Giorgio (Gjergj) Kastrioti muore ad Alessio (Lezhë) il 17 gennaio 1468, eroe albanese invincibile soprannominato, dai turchi, Iskander beg (Principe Alessandro).
Su questa figura, così poliedrica, abbiamo scritto numerose volte, ma non abbastanza.
Per ricordare il dies natali del “terrore dei turchi” e “Athleta Christi”, quest'anno propongo un articolo apparso nella rivista “Focus Storia”, pubblicato il 4 agosto 2018, nel quale il nostro eroe viene etichettato tra i generali invincibili che non hanno mai subìto una sconfitta in guerra, alla stessa stregua del suo predecessore Alessandro Magno.


Scanderbeg
il guerriero
                                                                               

Fu l’anima della rivolta albanese contro i turchi: per un quarto di secolo Giorgio Castriota impedì al Sultano di appropriarsi del paese delle aquile, facendo dell’alternanza fra guerriglia scontri campali la sua tattica vincente.
Davide contro Golia. Così viene raffigurata dagli albanesi impari lotta tra gli Ottomani in espansione è il Paese delle aquile, che nel Medioevo si era ritrovato già oggetto degli interessi dell’impero Romano d’Oriente, di Venezia, degli Angoini, senza contare le vicine Serbia e Bulgaria. A impersonare la parte di Davide c’era il principe Giorgio Castriota Scanderbeg[1], l’eroe nazionale albanese[2].

L’Atleta di Cristo
Per sconfiggere i Turchi bisognava combattere e pensare come loro, e Castriota aveva avuto ottimi maestri, gli stessi Ottomani. Lui e i suoi fratelli erano mandati come ostaggi alla corte di Murad II[3] dal loro padre. Questi aveva ereditato un piccolo territorio che includeva parte della moderna Macedonia del Nord, l’Epiro e la costa adriatica. Come molti signori balcanici dell’epoca, il principe Gjon (o Giovanni) Castriota doveva barcamenarsi tra la bellicosa Serbia, l’alleanza con Venezia, che spesso diventava guerra, e il vassallaggio al sultano, al quale andavano pagati tributi in denaro, e non solo. Si ritiene, infatti che alcuni giovani shqiptar (albanesi), tra cui due fratelli di Giorgio, fossero reclutati tra i giannizzeri con il devshirme[4]. Alcune fonti smentiscono la sua presenza alla corte ottomana di Edirne; secondo altre Giorgio si convertì all’Islam, godette del miglior addestramento nell’Enderun, l’accademia militare del sultano, e finì per diventare un comandante dell’esercito turco, che all’inizio probabilmente dovette servire con fedeltà. I resoconti biografici, non si sa quanto attendibili, riferiscono che, mentre suo padre si ritrovava a combattere contro i pasha ottomani, Giorgio divenne un sipahi, un cavaliere del sultano, poi uno dei suoi governatori, e infine un condottiero a capo di contingenti da migliaia di uomini durante le campagne militari della Sublime Porta.
                                     
                                                                           

L'elmo di Scanderbeg con le corna di capra. La leggenda narra che Castriota di notte usò le capre, alle cui corna aveva legato delle torce, per simulare un attacco in massa al campo ottomano, facendo credere ai Turchi di avere un esercito assai numeroso.

Intanto, il padre era morto e lui era stato inviato in Serbia, nel 1443, a combattere i crociati ungheresi nella battaglia di Niš (persa dai Turchi), contro le truppe di Giovanni Hunyadi[5]. Secondo le fonti, Scanderbeg colse quell’occasione per abbandonare le file del sultano con alcune centinaia di uomini, precipitarsi a Kruja (vicino a Durazzo) e prendere il controllo del castello, innalzando la bandiere rossa col l’aquila nera a due teste. Mirava a riprendersi tutte le terre del padre e a creare un principato su tutti gli shqiptarët[6], così si dedicò a conquistare le fortificazioni della zona e la fiducia dei suoi pari. Questo, secondo i suoi biografi, mentre abiurava l’Islam per riconvertirsi al cristianesimo. Cristiani contro musulmani, ecco l’altro aspetto dell’azione di Scanderbeg. In qualche anno di rivolta contro i Turchi, l’albanese avrebbe ottenuto da papa Callisto III l’appellativo di Atleta Christi, il campione di Cristo, il crociato. Ma intanto c’era da organizzare una campagna militare: con l‘appoggio di Venezia, il 2 marzo 1444 riunì le famiglie nobili albanesi nella città di Alessio (Lezhë), e qui fondò la lega omonima, un’alleanza militare che doveva guidare la sollevazione contro gli Ottomani.
Lo storico Edward Gibbon parla degli albanesi come un popolo “marziale”: pronti a “vivere e morire per il proprio principe ereditario”. Nominarono Castriota comandante in capo nella guerra contro i Turchi e gli fornirono uomini e mezzi. La realtà potrebbe, però, divergere dalle enfatiche cronache di Marino Barlezio, il biografo di Scanderbeg. L’importanza della Lega di Lezhë non ha superato il vaglio della revisione storica: probabilmente non furono cosi tanto i nobili albanesi che aderirono alla sua campagna, molti restarono al fianco dei veneziani e dei tanti warlord che spadroneggiavano nell’area, altri continuarono a servire i turchi. La crociata contro Murad fu, in effetti, combattuta da un’alleanza di eserciti cristiani dell’est guidata da Hunyadi, dal re di Polonia Ladislao Jagellone e da Mircea, voivoda (principe) di Valacchia, fratello di Vlad l’Impalatore, il famoso Dracula. Furono loro a difendere l’Europa nella battaglia di Varna del 1444. Nemmeno la moderna storiografia può negare però, che per un quarto di secolo Giorgio Castriota respinse tutti i tentativi turchi di conquistare l’Albania.

