Il re dell’Epiro
PIRRO

Ambizioso fino alla spregiudicatezza, fu tra i massimi condottieri dell’età ellenistica, senza però riuscire a consolidare l’esito delle sue numerose vittorie

di Jacopo Mordenti
storico e scrittore

Pirro vinto dei romani. Dipinto di Johann Schoenfeld (1640) raffigura la sconfitta inferta nel 275 a. C. dalle legioni dell’esercito romano alle truppe del re epirota a Maleventum.


È il 280 a. C. In Epiro, un regno tra le attuali Albania e Grecia, due uomini stanno discutendo fra loro di grandi piani di conquista: “... E se anche gli dei ci accordassero la vittoria contro i Romani” -domanda l’uno - “che cosa otterremo?”. “Che nessuna città, barbaro greca, si opponga a noi: avremo in mano l’Italia intera”, risponde l’altro. “E dopo aver ottenuto l’Italia intera” - insiste il primo - “che cosa faremo?”. “Guarderemo alla Sicilia, che è divisa e facile da conquistare”, aggiunge il secondo. “E dopo aver ottenuto la Sicilia...?” - domanda ancora il primo -. “Nessuno ci tratterrebbe dal impadronirci della Libia e di Cartagine”, replica il secondo. “Certo” - prosegue il primo - “a quel punto saremmo tanto potenti da recuperare la Macedonia e dominare l’intera Grecia. Ma poi...?”. “Ci riposeremo a passeremo il tempo a festeggiare fra noi!”, gongola il secondo. La chiosa del primo si tinge di sarcasmo: “E che cosa ci impedisce di farlo già ora, senza far scorrere sangue, supportare fatiche, affrontare i pericoli?” È per certi versi in questo dialogo fra il rettore tessalo Cinea e il re dell’Epiro Pirro - tratto dalla Vita di Pirro di Pluarco - che si condensa il senso della vicenda di uno fra i più ambiziosi condottieri dell’età ellenistica, segnato dal mito omerico di Achille e, più concretamente, da quello di Alessandro Magno.

Tempio della concordia Agrigento. Pirro progetto di utilizzare la Sicilia come base di partenza per una campagna in Africa.


Le turbolenze dell’Epiro

Pirro nacque intorno al 318 a. C. in Epiro, una regione abitata da alcune tribù entrate nell’orbita culturale greca da pochi decenni. Figlio del re Eacide -spazio cugino di Olimpiade, madre di Alessandro Magno - ancora infante Pirro era stato portato in salvo[1] dopo che le guerre fra i diadochi di Alessandro, morto nel 323 a. C., avevano collateralmente portato al rovesciamento del regno di suo padre con la spianando la strada a suo zio Neottolemo. Trascorsa l’infanzia in Illiria, Pirro rientrò in Epiro circa dodici anni più tardi, quando vide coagularsi intorno a sé le milizie dei partigiani di Eacide, grazie alle quali si appropriò della corona. Un risultato effimero: quattro anni dopo, approfittando di un suo nuovo soggiorno in Illiria, l’Epiro gli si sollevò contro, inducendolo all’esilio presso uno fra i più potenti diadochi di Alessandro, Antigono Monoftalmo. Particolarmente legato al figlio di questi, Demetrio Poliorcete, fu in questo frangente che il giovane epirota iniziò a costruire la sua reputazione di soldato d’eccezione; sopravvissuto alla battaglia di Ipso (301 a. C.), che vide Antigono sconfitto e ucciso dalle milizie congiunte di altri due generali alessandrini, Seleuco e Lisimaco, Pirro rimase al fianco di Demetrio, fino al punto da fungere da ostaggio durante le trattative con Tolomeo Sotere, proclamatosi re d’Egitto. Pirro seppe guadagnarsene la benevolenza arrivando a sposarne la figlia Antigone; forte della posizione raggiunta, nel 298 a. C. si adoperò per il proprio rientro in Epiro, in funzione del quale stipulò con lo zio Neottolemo un accordo di coreggenza. Pochi mesi dopo, Pirro assassinò Neottolemo, assumendo pienamente la corona; fu probabilmente in questa fase convulsa del regno che, per ottenere il supporto dei maggiorenti epiroti, prospettò ai sostenitori una stagione di conquiste.

