Una giornata storica

Giulio Caprin

Trieste, 6 marzo 1914.


Avevo chiesto al mio amico carissimo collega di collaborazione Simplicius un ritratto, fosse pure immaginario, del sovrano di nuova nomina principe Wied, Mbret di Albania. Il collega mi rispose:
“Soggetto interessante; ma difficile. Alle volte sembra lontanissimo nello spazio e nel tempo: un anacronismo che si incarna per sbaglio sulle rive del Reno; il più potente dell’obiettivo non riesce a coglierlo con qualche esattezza. Poi tutto a un tratto ce lo troviamo troppo vicino. E allora la mia macchina, con l’obiettivo tipo fantasia, non serve: lo renderebbe troppo brutto, per lo meno ridicolo. Il che sarebbe ingiusto: nella sua situazione c’è qualcosa che richiama le solite situazioni comiche del principe balcanico dell’operetta, ma c’è anche una certa atmosfera romantica di regalità da leggenda. Può averla sognata con cuore puro, la sua inattesa avventura coronata, quest’uomo che ha nel sangue qualche ombra di pura fantasia germanica: sua zia, Carmen Silva, lo chiama Lohengrin. E il suo destino è serio anche se a combinarglielo è stata una volontà non troppo seria, l’accordo delle grandi Potenze. Io non oso indovinare che cosa ci sia veramente dentro codesta uniforme nuova: potrebbe esserci soltanto del automatismo rassegnato, ma potrebbe anche esserci della fede attiva. Dunque della passione, perlomeno dell’illusione; si l’una ossia l’altra, due cose che si debbono rispettare. Se proprio ci tieni a fartene un’idea personale del principe Wied, contentati di guardarlo dal di fuori. Vedi di incontrarlo in un momento buono.

L'ILLUSTRAZIE ITALIANA - 15 MARZO 1914

Il momento non poteva essere più buono. Il momento in cui il nuovo sovrano, per volontà delle Potenze e per grazia di Essad pascià, finito il giro di visite ai suoi molti tutori, uditi i savi consigli delle sue idealizie - le diplomazie - appare finalmente in figura di Sovrano; si imbarca per il suo regno che non ha mai visto: ma con i segni della sovranità riconosciuta da coloro che glie lo hanno regalato, alza la sua bandiera sopra una nave che, quantunque imprestata, e la nave del suo destino di re. Ora veramente il capitano prussiano, il Patrizio tedesco, comincia a sentirsi Mbret albanese. Dicono che Mbret sia un’abbreviazione skipetara di Imperator: niente di meno! È il giorno in cui Guglielmo di Wied, anche tra i ricordi confusamente stanchi di molti giorni di viaggio e di banchetti, non si dimenticherà più. Finisce la corvèe preparatoria e comincia la spedizione oggi, a Trieste.
Non poteva essere a Trieste. L’avventura albanese del principe tedesco voluta dall’Austria e dall’Italia, accettata dalla Russia, tollerata dall’Inghilterra e dalla Francia doveva muover di qui. E qui che confluiscono come ad un certo destinato, il mondo occidentale latino, il mondo settentrionale germanico e quello orientale, nella città italiana dell’Austria. Il principe renano, che è vissuto trentotto anni, probabilmente senza pensare che sull’Adriatico intersecano queste grandi linee della storia, oggi potrebbe accorgersi; e non sarebbe una preoccupazione di meno domani balcanico sotto vigilanza internazionale. Di certo qui in faccia al mare, egli ha l’impressione di abbandonare oltre che la terra ferma anche la solida civiltà europea. Ma che cosa è veramente questa civiltà politica europea in nome della quale deve partire? Troppo, in questi giorni di viaggio, gli è apparso in uniformi differenti è in più differenti sottintesi. Partiamo: Lohengrin non ha paura del mare; il cigno che lo condurrà all’ambigua Elsa albanese è un cigno di 1300 tonnellate che conosce bene le acque d’oriente: è il yacht che prima serviva l’ambasciatore austriaco di Costantinopoli, il Taurus. Lo aspetta, bianco in mezzo a una grigia squadra internazionale, davanti alla diga di Trieste.