La guerriglia


 L’isolamento politico in cui versavano i difensori della cristianità e l’asprezza del terreno albanese fanno ipotizzare che nella sua lotta Scanderbeg avesse imparato a impiegare al meglio le tattiche della guerriglia, le imboscate, gli attacchi a sorpresa e le veloci ritirate. Guidava un esercito composta da circa 10.000 forse 15.000 soldati, usando il terreno montuoso a suo vantaggio, riuscendo abilmente a contrattare con i signori locali per avere truppe e vettovaglie, o per passare sulle loro terre. Di certo era dotato di grande carisma, perché solo con quello avrebbe potuto convincere i warlord di un territorio frammentato, sotto l’influenza ora di Venezia, ora della Serbia, a sottostare al suo commando.
Quando l’ordine di battaglia arrivò Scanderbeg si unì ai crociati: nell’estate 1444, nella Piana di Torvioll, gli eserciti albanesi riuniti sotto la sua bandiera affrontarono 25.000 Ottomani guidati dal generale Ali Pasha. Il leader dei rivoltosi poteva contare su 7.000 fanti e 8.000 cavalieri. Altri 3.000 sotto il comando del suo nipote Hamza Castrioti, erano nascosti in una foresta. Al segnale convenuto, cavalcarono sulla piana e circondarono il nemico: circa 8.000 ottomani furono uccisi, 2.000 catturati. Scanderbeg aveva avuta la sua prima vittoria e l’eco risuonò in tutta Europa. Era una novità: per la prima volta un esercito ottomano era stato sconfitto in una battaglia campale sul suolo europeo.

La furia Islamica

                                                                                 


Le cose si mettevano bene per i crociati. Ma a Varna l’impeto cavalleresco del giovane re polacco Ladislao, che in un attacco suicida si gettò sulle braccia dei giannizzeri, sottovalutandoli, trasformò una quasi certa vittoria in una disastrosa sconfitta. Il povero Vasilèvs (Basileus) di Costantinopoli, che aveva ispirato la crociata per salvare la sua città stretta nella morsa dei Turchi, si ritrovò cosi più alcun sostegno. Ora il Sultano bramava vendetta contro “Iskander il traditore”: il 10 ottobre 1445, una forza ottomana di 9.000 o 15.000 cavalieri, sotto il comando di Firuz Pasha, fu inviata contro Scanderbeg. Gli esploratori avvisarono l’albanese, che riuscì ad attirare il nemico nella valle di Mokra: con 3.500 uomini, Giorgio attaccò i Turchi e li sconfisse, il pasha ci rimise la pelle. Scanderbeg li batté di nuovo l’anno dopo, nella battaglia di Otonetë (1446). Aveva annichilito i due eserciti di Mustafa Pasha. Non riuscì però a portare rinforzo a Hunyadi nella battaglia di Kosovo Polje (1448), il battesimo di fuoco per il giovane Mehmet II, dove gli ungheresi furono di nuovo sconfitti dal vecchio Murad, che fece una piramide con le teste dei nemici.