Tempio di Hera, Agrigento. V secolo a. C. nel 278 a. C., Pirro intervenne al fianco di Siracusa, Agrigento E Leontini per contrastare le mire cartaginesi.

   

Dalla Macedonia all’Italia

Il suo margine d’azione si rilevò tuttavia modesto. A metà degli anni Novanta del III secolo a.C. Pirro tentò di intervenire nella contesa dinastica sulla Macedonia. Il suo brillante supporto militare a uno dei due fratelli contendenti, Alessandro, venne frustato dallo schierarsi di Lisimaco a favore dell’altro, Antipatro; gli orizzonti di guerra fecero propendere tutti per una soluzione diplomatica. Il quadro venne scompaginato nel 294 a. C. da Demetrio Poliorcete, che assassinò Alessandro proclamandosi re: due anni più tardi l’esercito epirota tornò a marciare sulla Macedonia, ma l’epica vittoria di Pirro nella regione dell’Etolia non fu risolutiva. Il conflitto ebbe termine solo nelle 288 a. C., quando Demetrio optò per la fuga, permettendo all’epirota, che grazie al proprio carisma aveva legato a sé anche le truppe macedoni, di ottenere la corona di Macedonia. Un altro risultato effimero: pur avendo accolto le richieste di spartizione del regno avanzate da Lisimaco, Pirro fu in breve attaccato da questi, e decise di ripiegare in Epiro evitando lo scontro.
Fu sullo sfondo di questi orizzonti costretti che, sullo scorcio degli anni Ottanta del II secolo a. C., ricevette una richiesta di aiuto da parte di Taranto. La più ricca città greca d’Italia era alle prese con una minaccia Barbara sempre più difficile da contenere: Roma.


La guerra fra Taranto a Roma era divampata nel 282 a. C. In quell’anno la città di Turi -greca anch’essa -si era rivolta a Roma, e non come di consueto a Taranto, per rintuzzare la minaccia incombente dei Lucani: aveva così ottenuto il supporto di una guarnigione e di una piccola flotta, la quale però aveva finito per gettare l’ancora proprio nelle acque di Taranto. L’accaduto era stato interpretato dai tarantini come il provocatorio stralcio di un trattato che impegnava le navi romane a non superare Capo Lacinio: la città aggredì dunque la flotta, per poi marciare su Turi e cacciarne la guarnigione romana. Respinti i tentativi di Roma di raggiungere una conciliazione pacifica, Taranto si trovò sotto attacco, decidendo così di ricorrere a Pirro, che nell’anno 280 a. C. sbarcò in Italia con un esercito di circa 25 mila unità fra fanteria e cavalleria è una ventina di elefanti: una novità assoluta su suolo italiano. A tali forze si sarebbero dovuto sommare le milizie tarantine, nonché quelle delle popolazioni italiche che avrebbero appoggiato la spedizione epirota: nella realtà i numeri dovettero rivelarsi modesti.
A ogni modo, fallito un primo approccio diplomatico con Roma, lo scontro fra esercito epirota e quelle della Repubblica si ebbe ad Eraclea, nei pressi dell’odierna Policoro: pure in inferiorità numerica Pirro riuscì a portare la battaglia sul terreno più funzionale alla sua tattica. Vinse di misura: la battaglia si trascinò a lungo, senza evidentemente che la combinazione fra fanteria pesante cavalleria - chiave di volta della falange macedone di stampo alessandrino -risultasse dirompente. Un qualche peso dovettero probabilmente averlo gli elefanti: inizialmente collocate ai fianchi della falange allo scopo di disinnescare la cavalleria romana, lanciati poi all’attacco portarono scompiglio fra le file nemiche, le quali ripiegarono. L’esercito epirota evitò di lanciarsi all’inseguimento.