Foto di Aldo Molinari: Il yacht austriaco "Taurus" sul quale viaggiarono da Trieste a Durazzo i Sovrani d'Albania

A Trieste - guardate la combinazione - arriviamo contemporaneamente, il Principe destinato è l’umile osservatore che aveva curiosità di vederlo partire. Arriviamo però da due stazioni opposte: il principe che viene dal Nord scende alla stazione meridionale: l’Adriatico e gli è apparso improvviso all’uscita del tunnel di Opicina, da cui il treno precipita verso la città. All’uscita di quel tunnel l’apparizione di questo mare, in tutti, anche in chi lo ha visto sempre, mette un balzo di meraviglia e d’ansia. Si ha l’impressione precisa di aver abbandonato un mondo e di affacciarsi alla soglia di un altro.
Ma il principe forse si è distratto a contar quanti colpi di cannone gli toccavano, primo saluto della batteria di Santa Teresa. Se non rimbomba se il cannone, nemmeno il cronista che arriva la stazione opposta, si accorgerebbe che Trieste è ufficialmente è internazionalmente festante. Vale a dire che si possono ammirare, issate in vetta agli uffici pubblici, delle bandiere giallo nere: insegne di gioia abbastanza rare anche in Austria, che per gli usi quotidiani usa comunemente la bianca e rossa di pace.
Quanto al popolo, a Trieste il giorno di lavoro, a mezza mattina, c’è poca gente che lascia il lavoro per assistere ad un imbarco internazionale e fatale. Nella foschia di scirocco che mette una nota di squallore sulle sue pietre chiare, la città non ha stamani una fisionomia eccessivamente festante. La festa è quasi tutta sul mare: bandiere in vetta agli alberi delle navi, gran pavese variopinto sul sartiame. Niente di più internazionale, in qualunque porto del mondo, del gran pavese: dà l’impressione di un bucato stranamente policromo messo ad asciugare; e in quello sventolio confuso di tutti i colori non si riescono a distruggere i colori fondamentali delle bandiere che dicono la nazionalità della nave. Che ci sia anche quella albanese?
Sicuro: l’aquila bicipite in campo rosso - ed è issata sul Taurus che aspetta l’ospite. Ha poco da aspettare: come un modesto viaggiatore privato che, per arrivato al porto d’imbarco, va a ispezionare la cabina fissata da altri, il Mbret deve sentirsi molto rassicurato, almeno per questo lato. Degli albanesi che sono andati ad incontrarlo alla stazione avevano un’aria così deferente di persone squisitamente civili! Non deve essere poi proprio impossibile convincere anche quelli altri che è una gran bella cosa diventar civili al europea!
Modestamente, dall’umile lancia, mi permetto anch’io l’illusione di passare in rivista la squadra. Il mare molte boe, ma pochissimi gendarmi che ci impediscono di avvicinarci… Evidentemente si e convinti che in caso di bisogno le corazzate saprebbero difendersi da sé. Prima una dreadnought austriaca, la Tegetthoff, poi la Zrinyi, poi l’Admiral Spaun, tutte austriache. Siamo a fianco della Gloucester, inglese: sulle murate sono schierati i blue jackets con il cappello di paglia - tenuta mediterranea e primaverile - e le tuniche rosse della fanteria marina. Il Principe sta visitando l’incrociatore inglese. Eccolo che scende dal ponte di comando. E alto si, ma non quanto si diceva a terra: si parlava di un uomo di due metri di altezza. Non è impossibile del resto che la bella statura abbia influito sulla scelta: rientrerebbe in quel criterio del prestigio di cui la grande politica internazionale tiene un gran conto. In Albania che cosa avrebbe potuto fare un ometto come Napoleone? E Guglielmo di Wied, mi assicurano, è anche fortissimo: al reggimento alzava con un braccio solo un suo collega. Non si curverà certo per il peso della responsabilità che gli è affidata, questo sovrano.

