come Michelangelo. Non so quanti chilometri di carta e quanti fiumi d’inchiostro sono stati utilizzati per la stesura di centinaia di libri, saggi e quant’altro sulla sua figura. Vivaldi gli dedicò un’opera musicale, Rembrandt, fra tanti altri pittori, lo ritrasse nelle sue opere. Molti pensatori, uomini di fede, scrittori e filosofi si sono espressi su questa gigantesca figura.
Fallmerayer, malgrado la sua critica oggettiva, così ci ha tratteggiato Skanderbeg: “Giorgio Kastrioti è da porre tra ì capitani più compiuti, tra i più fortunati e tra i più geniali del mondo. Finché visse, egli assicurò la libertà della Nazione; ma questo fatto egli non poteva trasmettere come eredità ai nipoti suoi, così come non lo poterono i suoi compatriotti illustri Pirro e Alì pascià; tuttavia egli eccelle sopra costoro non solo per grandezza morale, ma altresì nella fortuna di aver portato a termine le sue imprese, in mezzo allo splendore della fama, vincitore coronato di lauro e vinto solo dalla morte”.
Eliseo Reclus lo elogiò con parole tanto vere quanto meritate: “Fu santo come San Luigi, diplomatico come Talleyrand, valoroso come Alessandro Magno”.
Papa Calisto III, rispetto al quale gli storici affermano di essere sempre misurato nelle parole e che mai nessuno lo aveva udito dispensare complimenti per lusingare l’amor proprio nei confronti di altri, l’11 settembre 1457 scrisse queste parole a Skanderbeg: “Nemo enim tantum ignarus rerum qui non summis laudibus ad coelum te extollat, et de tua nobilitate tamquam de vero Athleta et propugnatore nominis christiani non loquatur”.[5]
Ponendo fine alla nostra storia, possiamo concludere e affermare che la figura di Skanderbeg non ha bisogno di presentazioni, ma credo che ogni albanese debba fare proprie le gesta e lo stile di vita da egli interpretato per non dimenticare a quale personaggio di grande caratura diede i natali il nostro Paese.


[1] Storia di Scanderbeg, Fan S. Noli, (versione di Francesco Argondizza),Roma 1924.

[2] De Expugnatione Scodrensi, Marino Barlezio Venezia, 1504.

[3] Annali di Domenico Malipiero. (Pisko : Scanderbeg, p. 160).

[4] La storia di Giovanni Kastrioti ,il figlio di Scanderbeg, è narrata, secondo le tradizioni popolari italo-albanesi, da Agostino Tocci nel 1650. Questo manoscritto fu pubblicato nella rivista La Bandiera d ’Albania.

[5] “Non v’è uomo al mondo il quale ignori le tue eroiche imprese, e che con le lodi più grandi non ti innalzi al cielo, e che non parli di te come di un vero campione e di un difensore magnanimo della Cristianità”

Elton Varfi

Bibliografia

Historia e Skënderbeut, Marin Barleti. Tirana 1968.

L’Albania ed il Principe Scanderbeg, F. Cuniberti, Roux Frassati e C° Editori, Torino 1898.

Storia di Scanderbeg, Fan S. Noli, (versione di Francesco Argondizza),Roma 1924.

Scanderbeg, Alessandro Cutolo, Milano 1940.

0 Commenti