 Villa romana Cartagine. Pavimento in marmo di una villa romana di Cartagine (Tunisia). Nel 279 a. C., Cartagine Roma firmarono un trattato per ostacolare l’avanzata di Pirro.

Secondo la vittoria di Eraclea Pirro ottenne l’appoggio di popolazione dell’Italia meridionale quali sanniti, lucani e bruzi, non riuscì a sobillare le popolazioni dell’Italia centrale più prossime romani, né fu in grado, ancora più a nord, di mettersi in collegamento con gli etruschi. Stante l’impossibilità di assediare Roma, Pirro tornò a giocare con essa la carta della diplomazia, ponendo quale condizione per la pace tanto la libertà delle città greche, quando la restituzione dei territori che i romani avevano sottratto alle popolazioni meridionali. Il Senato respinse la proposta è nel 279 a. C. ad Ausculum, l’odierna Ascoli Satriano, si ebbe un nuovo scontro. Fu nuovamente Pirro a vincere, incassando però perdite ingenti. 

 Il Senato romano. Affresco di C. Maccari. XIX secolo. Palazzo Madama a Roma. Fu forse Appio Claudio Cieco a portare i senatori contro la proposta di Pirro.


Indebolito è sempre più accorto dei mezzi necessari al suo esercito, Pirro si vide costretto a provvedimenti vessatorie che portarono al logoramento dei rapporti con i suoi alleati, al punto che nel 278 a. C. decise di interrompere provvisoriamente le ostilità con Roma e vagliare alcune richieste di intervento. La prima proveniva dalla Sicilia, dove le città greche stavano cedendo terreno a Cartagine; la seconda muoveva invece dalla Macedonia, dove la morte del re Tolomeo Cerauno, subentrato nel 281 a. C. a Lisimaco e sconfitto due anni più tardi dei celti galati, aveva riaperto i giochi per la corona.

L’incompiutezza

Pirro assecondò la richiesta dei greci siciliani, guidando una folgorante campagna contro i cartaginesi, che già nel 277 a. C. risultarono confinanti nell’estremo ovest dell’isola. Fu tuttavia incapace di consolidare il risultato, e anzi -volendo impiegare la Sicilia come trampolino per una campagna libica-fini per perdere l’appoggio di quanti ne avevano chiesto l’intervento. Nel 276 a. C. l’ostilità nei suoi confronti lo indusse a interrompere i propri progetti per tornare in Italia, dove tarantini, così come i sanniti, i lucani e i bruzi, contavano su di lui per resistere a Roma. Il terzo è l’ultimo scontro avvenne nel 275 a. C. presso la sannitica Maleventum. Privo di superiorità numerica sulle circa 18.000 unità romane acquartieratesi, Pirro frazionato le forze e tentò una manovra notturna di aggiramento e attacco: l’operazione fu fallimentare, e con il sopraggiungere del giorno espose l’esercito epirota al contrattacco romano; in particolare gli elefanti dovettero rivelarsi un boomerang, giacché -aggrediti dai romani-finirono per rivoltarsi contro la falange epirota. Il disastro spinse Pirro a rinunciare all’impresa italiana: pur lasciando una guarnigione a Taranto, egli tornò in Epiro.

    

Tempio di Selinunte. Acropoli, VI-V secolo a. C. Dopo che Pirro conquistò Eraclea, nel 276 a. C., Selinunte si arresero epirota senza condizioni.


L’accaduto non doveva però aver fiaccato la sua ambizione: nel 273 a. C. marciò sulla Macedonia, controllata dal figlio di Demetrio Poliorcete Antigono II Gonata, che sconfisse; nel 272 a. C. attaccò Sparta, ma l’operazione si rivelò sorprendentemente infruttuosa, al punto che Pirro la interruppe preferendo marciare su Argo, dove la sua intromissione nei dissidi interni della città avrebbe potuto indebolire ulteriormente Antigono. Il blitz notturno contro la città si risolse in un disastro: intrappolato nella convulsa guerra urbana che ne seguì Pirro venne raggiunto da una tegola in testa; tramortito, fu facilmente ucciso da Zopiro, uno dei generali di Antigono. Questi prese possesso dell’Epiro, ma non avevo nessuna epurazione che familiari e i soldati di Pirro la sua reputazione quale eccezionale condottiero sopravvisse alla sua morte, anzi: se possibile crebbe. Plutarco racconta che qualche anno più tardi il cartaginese Annibale esterno a Scipione l’Africano tutta la sua ammirazione per il valore militare di Pirro, ritenuto secondo solo a quello di Alessandro Magno.