Foto di Aldo Molinari: I Sovrani d'Albania sulla banchina del porto di Trieste.

Ora, scendendo dal ponte di comando, è costretto a curvarsi soltanto per l’alta da statura esagerata dallo spennacchio bianco che abbellisce il suo candido copricapo. L’uniforme di cui lo hanno rivestito farà certo un gran bell’effetto a Durazzo. Qui non si può ammirarne che la complessità politica e simbolica. Il panno grigio-azzurro e la forma della tunica, diciamolo pure, risente del taglio prussiano. Ma la disposizione degli alamari neri richiama agli albanesi l’idea dei cordoncini intrecciati a ricamo sulle loro casacche. Per l’imparzialità fra le religioni che dividono i suoi sudditi, i galloni del sovrano sono stati condotti su un disegno che evita tanto la croce - vuoi greca, voi latina - quanto la mezza luna. Quanto al copricapo e indiscutibile che si tratta di un Fez bianco albanese un pochino, per così dire colbaccato; più quel invidiabile asprit che, se non è albanese, e di certo balcanico. Non deve essere stato facile combinare una combinazione così simbolica.
Ora il Mbret così ben vestito, con la sua signora che, almeno lei, potrà continuare a vestire come una elegante signora europea, scende dal barcarizzo della lancia. Proprio non deve avere troppa familiarità col mare: lo rivela il passo incerto dell’uomo che ai cavalloni senza dubbio preferisce i cavalli.
Da vicino ha un’espressione meno prussiana di quella chi danno in genere i ritratti. Guarda molto intorno a sé sorride, pare che cerchi dei volti che gli sorride. Forse ne ha bisogno. E anche la principessa mostra come un espansivo imbarazzo della sua nuova regalità. Intorno alla loro lancia ora che sono scesi dalla Gloucester e il fischietto dei capi cannonieri propaga l’ordine di star pronti per le salve di saluto, non c’è nessuno. Ma la principessa saluta ancora destra-sinistra. Ispira una simpatia confidente: le rispondiamo con i fazzoletti e con un sentimento meno automatico di quello che basta per il dovere di cortesia internazionale. Chi oggi è stato vicino alla principessa ci assicura che essa non ha voluto nascondere la sua ansia trepidante. Anche i cuori delle regine tremano. E dinanzi al loro visibile tremito non si riesce più ad essere repubblicani.

Foto di Aldo Molinari: Gli alunni delle scuole di Tirana sfilano sotto il Konak

Il principe ha parlato poco ma ascoltato molto. In tutte le lingue. Il Podestà di Trieste non gli ha parlato che in italiano e il Mbret ha risposto che facesse pure, perché lo capiva. Speriamo che in Albania non gli manchi l’occasione di impararlo sempre meglio.
Dalla Gloucester passa alla Bruix francese. Altro saluto alla voce dei matelots schierati, altre salve, altra polvere…
La nostra rivista è finita. Nella squadra internazionale, qui in rada, non figura né la Germania né l’Italia. È uno dei casi in cui gli assenti non hanno torto: l’assenza qui significa più che la presenza. A Trieste - che e città politicissima e di politica internazionale discorre infinitamente, anche quando ne sia colpa che di striscio - si parla molto della Germania che non c’è, mentre c’è. La Breslau - l’incrociatore germanico che da due anni, chissà perché, è sempre ospite dell’Adriatico - è in cantiere di San Marco: un altro incrociatore germanico e a Pola. Tutti lo sanno. E tutti sanno anche che in questo giuoco albanese dell’Italia e dell’Austria la Germania si dà da fare molto più che non sembri. E il principe Wied, quando non riuscirà precisamente a capire quello che vorranno tante brave persone a lui poche conosciute, guarderà intendersi con i soli che conosce bene: con la Germania, il principe tedesco.