La grande impresa
                                                                              
Il sultano andò al contrattacco. Un imponente esercito di 100.000 uomini, sotto lo stesso Murad e suo figlio Mehmet, invase le terre del Castriota e pose l’assedio a Kruja. Ma di nuovo Scanderbeg si diede alla guerriglia: e mentre il suo fido Vrana “Konti” (“la lancia”) difendeva la fortezza con soli 1.500 uomini, i guerrieri albani, slavi e i mercenari italiani, francesi e tedeschi della sua armata attaccavano il campo turco di notte e di giorno, riuscendo anche ad impedire che la Serenissima rifornisse regolarmente il sultano di viveri e acqua. Murad e figlio, dopo aver perso 20.000 uomini, si ritirarono a Edirne. Qui il vecchio sultano morì, e Mehmet divenne il Principe dei Credenti: ora un nemico ben più pericolo del vecchio sultano giurava vendetta al traditore albenese.
Come abbiamo già detto, la vittoria su Murad aveva garantito a Scanderbeg l’appoggio morale del papa di tutta Europa, e ormai si ventilava la crociata, propugnata da Alfonso d’Aragona, per liberare Costantinopoli dalla morsa del turco. Scanderbeg non perse tempo e, riconoscendo il sovrano aragonese di Napoli come il suo re nominale, si diede a stringere una rete di alleanze anche matrimoniali, sposando Donika, figlia di un altro grande rivale dei turchi, Gjergj Arianit Komneni. Nel 1452 arrivò il nuovo esercito turco: 25.000 uomini sotto il comando di Tahip e Hamza Pasha. Ma anche questi vennero battuti da Castriota, come lo fu il successivo pasha, Ibrahim, cinque settimane prima della data fatale della caduta dell’Impero romano d’Oriente. Il 29 maggio del 1453 Costantinopoli cadde in mano al sultano Mehmet II, che divenne “Fatih”, il “conquistatore”.
L’avanzata turca fu fermata solo nel 1456: il solito Hunyadi (che aveva come unico alleato il frate abruzzese Giovanni da Capestrano e i volontari raccolti per l’Europa) riuscì a rompere l’assedio di Belgrado costringendo alla ritirata Mehmet. Il sultano se ne tornò a Costantinopoli ferito, e per il secolo successivo l’Europa Occidentale tirò un sospiro di sollievo.

Il capolavoro di Scanderbeg

Non però quella orientale. Deciso a finirla con Castriota e a fare dell’Albania la sua testa di ponte per l’invasione dell’Italia, il sultano lanciò contro gli albanesi un immenso esercito di 70.000 uomini. Lo comandava Isak Beg e il nipote di Scanderbeg, Hamsa Kastrioti, che era stato il braccio destro dello zio e conosceva ogni tattica e ogni palmo di terra degli shqiptar. L’Albania fu devastata: i canti popolari ricordano ancora la violenza turca. Poi, l’immenso esercito mise il campo a Ujbardha, non lontano da Kruja. Sembrava che Scanderbeg fosse sparito. Era un trucco: la notte del 2 settembre 1457 Castriota piombò sui Turchi, assonati nel loro campo, e ne fece strage: i morti furono 15.000, mentre Hamza fu spedito in prigionia a Napoli, insieme agli stendardi catturati. Mehmet, impegnato su più fronti, dovette firmare un trattato di pace di 5 anni.

In pace e in guerra con Venezia

Se da una parte le vittorie di Scanderbeg favorivano la politica di Venezia nel Levante, l’ascesa di una nazione balcanica forte alle porte del territorio della Serenissima, tuttavia preoccupava i veneziani. Questi, vedendo in pericolo lo status quo con la Sublime Porta, mantennero una politica ambigua con il Dominus Albaniae. Dopo una prima fase di sostegno politico e militare, i veneziani ordirono complotti per assassinare il Castriota, ponendo addirittura una taglia sulla sua testa. Era la guerra fra cristiani, combattuta fra il 1447 e il 1448. Alla battaglia del fiume Drin, l’esercito della Serenissima venne annientato dalla potenza degli arcieri di Scanderbeg.
L’occasione mancata. Successivamente, il 4 ottobre del 1448, Castriota firmò un trattato di pace con i veneziani, per poter unire il suo esercito a quello di Hunyadi. Questi, avanzando con le sue armate in Kosovo, aveva invitato Scanderbeg a unirsi a lui nella battaglia contro il sultano. Ma Giorgio, ostacolato dall’azione del despota serbo Durad Brancovich, che si era alleato il sultano, non riuscì a partecipare all’impresa. Quando Scanderbeg raggiunse finalmente Hunyadi sul campo, la battaglia di Kosovo Polje era già perduta.