Gli elefanti, l’arma più pericolosa

Fu la campagna di Alessandro Magno in Oriente a introdurre nella guerra gli elefanti, importati dall’India. Essi furono usati per la prima volta da Pirro. Oltre a sostenere la fanteria, questi enormi animali costituivano una poderosa arma grazie alla loro incredibile forza alle forti zanne, che venivano per di più rinforzate con punte metalliche.

I temibili elefanti. Piatto etrusco che raffigura un elefante da guerra, con il controllore collocato davanti a una torretta che accoglieva gli arcieri.


Benché potessero trasportare sul dorso alcuni arcieri, risultavano funzionali a seminare il panico fra le file nemiche soprattutto fra chi non li aveva mai visti. I cavalli, per esempio, dovevano essere addestrati ad accettarne la presenza.
La fanteria era in grave pericolo di fronte all’avanzare di una schiera di elefanti per questo motivo essi si diffusero nonostante il loro utilizzo fosse rischioso: se pesantemente attaccati potevano voltarsi indietro a scappare, finendo quindi per travolgere il proprio esercito.

Pirro narrato da Plutarco nelle Vite parallele

Oltre a riportare i fatti la Vita di Pirro fornisce una descrizione di Pirro. Egli sembrerebbe aver avuto una dentatura bizzarra, con l’arcata superiore consistente in un solo osso. Avrebbe inoltre disposto di poteri taumaturgici: con la pressione del piede destro sarebbe stato in grado di curare l’ingrossamento della milza. A riprova dei suoi scampoli di divinità, i suoi alluce destro sarebbe stato ritrovato intatto dopo la cremazione.
Nell’espressione “una vittoria di Pirro”, per indicare un risultato oneroso mai inconcludente, muove secondo Plutarco da una sua esternazione dopo la battaglia di Ausculum: a chi si congratulava con lui per la vittoria, rispose: “Un’altra vittoria così sono rovinato!”.
Pirro impiegò l’epica omerica ai fini propagandistici costruendo una genealogia mitica che, dal figlio di Achille Neottolemo (detto Pirro, cioè rosso), avrebbe condotto alla monarchia molossa. È inoltre a lui che si deve la prima attestazione dell’immagine di Roma quale discendente di Troia: come i suoi avi avevano sconfitto i Troiani-questa è la sua propaganda-lui avrebbe sconfitto i romani.

Una vita per la guerra. Cronologia

318 a. C. circa.
Pirro nasce in Epiro figlio del re Eacide, della tribù dei molossi, ancora infante viene portato in Illiria per salvarlo dalle loro lotte intestine per il trono.
302 a. C. circa.
La sollevazione epirota a favore di Neottolemo II spinge Pirro mettersi al servizio di Antigono Monoftalmo e del figlio di Demetrio Poliocrete.
298 a. C.
Forte dell’appoggio di Tolomeo, Pirro recupera la corona epirota. I suoi piani di conquista in Macedonia verranno però frustati.
280 a. C.
Taranto si rivolge a Pirro per far fronte a Roma. Dopo cinque anni di guerra tre inconcludenti battaglie, Pirro lascia l’Italia torna in Epiro.
272 a. C.
Pirro muore durante la battaglia urbana di Argo per mano di un uomo del suo ultimo, grande nemico, Antigono II Gonata.

National Geographic Storica. Giugno 2016.

 



[1] Portato in salvo in Illiria dopo il rovesciamento del padre, al suo ritorno in Epiro Pirro ne riunì i sostenitori.

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