Foto di Aldo Molinari: Essad Pascià con il colonnello Philipp, il colonnello della gendarmeria olandese e i membri della Commissione di Controllo

Quanto all’Italia… un giornaletto umoristico locale paragona questo giuoco internazionale ad una partita a briscola. I tre giocatori sono un comandante austriaco, uno francese ed uno inglese. Vorrebbero attaccare la partita qui in porto: ma si accorgono che manca il quarto. Anzi la “Quarto”, l’incrociatore italiano che ieri sera era sotto pressione a Venezia, agli Alberoni.
Trieste guarda verso il largo. La foschia non lascia guardare lontano. La Quarto è sempre agli Alberoni? No: è assai più vicina, tra Pirano e Capodistria a due o tre miglia da terra, quanto basta per non esser quasi veduta oggi che il mare è caliginoso. Era meglio che entrasse nel porto di Trieste anche la Quarto. No, è meglio che non ci sia. Meglio anche per la polizia che deve mantenere l’ordine a terra e in mare. Molti triestini si erano accordati per noleggiare un piroscafo andare incontro alla nostra nave che non può accostarsi. Hanno delle curiosità così curiose questi triestini. La polizia che doveva dare il permesso per la innocua giterella in mare non ha risposto né sì né no: probabilmente permetterà la che la gita sia fatta, domattina quando il Mbret , la sua scorta e anche la Quarto saranno lontani, forse all’altezza di Lissa.
Ma che la Quarto non dovesse venire a Trieste sono concordi tutti: anche triestini troppo curiosi di vederla, di confrontarla di dirle qualche cosa. Dal 1866 nessuna nave da guerra italiana è venuta a Trieste. Non sarà l’Austria che avrà il diritto di dolersene: si immagini che Trieste assomiglia a Roma e che le corazzate italiane abbiano la sensibilità religiosa per cui un Principe austriaco ufficialmente non verrà mai a Roma. Tanto anche così l’alleanza pare che prosperi. La Zeit ha torto di brontolare che il governo alleato fa - scusate la parolaccia proibita - del irredentismo.
È bene non turbare oscenicamente la partenza di quest’uomo che non ha paura ma che ha diritto di non essere frastornato eccessivamente in questo suo primo giorno di vita adriatica. Possibile che su un così piccolo mare debbano avvenire cose tanto complicate?
Il Principe non ha paura salpando per il suo incerto destino. Non ha nemmeno pregiudizi. E prima d’imbarcarsi definitivamente è andato a Miramar. Miramar, il castello dei fantasmi: ci vagola ancora l’ombra di Massimiliano che ne partì per la morte, di Carlotta che ne salpò per la pazzia. Analogie lontane si affacciano alla coscienza in questa giornata storica su questo mare pieno di destini. Il Mbret ritorna sorridente anche da Miramar. Ora è totalmente sovrano, sale sul suo yacht, prende il comando e ordina alla partenza.

                                   
Foto di Aldo Molinari: I Sovrani sul balcone del Konak salutano la folla plaudente


Alle cinque, in una luce modesta di sole che rompe un po’ la nuvolaglia dell’orizzonte, il yacht austriaco e i due incrociatori inglese e francese di scorta si muovono. Buon viaggio! L’Albania potrebbe valer meglio della sua fama, e il risultato ultimo di tante volontà discordi potrebbero non essere un disastro per nessuno. Buon viaggio.
Ora la Quarto si è un po’ avvicinata. Da Capodistria tutti la guardano con un’ansia delusa da cui rinascono le indomabili speranze. Un vecchio, molto vecchio commenta:
“Sempre così: nel ’48 nel ’59, le navi italiane si sono fatte vedere all’orizzonte: hanno incrociato un poco, hanno virato di bordo”.
E un altro vecchio Capodistriano, un nobile di antica nobiltà locale, oggi non ha fatto invano la sua passeggiata. Da anni e anni egli va sul molo a vedere se non arrivi la squadra in italiana. Non arriva mai. Oggi la Quarto c’era, la vista. È sparita. Il vecchio patrizio è ritornato a casa in silenzio. Più deluso? Coloro che di tutta la loro vita hanno fatto un’attesa, attenderanno ancora. Viva il Mbret d’Albania. A voler vivere sull’Adriatico bisogna non disperare mai.

 


 

 

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