La spedizione in Puglia

In quegli anni, anche l’Italia conobbe direttamente il valore militare di Scanderbeg, impegnandosi direttamente a sostenere il re di Napoli Ferdinando I d’Aragona, detto Ferrante, contro il rivale Giovanni d’Angiò. In effetti, Ferrante era figlio di quel Alfonso I che all’abanese non aveva fatto mancare il suo sostegno e un contributo in armati. Per cui, Scanderbeg sbarcò nella Penisola e affrontò i ribelli. Sconfitti gli Angioini nel 1462 presso Orsara di Puglia, il Castiota fu costretto a tornare in Albania per affrontare una nuova minaccia ottomana.
Una presenza che dura ancora. Due anni più tardi, re Ferdinando gli concesse i feudi di Monte Sant’Angelo e San Giovanni Rotondo. Intanto si intensificava l’esodo di profughi albanesi nelle terre pugliesi, esodo che durò per tutta la metà del Quattrocento, in particolare in Terra d’Otranto e in Capitanata: ancora oggi troviamo questi arbëreshë (albanesi d’Italia) in localita come Campomarino, San Giorgio Jonico e Piana degli Albanesi, in Sicilia. Lo stesso Castriota si fece costruire più di una residenza in Italia, come palazzo Scanderbeg a Roma, con il suo ritratto sul portone.
Senza il sostegno dell’Occidente. L’idea della crociata contro l’Islam, sempre sostenuta dal generale albanese, fu ripresa dal papa Pio II, ma questa volta gli Stati occidentali, soprattutto la Repubblica veneziana, fecero decisamente orecchie da mercante. Il pontefice Piccolomini morì poco dopo (1464) e Scanderbeg si trovò da solo con i suoi albanesi a fronteggiare i Turchi.




La fine

La guerra riprese più volte, ma la musica fu sempre la stessa. Castriota morì, imbattuto dagli uomini, preda della malaria nella fortezza di Alessio, nel 1468. L’Albania sarebbe caduta nelle mani dei Turchi solo nel 1501. I problemi che Scanderbeg causò loro furono tali che, quando gli Ottomani aprirono la tomba dell’eroe, nella chiesa di san Nicola a Lezhë, fecero amuleti con con le sue ossa, credendo che avrebbero conferito coraggio e forza a chi li portava. Il primo Stato albanese si sarebbe formato solo nel 1913, con la conferenza di Londra che ridisegnava l’area balcanica.
Ma era già la vigilia della Grande guerra.


Raffaele D’Amato e Lidia Di Simone




[1] Scanderbeg (oppure Skanderbeg o Skënderbeu 1405 circa – 1468) il soprannome che fu dato a Giorgio dal sultano Murad II: è la fusione di Iskander ( il leggendario nome di Alessandro Magno nella lingua persiana) con beg (oppure bey, in turco “principe”, “signore”.

[2] In albanese Shqipëria (“paese delle aquile) deriva forse da una leggenda locale; gli shqiptar, i figli delle aquile, erano gli albanesi che non emigravano, ma restavano mentre i Turchi conquistavano la loro terra. A partire dal 1385 l’Albania subì il dominio degli Ottomani e nonostante l’opposizione dei Castriota, prima con Giovanni (Gjon) e poi con la rivolta del figlio Giorgio fu suddivisa in pascialik (governi locali) che rispondevano alla Sublime Porta. Con la crisi dell’Impero ottomano, tra XIX e XX secolo, l’area fu oggetto della mire espansionistiche di Serbia, Grecia e Montenegro, una situazione esplosiva che sfociò in due guerre balcaniche poi deflagrò nella Grande guerra.

[3] Murad II il sultano degli Ottomani. Era il padre di Mehmet II (1430 – 1481) detto il “Fatih”, il Conquistatore di Costantinopoli, la Bisanzio romana, che prese nel 1453 dopo un lungo assedio, trasferendovi la corte. Fino ad allora la capitale dei Turchi era Edirne (Adrianopoli fondata dall’imperatore Adriano).

[4] Devshirme significa “raccolta”: era l’istituzione con cui l’impero ottomano ogni 4 o 5 anni prelevava dai villaggi cristiani dei Paesi balcanici ragazzini da destinare al suo esercito. Questi diventavano schiavi del Sultano che aveva su di loro diritto di vita o di morte.

[5] Giovanni Hunyadi uno dei grandi condottieri balcanici del XV secolo: salì al potere in Ungheria grazie al suo genio militare e la sua fedeltà all’impero. Fautore di crociate e di leghe contro gli Ottomani, conquistò per suo figlio Mattia Corvino la corona d’Ungheria.

[6] Gli albanesi.

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